In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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Concerto di Capodanno

Ma quale valzer di Strauss, quali Wiener Philharmoniker!
Quest'anno, più che mai, il concerto evento che tutti attendono è a Caulonia Marina: subito dopo la mezzanotte festeggeremo con i TaranProject e con un ospite d'eccezione, il grande cantante marocchino Nour Eddine Fatty.
Tutti a Piazza Bottari ad accogliere il 2012: se lo faremo cantare e ballare con noi forse non sarà così fosco come ce lo dipingono!

La musica delle Feste

Calendario fitto di appuntamenti in questi giorni nella Locride: ogni piazza di paese – maltempo permettendo – avrà il suo bel concerto di musica popolare.
E se per un verso si moltiplicano, e ormai pullulano, i gruppi di epigoni, seguaci, imitatori, cloni degli inarrivabili TaranProject, non mancano tuttavia altre proposte di qualità, che da queste colonne non ci stanchiamo di raccomandare a quanti vogliano sintonizzarsi con l'anima più creativa della musica locridea.
In particolare si segnalano due storiche location: la rediviva osteria Micuicola di Gioiosa Marina, dove di sera in sera si susseguono gli stuzzicanti Aperitivi Musicali (il programma completo è nei commenti); e il celebrato Blue Dahlia, che ospiterà due eventi DOC:
Mujura mercoledì 28 dicembre, Scialaruga domenica 1 gennaio.
Agli irresistibili sapori forti della serata con Mujura consiglierei di disporsi gustando nel pomeriggio le prelibatezze chitarristiche di Francesco Loccisano, a Martone alle 18,30 nella Chiesa di S. Maria Assunta.

Concerti natalizi

Finalmente i TaranProject
di nuovo in Calabria dopo due mesi.
Giorno di Natale a Brognaturo (VV), Santo Stefano a Sinopoli;
giovedì 29 a Spilinga (VV) si recupera la serata
rinviata per il maltempo dieci giorni fa.

L'Unda Jonica investe Roma

Non si è spenta l'eco dell'epifanìa dei TaranProject nello scorso weekend, che già si annuncia per i prossimi giorni un tris di concerti d'eccezione, protagonisti le tre punte di diamante del movimento della musica innovativa nella Locride: mi riferisco naturalmente a Mujura, Loccisano e Scialaruga, che formano il cast di altissimo livello della rassegna intitolata “Li Boni Festi”, organizzata da Valerio Filippi e dal suo Roma Tarantella Festival.
Il titolo, in giusta sintonia col periodo prenatalizio, viene da un famoso brano popolare che Mimmo Cavallaro e i TaranProject hanno riportato a nuovo splendore, e serve a ricordarci il legame speciale che unisce Mimmo a tutti e tre questi artisti straordinari, con cui ha collaborato in innumerevoli occasioni, compagni “di 'na longa via amorusamenti” che ora li porta a Roma.
Serata inaugurale, al Beba do Samba in via de' Messapi a San Lorenzo, venerdì 9 con Mujura, autore di un cd che diverrà pietra miliare della musica e della poesia, che consiglio di non perdersi per niente al mondo; nei giorni a seguire il prodigioso Francesco Loccisano e domenica i fascinosissimi Scialaruga, con Saba Anglana ospite d'onore.

Tre giorni col botto!

Successi in serie per i TaranProject nei tre giorni laziali, iniziati con l'apparizione televisiva su RaiDue, proseguiti tra incursioni radiofoniche e in libreria, culminati con il concerto al Teatro Centrale, e conclusi in compagnia di vecchi e nuovi amici sui colli della Ciociaria.
Ci sarà tempo di raccontare tutti i particolari... Ma c'è da dire intanto che il vero botto, non appariscente però decisivo nel conclamare in tutta evidenza il potenziale del gruppo, è stato il dato Auditel: la trasmissione “I fatti vostri” ha registrato il picco di ascolto - con un balzo del 50 per cento - proprio in coincidenza con l'esibizione di Mimmo, Cosimo e compagnia!
Segno che non solo eravamo in tanti ad attendere trepidanti davanti al video, ma che sciami di teleutenti adusi allo zapping sono stati intercettati, e subito affascinati e conquistati, dal melodioso profumo dei Hjuri di hjumari.

Ecco i filmati da youtube (di luimal1) dei due interventi a “I fatti vostri”, con Marcello Cirillo squisito padrone di casa.



I titoli dei brani: Lu rusciu di lu mari, Tarantella nova
Il pescatore di de Andrè e Passa lu mari

“Roma, arriviamo!”

Potrebbe essere questo il motto con cui si annunciano i TaranProject in viaggio verso la capitale, per la presentazione nazionale del cd “Hjuri di hjumari” nei primi tre giorni di dicembre:
una spedizione che ha le sembianze di un vero e proprio attacco su più fronti, articolato in una raffica di appuntamenti variegati.
Si comincia giovedì mattina con la partecipazione alla trasmissione “I fatti vostri”, su Rai 2; al pomeriggio doppia incursione radiofonica, presso Città Futura e Radio Popolare, e di notte ancora sull'etere con "La notte di Radio Rai 1"; venerdì mattina seconda puntata a “I fatti vostri”, nel pomeriggio showcase alla Libreria Feltrinelli, e alla sera finalmente il concerto canonico, al Teatro Centrale.
Sabato a mezzodì ancora radio, a Roma l'Olgiata, e alla sera il gradito ritorno a Castelliri, in provincia di Frosinone, dove i TaranProject spopolarono già nell'agosto scorso.

Naturalmente il motto riguarda anche noi appassionati, che dai quattro angoli d'Italia, da Sud e da Nord, convergeremo su Roma, per festeggiare i nostri beniamini nel momento in cui finalmente offrono al mondo i loro meravigliosi Fiori di fiumare.

Buon compleanno, Mimmo!



Con una foto
...piccante!




29 novembre 2011

L'anello ritrovato

A più riprese, su queste pagine, abbiamo ricostruito percorsi e intrecci dei protagonisti di quella che potremmo definire la Saga di TaranKhan: una mappa ormai sostanzialmente decifrata, al centro della quale il progetto TaranKhan si staglia come il magico crocevia delle avventure artistiche di coloro che ancor oggi sono le creste più spumeggianti dell'Unda Jonica; fu in quel gruppo che si realizzò una prima perfetta sintesi musicale, e fu da lì che si dipartirono le successive personali parabole di Mimmo Cavallaro, Francesco Loccisano, Fabio Macagnino, Stefano Simonetta. Ma non va naturalmente trascurata, in questa nostra epopea, la cruciale irruzione, tra le schiere dei Cavalieri di Re Mimmo, di quel Parsifal, paladino del Sacro Graal della tradizione, che risponde al nome di Cosimo Papandrea, che sparigliò le carte con la sua prepotente e spettacolare vitalità.
Fu come sempre Fabio Macagnino, guidato dal suo fiuto rabdomante per le nuove e più ardite commistioni, a formare per primo un duo con Cosimo, e la storia dei SonuDivinu che ne conseguì è già stata ampiamente scandagliata.
E tuttavia, come può accadere all'archeologo che si aggiri per le zone di scavo, fortuna vuole che un refolo di vento provvidenziale scopra un'inattesa vestigia, una fugace traccia che si rivela preziosa per rinsaldare un altro nesso ancora.
E' successo così qualche settimana fa, con la comparsa su Facebook – ad opera di Fabio, of course – di un mucchietto di vecchie foto che lui ha riassunto sotto il titolo "SonuDivinu Story".
Non si tratta affatto, però, di una cronologia fotografica di quel gruppo, quanto piuttosto – almeno così a me pare – della testimonianza di due concerti che dovrebbero risalire alla preistoria dei SonuDivinu, quando ancora si chiamavano Atnarat nel 2005, o forse all'inizio dell'estate 2006, comunque in una fase decisamente ancora embrionale e fluida.
Ne è prova, decisiva come la datazione al Carbonio 14, la presenza straordinaria di Daniela Bonvento alla lira: per suo stesso racconto, Daniela si ritirò dalla scena in coincidenza con la nascita del figlio, quando si sciolsero i TaranKhan prima versione nel 2004, e solo in sporadiche occasioni partecipò a qualche serata, “qualcosa con Cosimo e con le nuove formazioni che nascevano, il progetto di Fabio di cui non ricordo il nome“.
Due quinti di TaranKhan e già tutti i carati dei SonuDivinu, è la lega pregiata di questo episodico anello di collegamento.
In questa foto - sorpresa!, ma mica poi tanto - vediamo un Mimmo Cavallaro in ciabatte, evidentemente cooptato sul palco all'impronto, formare una sorta di proto-KarakoloFool con Carmelo, Andrea, Fabio e Cosimo, qui non visibile ma sicuramente presente: lo si evince dall'immagine in cui vediamo i musicisti in alta uniforme di scena, cioè una coppola color crema che buffamente sfoggiano in tre.
Il luogo potrebbe essere – ma attendo conferme qualificate – il Lido Blue Dahlia di Marina di Gioiosa, il sacro tempio della musica locridea dove pressoché tutte queste vicende si sono dipanate, sotto il sapiente sguardo maieutico del patron Ruggero Malgeri.

Aloari, spalasari...

C'è voluto il contributo competente e dotto dell'amico Giuseppe C per diradare le nebbie che avvolgevano i nomi in questo verso: aloari, spini e spalasari – che mai saranno? Era chiaro dal contesto che si trattasse di essenze vegetali, ma quali precisamente? E gli immediatamente successivi cafuni e timpi? Mistero fitto.
Quel genere di mistero, peraltro, che diffonde un aura di fascino enigmatico attorno alla canzone, quella che ha dato il titolo al cd, “Hjuri di hjumari”.
Anche se, come ho già ricordato, è successo esattamente il contrario:
prima è stato pensato il titolo del cd, e solo in seguito questo brano di Mimmo, che a giugno 2010 si intitolava “Sapuri di pajisi”, è stato ribattezzato in Hjuri di hjumari.
Comunque sia, è un pezzo che merita appieno la fascia di capitano della squadra!

Si tratta di una sinfonia in miniatura, articolata in movimenti ben distinti che si combinano in equilibrio ardito ed armonioso: un'introduzione descrittiva che spazia tra immagini bucoliche, nostalgie e soprassalti d'emozione; un ritornello declamatorio e solenne, che sposa il catalogo botanico con l'urgenza dell'amore; un iroso anatema finale, affidato a Giovanna, che si stempera nella melodia prima squillante e poi evocativa della pipita d'oro di Gabriele.
La qualità speciale di questo brano sta nella studiata ricchezza delle sonorità, originali e così sapientemente abbinate – menzione d'onore per la chitarra battente di Francesco Loccisano e la mandola di Mimmo Epifani - e nelle inventive preziosità dell'arrangiamento, che lo rendono scintillante ed elegantissimo, un prestigioso gioiello da vetrina.


Il video (di Marimiketta, a Santa Caterina del Jonio l'estate scorsa) è girato nel classico stile di “ripresa danzante” che caratterizza molti dei nostri provetti registi, combattuti tra l'impegno a filmare e l'impulso irrefrenabile a ballare.

Della Madonna di lu Ritu abbiamo detto, e dunque passiamo al testo.
Ah, già... gli aloari e compagnia bella?
Leggete nei commenti la traduzione, con tutte le spiegazioni.

Hjuri di hjumari

Senti profumu di janestra
Quandu lapri ssa finestra,
Trasi lu suli ‘nta li casi,
Senti profumu di pajisi.

Terra chi tremi e fai fujiri,
Terra chi sempri dai suspiri,
Terra d’amuri mari e suli,
Terra di praja e di caluri.

Aloari, spini e spalasari,
Cafuni e timpi, hjiuri di hjiumari.
Vuci chi chjiama: “Venitindi amuri!
Ca sugnu sula chi zappu ‘nta si chjiani.”

Scrusci l’agghjiru ‘nta la frasca,
Mangia li mura di ruvetta.
Luci la luna e staci cittu,
Senti ‘na botta di scupetta.

Lucinu l’occhji ‘nta lu scuru,
Botta di lampu ‘nta lu cielu.
Scorci lu porcu ‘nta la zimba,
Mangi ricotta e ‘mbivi seru.

“E arzira fici liti
cu nu vecchjiu panararu.
Mi volìa na lira e menza
di ‘na cofana e nu panaru,
E non era fattu bonu,
era tuttu sculacchjiatu.
O Madonna di lu Ritu,
fa mu veni la hjiumara
Mu si leva lu cannitu,
nommu fannu chjiù panara.”

Aloari, spini e spalasari,
Cafuni e timpi, hjiuri di hjiumari.
Vuci chi chjiama: “Venitindi amuri!
Ca sugnu sula chi zappu ‘nta si chjiani.”

Da Livitu fino al Petraci...

Testi, che passione!
E' stato per me un paziente apprendistato misurarmi con le parole delle canzoni dei TaranProject, imparare una lingua che non mi apparteneva, assorbirne poco a poco i modi espressivi, e la cultura di di cui è portatrice.
Uno sforzo premiato da piccole e grandi emozioni, come quando il testo improvvisamente si schiude alla comprensione per effetto di un'intuizione, o di un'informazione chiarificatrice; o quando rivela significati e riferimenti inattesi, che gettano una luce più vivida sul patrimonio di esperienze e pensieri che attraverso essi si comunica.
Per una serie di fortunate coincidenze, e grazie al contributo di ottimi compagni d'avventura delle mie ricerche, in questi ultimi tempi è successo spesso; merito anche delle numerose varianti locali che, da un paese all'altro, declinano piccole differenze in ciò che di voce in voce si è tramandato, o via via trascritto.

Per primo è stato l'amico Giuseppe M di Pellaro a segnalarmi un'alternativa, comune dalle sue parti, al verso “O Madonna di lu ritu...” presente nel brano Hjuri di hjumari: c'è una filastrocca popolare che dice “O Madonna du Livìtu, non mi cala la hjumara..”, e la notizia straordinaria è che il vicino paese di Oliveto fu realmente travolto da una tragica esondazione della fiumara nel 1953.
Ecco che l'invettiva di Giovanna assume tutt'altra minacciosità: non è una madonna generica, quella che viene invocata a danno dell'esoso panararo, ma la temibile Madonna du Livìtu, che ha ben dato prova di quali disastrosi cataclismi sia capace!

Appena due anni prima, nel 1951, lo straripamento del fiume Petraci, tra Gioia Tauro e Palmi, distrusse un ponte di pietra: ecco che il “ponti di Petraci”, che “fu la ruvina mia”, in una delle strofe della tarantella finale, diviene un circostanziato fatto di cronaca, e il lamento di chi, “manijando petra e caci”, si spezzò la schiena lavorando per sgomberare la frana suona drammaticamente vero.

Giuseppe C mi ha illuminato, a sua volta, a proposito della “fimmina cutrisa” e del suo “ballu tricchi-trà”, sempre nella tarantella finale: “I versi di Cosimo si riferiscono alla Cutrisa, la donna di Cutro: nel camminare con lo zoccolo al piede, forse parte integrante dell'antico costume popolare, nel ballo faceva quel particolare rumore, tricchi-trà, amplificato dall'impatto col suolo dei tacchi rinforzati con le "ttàcce", chiodi con la testa larga.”

Giuseppina, che pesca perle preziose dai suoi antichi sdruciti libriccini, mi ha segnalato una variante al testo di Pe'ttia, che recita “quandu la gugghja ammano vui pigghjati l'arcedu ch'è pe' l'aria vui pingiti”. Pingiti, anziché il “pungiti” di Cosimo! E l'immagine vagamente sadica della bella che inforca la gugliata con foga tale da infilzare gli uccelli di passaggio - che pure è in perfetto stile col piglio energico e incisivo di Cosimo – si trasforma nel morbido gesto con cui il movimento del braccio che porta l'ago dipinge nell'aria un armonioso volo d'uccello.

Dei fertili dubbi relativamente al Cangiu, o Ciangiu, in Vurrìa ho già detto di recente.

Ma lo scoop più clamoroso lo ha messo a segno il commento apparso qualche settimana fa in coda al post su Peppinella, che qui riporto:
“Sì, Peppinella è realmente esistita! Può essere identificata in “Peppineja d’a marina”, così chiamata perché abitava in una baracca di legno a ridosso della spiaggia di Roccella Jonica, proprio “sotto il ponte della ferrovia”, quello che era ed è conosciuto come “il ponte di Rossetti”. È vissuta a Roccella all’incirca fino agli anni cinquanta/sessanta e conduceva una vita alla “bocca di rosa”... “
E poi:
“In quegli anni viveva a Roccella un’altra donna che conduceva la stessa vita di Peppineja d’a marina, ed era Lisa a Ciopa." - la nostra Cioparella?

Così predono vita i personaggi, i luoghi, le storie di cui nelle canzoni si narra, li riconosciamo, e ritroviamo anche noi stessi nella ideale comunità che essi ricostruiscono con sempre maggior precisione e saldezza.
E' uno dei tanti modi in cui i TaranProject sanno farsi motore di aggregazione sociale, uno dei tanti segreti del nostro felice senso di appartenenza all'universo – fantastico, ma reale - che hanno saputo creare.

Ritorno a Lione

Nuova avventura in terra di Francia per i TaranProject: concerto sabato 29 a St. Clair du Rhone, nei pressi di Lione, che già fu meta di una fortunatissima esibizione nel febbraio scorso.
Bon voyage, TiPì !

Leggete nei commenti l'appassionante racconto della serata di Francesco Franco, che ha portato sino a Lione l'entusiasmo del "Danza cu lu ventu...". Eccolo con i musicisti e Giuseppina, arrivata da Milano con Ciccio e Anna.
Anche Giuseppina descrive qui sotto le emozioni speciali che l'incontro con i TP ed il concerto hanno regalato.

Ma quantu vali, 'na gamba di massaru?

E' da oltre un anno che ci lasciamo immagare da questa canzone, e ancora – almeno è così per me – non ci riesce di dir le ragioni del suo fascino sempre nuovo.
Sicuramente la melodia è di presa immediata, con quell'incedere ondulante e seduttivo che è caratteristico di tanti brani di Mimmo; sicuramente il ritornello è irresistibile e luminoso, ha una rotondità levigata che invoglia a giocarci senza posa, e la frase musicale della lira ha una deliziosa spensieratezza malinconica; come sempre, il canto è avvolgente e conquistatore, e in unisono con Giovanna diviene puro piacere dei sensi. Ma tutto questo non basta. C'è qualcosa che cattura, avvince, e poi sfugge in mille direzioni, spingendoci a seguire il filo di impreviste trame emotive, a esplorare inediti scorci prospettici.
Questa, potremmo dire, è la prima canzone in 3D.
Ciò dipende ovviamente anche dal testo, un intreccio inestricabile di desideri, capricci, pensieri malvagi, che guizzano come pesciolini argentati nelle mille risonanze del timbro vocale di Mimmo.

Al centro della scena è il Massaro, cioè l'affittuario, o amministratore, della masseria: figura ibrida di suo, ben distinto dai contadini e pastori nella raffigurazione sociale, e però ai margini della casta dei nobili e proprietari, collocato in un crocevia di aspirazioni e cupidigie di cui egli è al tempo stesso oggetto e attore.
Il testo è fratturato in due ante speculari: nella prima è il massaro a ingolosire la bella promettendole beni materiali e agiatezze, che lei farebbe bene ad anteporre all'amore per il “bruttu craparu”; nella seconda è la moglie del marinaio a invocare addirittura la complicità di San Nicola per la sua macchinazione omicida, per poter così coronare il sogno di un favoloso matrimonio d'interesse col massaro.
Nel mezzo una dedica amorosa della più pura e alata poesia, che chiama gli inscalfibili Sole e Luna a propri araldi, e che sembra non c'entrare per nulla con gli umori impazienti e gretti delle altre strofe. Invece ci sta a meraviglia, e proprio perché crea quei forti contrasti in controluce che danno volume e realismo ai personaggi e ai loro sentimenti.
E a ben guardare rivela, negli ultimi versi, tutta la potenza dell'ambiguità: è il Sole cocente a provocare l'abbaglio della mente, a generare quella frase dolce come il miele - Se 'on bìju a tia 'on bìju nenti – che subito ci è parsa la quintessenza dell'amore, ma che in filigrana descrive anche la ragione profonda degli istinti egoisti e malevoli: l'accecamento, l'incapacità di vedere l'altro da sé.
Impossibile, in questa narrazione, scindere il bene dal male: è un rompicapo sentimentale che non si lascia decifrare del tutto, complicato come lo è la vita.
Bello e inesauribile per questo.


U MASSARU

Se voi mangiari pane de maise
Pigghjate nu massaru ohi donna bella!
Nun ti prejari du carzuni tisu,
Chi ti porta lu pani in tuvagliella.
De mille amanti tu tenive pisca,
E ti pigghjiasti nu bruttu craparu.

Lu mari, lu mari, lu mari è fundu,
L’amuri mia a tia ti dugnu.
La luna, la luna esti lucenti,
L’amuri mia a tia pe sempri.
Lu suli, lu suli esti cocenti,
Si 'on biju a tia 'on biju nenti.

T’innamurasti d'a ricotta frisca,
Va vidi a lu granaru si c’è 'ranu.

Parti lu marinaru e va pe mari,
Dassa menza cinchina alla mugghjieri:
Mugghjieri mia accattancindi pani
‘nzicchè ‘nci vaju e vegnu di Missina.

Lu mari, lu mari, lu mari è fundu,
L’amuri mia a tia ti dugnu.
La luna, la luna esti lucenti,
L’amuri mia a tia pe sempri.
Lu suli, lu suli esti cocenti,
Si 'on biju a tia 'on biju nenti.

Santu Nicola meu fallu annigari,
Ca non mi curu ca restu cattiva,
Ca quantu vali 'na gamba di massaru
Non vali na barca cu' triccentu rimi.

Lu mari, lu mari, lu mari è fundu,
L’amuri mia a tia ti dugnu.
La luna, la luna esti lucenti,
L’amuri mia a tia pe sempri.
Lu suli, lu suli esti cocenti,
Si 'on biju a tia 'on biju nenti.

(Nei commenti la traduzione in italiano)

Citula d'argentu

Qual è la canzone più bella dei TaranProject? Quella che anche tra cent'anni ascolteranno con la considerazione devota che si tributa agli immortali?
Impossibile rispondere. Troppo lacerante lo strazio di lasciare questa o quell'altra per prenderne una sola.
Ma una cosa è fuor di dubbio: se prima di arrivare al verdetto ci fosse da compilare una rosa di papabili, diciamo dieci, Citula d'argento ci sarebbe. Anche se la rosa fosse una cinquina, ci sarebbe. E se fosse solo una terna, ugualmente, sono sicuro, ci sarebbe. Perché questo brano è un'opera d'arte senza tempo e luogo, un assoluto in musica.

Domanda di riserva: ma che cos'è questa Citula?
Lo chiedono in molti. E cos'è, piuttosto, questo Duduk? ribatterei. Perché è dal duduk che si deve partire, dalla melodia evocativa e straniante, misteriosa e dolcissima, che Gabriele intona all'introduzione con questo flauto armeno, trasportandoci sul tappeto volante verso le steppe arse dal sole e i ventosi altipiani, così singolarmente somiglianti a certi paesaggi aspromontani, ma in più maestose dimensioni.
E' il regno del Lupo a passo lento – non saprei immaginare definizione più fulminante e perfetta per scolpire il carattere fiero e generoso di Cosimo Papandrea - lui che all'abbaiar dei cani non si “spagna” (ma guarda un po' che coincidenza!), fa le cose a tempo e mai si pente, e, come un maestro zen, ci rivela la più profonda e schietta verità: senza lievito non si fa pane.
E un pane saporito e saziante sono per noi le sue canzoni.

La melodia e l'arrangiamento hanno un'apertura, una spazialità incredibili, un moto ascensionale che fa divampare la passione in un ciclone benevolente, scortando il sospiro ambasciatore fin lassù, dove le bellezze e virtù dell'amata si comparano con la Luna, destinata a soccombere nel confronto.
Ecco l'esecuzione dell'agosto 2010 a Cittanova (video by miospazioan)


Quando irrompe la voce di Giovanna, per poi rilanciare l'ultimo ritornello di Cosimo, è l'estasi: restiamo a bocca aperta a rimirare la possanza di questa volta affrescata in cui l'ingegno compositivo si combina con un pathos travolgente.
Sì, ne sono certo: tra cent'anni l'ascolteranno ancora, e ancora non sapranno decidersi, se esserne più ammirati o emozionati.

Ah, dimenticavo la citula: si tratta di una lira un po' più grande, quasi una cetra, e si suonava già nel Rinascimento. Anzi, ricordate? A Roma nelle Stanze Vaticane, la “Scuola di Atene” di Raffaello, dove son ritratti gli illustri e i sapienti di ogni epoca, Socrate, Euclide, Leonardo da Vinci... accovacciato, pare ci sia un suonatore di citula: sì, è Cosimo da Gejusa!

Citula d'Argentu

Chitarra d’oru e citula d’argentu
Fati sentiri stu sonu ‘mperiali.
Canzuni aju a cantari chjiù di centu,
Mu schiatta cu non voli e parra mali.
Eu su comu lu lupu a passu lentu,
E non mi spagnu si bajiunu i cani,
Li cosi fazzu a tempu e mai mi pentu,
Ca senza levitu non si faci pani.

La luna è janca e vui brunetta siti,
Ija è d’argentu e vui l’oru portati,
Ija si scura e vui ca la vinciti,
Ija s’accrissa e vui non v’accrissati.
Vui lu suli e la luna ca vi uniti,
Ma ne suli e no luna vi chjiamati.

Si lu suspiru avissi la parola
Chi bellu ‘mbasciaturi chi sarria!
Parti suspiru cu lu ventu vola
Vai a trovari tu la bella mia.
Eu t’amu quantu poti n’omu amari
Ti vogghjiu beni chjiù chi ti volìa.

La luna è janca e vui brunetta siti,
Ija è d’argentu e vui l’oru portati,
Ija si scura e vui ca la vinciti,
Ija s’accrissa e vui non v’accrissati.
Vui lu suli e la luna ca vi uniti,
Ma ne suli e no luna vi chjiamati.

(canta Giovanna)
“La luna ammanca e vui sempri crisciti,
ija perdi la luci e vui la dati...
E si l’arrivi penzerusa e sula,
dinci ca chistu cori la desìa"

La luna è janca e vui brunetta siti,
Ija è d’argentu e vui l’oru portati,
Ija si scura e vui ca la vinciti,
Ija s’accrissa e vui non v’accrissati.
Vui lu suli e la luna ca vi uniti,
Ma ne suli e no luna vi chjiamati.

(nei commenti la traduzione in italiano)

Vurrìa

Vorrei: l'onnipotenza del desiderare, la virtù creativa di un sentimento totalizzante, che vuol essere per l'amato sole mare cielo e terra in una volta.
Un turbinoso canto notturno, impastato di sogni e icastiche visioni: una fontana presso cui suona una “corda strana”, in un giardino incantato adorno di voli d'uccelli, che disegnano melodiosi fuochi d'artificio.
La musica pensata da Giovanna vive di fiotti e sospensioni, esprime come meglio non si potrebbe lo sgorgare dell'amore e le sue delicatezze, e lei è maestra nel modulare la voce tra slancio e misura, fino al finale irresistibilmente conquistatore.
Nel video (di u2lucky77) l'esecuzione di Ferragosto 2010 a Stilo.


C'è un verso che ha sollecitato la curiosità interpretativa di molti: “La fata di lu munti e di la serra, mu ciangiu li to peni in cuntentizza”.
Ciangiu o Cangiu? Per piangere o Per cambiare?
Quest'ultima lettura sembrerebbe la più ovvia, giacché le fate lo fanno per mestiere di cambiare, trasformare; e quindi potranno ben tramutare i dolori in gioie.
Invece Giovanna ci assicura che l'antica pergamena reca scritto proprio "ciangiu”, e ci suggerisce un'interpretazione ben più sottile e suggestiva: vorrei essere una fata per piangere con te le tue pene, fino a trasformarle in contentezza; un pianto compassionevole e catartico, dunque, un assumere su di sè i dolori dell'amato fino a dissolverli in un sollievo liberatore, che nel volgere in transitivo il verbo piangere esprime perfino una connotazione linguistica di condivisione emotiva.
Chissà se questo Ciangiu sarà stato pensato e scritto proprio così, dal remoto autore; ma in fondo non importa molto, ché anzi ci piace ancor di più pensare che un occasionale refuso abbia trasfigurato un concetto tutto sommato scontato, il tocco magico della fata, in un'immagine insolita e commovente: una fata umanissima che, anziché semplicemente sfiorarci con la sua bacchetta, ci tenga tra sue le braccia e pianga con noi le nostre lacrime, fino a stemperarne l'amaro e distillarne un'acqua pura e vivificante.

VURRIA

Vorria mu su n’arcejiu i paradisu,
'n'aquila d’oru chi ti porta ’ncielu,
cu ll’occhji dintra s’occhji di surrisu,
arrivutata ‘nta nu jancu velu.

Suli mu sugnu e mu ti fazzu strata,
aquila chi t’accurcia li camini.
Vorria mu su 'na rosa profumata,
'na rosa di villutu senza spini.

Ciangi la vita mia comu sta corda strana,
veni anima mia t’aspettu a la funtana.
Veni chjanu chjanu, parrami vicinu,
stasira l’arceji cantanu ‘nta su giardinu.

Vorria mu sugnu l’unda di lu mari,
lu raggiu di lu suli e di la stija,
quantu eu mu ti pozzu carizzari
sa facci di palumbu picciriju.

Suli mu sugnu, e mari e cielu e terra,
tuttu mu sugnu pe' a bellizza tua,
la fata di lu munti e di la serra
mu ciangiu li to peni in cuntentizza.

Ciangi la vita mia comu sta corda strana,
veni anima mia t’aspettu a la funtana.
Veni chjanu chjanu, parrami vicinu,
stasira l’arceji cantanu ‘nta su giardinu!

(Nei commenti la traduzione in italiano)

Tre d'amore

Continuiamo ad assaporare i profumi dei rifiorenti Hjuri di Hjumari, soffermandoci finalmente su alcune canzoni del cd.
Forse per la fortuna di aver avuto fin da subito i testi tutti disponibili sulle pagine del blog, non c'era ancora stata l'occasione di concentrare l'attenzione sui singoli brani, come abbiamo fatto per molti dei classici di Mimmo e Cosimo di cui magari era meno facile reperire il testo, e di recente per i brani nuovi di quest'anno.
E' ora di iniziare a colmare questa lacuna, e lo farò celebrando i tre brani forse più rappresentativi dei tre autori e cantanti; o forse semplicemente i miei preferiti, quelli che in tutti questi mesi ho amato un filino più degli altri.
Cominceremo dando ali al desiderio con Vurrìa,
per librarci poi verso l'empireo dove abitano Citula d'argentu e Massaru.

I nuovi Hjuri di Hjumari

I giornali riferiscono che questo è stato il settembre più caldo degli ultimi 150 anni, e si son visti gli alberi rifiorire in autunno.
La colpa è dei TaranProject.
Sono stati loro i primi a dare il la a questa primavera di ritorno: a settembre infatti sono sbocciati di nuovo i loro fiori di fiumare, con l'avvio della distribuzione nazionale del cd.

Pubblicato alla fine di agosto 2010 nella sua prima versione, miracolosamente assemblata sottraendo le ore al sonno tra un concerto e l'altro, “Hjuri di Hjumari” era da tempo esaurito.
La nuova versione, completamente rinnovata nella grafica e un pochino anche nei suoni, e arricchita di un bonus track, è dapprima apparsa quest'estate ai concerti... per andare di nuovo presto esaurita! A fine agosto non se ne trovava già più una copia.
Ma ecco finalmente la stampa ufficiale: il cd è ora disponibile presso tutti i negozi, le catene Fnac e Feltrinelli e i principali distributori su internet.
Rimando alla recensione del disco, ma vorrei soffermarmi sulle novità.

La copertina mostra, in sciccoso oro su nero, l'albero umano che è stato l'emblema del Tour 2011, ed è elegante e preziosa.
Di alcuni brani sono state registrate nuove esecuzioni, al NunuLab di Carmelo Scarfò a Mammola, mentre della masterizzazione si è occupato Fabrizio De Carolis a Roma.
E' da qui che sono scaturite alcune differenze, non grandi ma chiaramente percepibili, rispetto alla prima versione: in generale il suono è più dettagliato e limpido, i vari strumenti e le voci si distinguono con maggior nitore, è come se un'atmosfera più rarefatta e pacata invitasse ad un ascolto meno emotivo, e tuttavia di più agevole lettura; alcuni brani sicuramente ne guadagnano, e vorrei citare in particolare “U salutu”: è quello che più di tutti, in seconda fioritura, ha acquistato in fragranza e colore; liberatosi dal bozzolo di un suono che prima era un po' impastato, è divenuto una maestosa farfalla che vola in alto e risplende, una delle vette del cd.
Sicuramente con queste sonorità che valorizzano le chitarre e sacrificano un po' i bassi, più orientate alla dimensione pop, con le meravigliose voci di Mimmo, Cosimo e Giovanna in primo piano e molto ben caratterizzate, il disco avrà più facile accesso ad un orecchio che non conosca già le canzoni e i musicisti.
Forse si è in parte attenuato l'impatto epico, la travolgente vitalità della prima edizione, i TaranProject appaiono un po' meno “cervo uscito di foresta” (perdonatemi la citazione insolita: così l'allenatore di calcio Vujadin Boskov descrisse, una ventina d'anni fa, lo stagliarsi palla al piede, sulla soglia dell'area avversaria, dello straripante campione Ruud Gullit), ma d'altra parte il prodotto finale che qui risulta è il perfetto biglietto di presentazione da indirizzare a una platea nazionale.

Soprattutto, c'è da dire del brano in più: si tratta nientemeno che di “Stilla Chjara”, la canzone che più di ogni altra commuove e trascina il pubblico, e che da sempre segna uno dei momenti magici del concerto. Fa un certo effetto sentirla per la prima volta suonata in studio, dopo che in decine di occasioni l'abbiamo ascoltata, vissuta, goduta dal vivo, cantata in coro nelle piazze, in innumerevoli repliche di un originale che fino a oggi non c'era. Adesso c'è, ed è splendente intensa e compiuta, ricca della sapienza maturata in questo suo nascere a rovescio, a suggello di una gloriosa milizia carica di onori: non è stata impresa da poco cristallizzare una Stilla Chjara definitiva, eppure Cosimo c'è riuscito con un'interpretazione magistrale (cantando in un solo take tutta la canzone! - ci hanno raccontato), mentre la pipita di Gabriele vi ha apposto quel sigillo arabescato che la rende perfetta.

Mi resta un'ultima riflessione, a distanza di sedici mesi dalla comparsa di questi brani:
in prospettiva, risalta più che mai lo straordinario atto creativo con cui i TaranProject hanno saputo crescere rispetto al loro precedente repertorio, acclamatissimo e vincente; con coraggiosa passione hanno proposto una dozzina di canzoni ben più complesse ed elaborate, ricche di sfaccettature nuove e arrangiamenti inediti; capaci di misurarsi con le spagne e le mulinarelle degli anni scorsi - divenute nel frattempo patrimonio usurpato da miriadi di emuli - e uscirne con la forza poetica e lo spessore artistico di uno stile personale che, lo possiamo ben dire, reca ora l'inconfondibile e inarrivabile marchio TaranProject.

Link a Tre d'amore.

Ohi Peppinella!

In tanti mi hanno chiesto, recentemente, di pubblicare il testo di questo brano, che apre il concerto 2011. Esitavo, arrovellandomi ancora in qualche incertezza nella decifrazione e nell'interpretazione di alcuni versi.
Senonché, nel giro di ventiquattr'ore, è dapprima apparsa - nei commenti ad un post precedente - la trascrizione di Giuseppe Cricrì, e poi - su Facebook - un'altra della solita preziosa Giuseppina. Un caso, dite? E allora come la mettiamo col fatto che a trascrivere Peppinella siano stati un Peppe e una Peppina?
Ringrazio tutti e due, per il generoso contributo e per avermi permesso di chiarire definitivamente i miei dubbi.

Sulla canzone non c'è molto da aggiungere, se non che è da anni nel repertorio di Mimmo - fin dal tempo dei TaranKhan - è che è un ideale starter per il concerto, con la sua cadenza coinvolgente e festaiola.
La protagonista - dice bene Giuseppe nel suo commento - è una Bocca di Rosa cauloniese. E dico cauloniese in quanto le località citate nel testo identificano un territorio molto circoscritto, che sembra avere come centro proprio il paese di Caulonia.
Sarà esistita davvero, questa ragazza capace di dispensare amore e gioia al mondo, di rapire il cuore del giovane che, pur nel rimproverarla per i suoi troppo facili costumi, la implora: comu ti pozzu amà?
E' come se il desiderio cercasse un modo per aggirare i moralismi, rendere possibile questo amore, apparentemente sconveniente, eppure irresistibile nella sua vitale spontaneità. Il ritornello è ardente e spensierato, anche la musica sembra dire: al diavolo i se e i ma, Peppinella, ti voglio amare!
E così, la festa del concerto abbia inizio...

Peppinella

Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?

Ti nde jsti vinedi vinedi e t’abbasasti ch'i carbineri,
ti nde jsti di ccà e di jà e ti facisti chiamari mammà.

Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?

Ti nde jsti a Pampiniti e ti parìa ca ti mariti,
ti nde jsti a la Zija e ti parìa ca ndavi a mia.

Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?

Ti nde jsti a Catanzaru e ti mentisti la vesta ‘nsanu,
ti nde jsti a la Marina e ti chiamaru signurina;

Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?

Ti nde jsti a la Rucceja e ti chiamaru bedareda,
ti nde jsti a la Giajusa e ti chiamaru carinusa.

Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?

Trapinarella e trapinatura,
fici 'na cofana 'e crjatura.
Trapinarella e trapinatura
fici 'na cofana 'e crjatura.
Sutt'o ponti d’a ferrovia
cu ‘nchjanava e cu scindja...

Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?

(Traduzione e note nei commenti)

Partìu lu TaranProject...

...e jiu alla fera!
Il più delle volte è proprio così, giacché buona parte dei concerti del gruppo di Mimmo e Cosimo si tiene in occasione di feste di paese, con ricco contorno di bancarelle e chioschi: e chissà quanti gobbetti, e vecchierelli, e pelirossi!

Sarà per questo che lo Jimbusedu non può mai mancare:
un brano popolarissimo e amato dal pubblico, che da tre anni sta nel bis finale, e da lì non si schioda;
ora è intarsiato nella “Tarantella guappa” di cui abbiamo appena discusso, e al cui filmato vi rimando, poiché nel bel mezzo c'è appunto “U jimbusedu”.

Anche per questa canzone il testo è a canovaccio variabile, con strofe non necessariamente collegate fra loro, se non dalla meta che accomuna i vari personaggi diretti alla fiera.
In testa al gruppo rimane l'indimenticabile gobbetto, che va a comprarsi una chitarra nuova con cui saprà incantare gli astanti, facendo felice e orgogliosa la moglie.
Il finale delinea una morale: per brama della “ficarella milingiana”, che ci ingolosisce al chiaro di luna, si finisce col rimetterci non solo pomi e peri, di cui in fondo poco ci cale, ma pure il ramo più bello dell'albero!

La versione dello scorso anno la si può trovare in quest'altro post, con una strofa in più cantata da Cosimo; nei commenti, Giuseppina riportò il testo. Lo ripropongo qui, per maggior facilità di consultazione.
La traduzione in italiano è nei commenti qui sotto.

U jimbusedu

Partiu lu jimbusedu e jiu alla fera
pe'mu s'accatta na chitarra nova,
e la mugghjeri tutta preju preju:
guardate u jimbu meu comu la sona.

E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.

Partiu lu vecchiaredu e jiu alla fera
pe'mu s'accatta padeja e pignata,
nu carru di patati chinu chinu
pe'mu c'abbasta pe' tutta l'annata.

E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.

Partiu lu pilirussi e jiu alla fera,
pe'mu si vindi pipi e pumadora,
ma la vilanza non volìa 'nchianari
e a pilirussi lu facia 'ncazzari.

E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.

Gianmariana mia, Gianmariana
to maritu non c'è chi jiu a la fera
pe'mu t'accatta 'na pisa di lana,
mu ti la fili a lustru di lumera.

E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.

Arzira cu lu lustru di la luna
vitti na ficareda milingiana,
lu cori mi dicia pigghiati una,
e l'attru mi dicia lu 'nchiana 'nchiana.

E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.

A la 'nchianata la fici sicura,
a la scinduta si schiancau la rama,
non ciangiu no li pira e no li puma,
ciangiu ca si schiancau la megghju rama.

E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.

Tarantella Guappa!

L'apoteosi del concerto 2011 scocca quando, ad apertura del sontuoso finale in cui s'intrecciano vari temi popolari, Mimmo lancia la sua invocazione: “Comu ballanu belli...”, a beneficio di tutti noi “figghjoli”, che gremiamo la piazza; e intercede per noi: “che la Madonna li pozz'aiutari!”, rivolgendosi pure a Sant'Antoni, oppure – secondo le località e le ricorrenze – a Santu Roccu, o San Nicola, o altri numi ancora.
E' un momento di grande emozione e comunanza, sottolineato da un ritmo vivace e beatificante, che raduna tutto il pubblico sotto un manto di spiritualità allegra, che presto si tramuterà nello scatenato ballo conclusivo.

Ma la festosa giaculatoria nasconde un'anima tutt'altro che pia!
Di questa canzone è nota la versione dell'ottimo Daniele Sepe; forse non tutti sanno che, prima ancora, la eseguiva un tal Fred Scotti, protagonista di una vicenda artistica ed umana decisamente insolita.
Il suo nome era Francesco Scarpelli, era originario del cosentino, e cantava le cosiddette “canzoni di malavita”, col nome d'arte, appunto, di Fred Scotti. Alcune sue registrazioni appaiono in quella serie di controversi cd dedicati alla “Musica della 'ndrangheta”, che ebbero un incredibile successo, anche all'estero, qualche anno fa: un fenomeno davvero singolare, dagli inquietanti risvolti sociali, come documentato approfonditamente da Ettore Castagna nel suo interessantissimo libro “Sangue e onore in digitale”.
Questo brano, col titolo di “Tarantella Guappa”, è sul primo di quei cd: dunque non propriamente di una preghiera si tratta, quanto piuttosto di un canovaccio di velate minacce e ambigui sottintesi, suggeriti qua e là nel testo.
La carriera di Fred Scotti, cantante tutt'altro che disprezzabile, ebbe un epilogo fatale e beffardo: fu assassinato per strada, nel 1971, scontando la colpa di essersi invaghito della moglie di un Guappo, un piccolo boss di paese, contravvenendo così alle regole ferree dell'onorata società che le sue canzoni celebravano.
Ma ecco qui la sua versione:



Ed eccone un'altra, in anni più recenti, dell'Arlesiana Chorus:

Un filmato (da vedere su youtube) davvero notevole, non solo per la qualità artistica di questo ensemble che mescola classico e popolare in modo originalissimo, ma per la presenza di volti a noi familiari; da sinistra si riconoscono: Carlo Frascà, leader del gruppo nonché maestro e padre nobile di tutti i musicisti della Locride; Daniela Bonvento, che fu dei TaranKhan, alla lira calabrese; Francesco Loccisano alla chitarra, col capello insolitamente acconciato; Manuela Cricelli, splendida voce dei Karakolo Fool; Raffaele Pizzonia, attuale batterista negli Scialaruga di Fabio Macagnino.
Un'autentica All Star Band!

E' la volta del gran finale del concerto dei TaranProject, con Mimmo e Cosimo che si alternano alla voce, con la Tarantella Guappa che diventa Jimbusedu, e poi Tarantella Brada, fino all'immancabile “Narannannèru...” che tutti cantano in coro.
Non proprio un'angolatura di ripresa professionale, in questo video (di Cefipe, a Cittanova), e tuttavia uno spaccato ben rappresentativo dei cuori tarantati di tutte le età che ogni sera danzano in felice consonanza.



E' appena il caso di precisare che i TaranProject nulla hanno da spartire con l'oscuro contesto socioculturale in cui questa canzone nacque, trattandosi qui della semplice ripresa giocosa di un brano divenuto da tempo patrimonio popolare.

Il testo di Tarantella Guappa consta di varie strofe, intercambiabili secondo il gusto occasionale dell'interprete.
Qui di seguito ne riporto una buona parte: con l'avvertenza che il calabrese non è la mia lingua, e dunque ci saranno sicuramente errori ed omissioni, mentre di qualche espressione gergale mi sfugge il senso; siano naturalmente benvenute le opportune correzioni!
Un tentativo di traduzione in italiano è nei commenti.

Tarantella guappa

Comu ballanu belli ssi figghjoli!
Chi la Madonna li, chi la Madonna là,
chi la Madonna li pozz'aiutari!

Minatevi ssi corpi chianu chianu,
'ca sugnu distinati a ben muriri,
'ca sugnu distinati, bella, a ben muriri.

Si lu curteddu miu s'avìa lu tagghju,
carogna io ti sfreggiu e t'anzaccagnu,
carogna io ti sfreggiu e t'anzaccagnu.

E pe' piscà stu cefalu
ci misi 'na simana,
ca lu piscai di sulu
e stu cefalu capitù,
ca lu piscai di sira
e stu cefalu chi mi tira.
Tiritinguli e tiritunguli,
cucuzze e cucuzzuni,
lu spassu di li fimmini
su' l'omini 'ncudinuli!

Comu ballanu belli ssi figghjoli!
Chi Sant'Antoni li, chi Sant'Antoni là,
chi Sant'Antoni li pozz'aiutari!

Scinni Maredda mia, cunza lu lettu,
avìa li carni sua com'a lu lattu,
avìa li carni sua, bella, com'a lu lattu.

Abballati, abballati,
fimmini schjetti e maritati,
e si nun ballati bonu
nun vi cantu e nun vi sonu,
e si nun ballati pulitu
nci lu dico a lu vostru zitu.
Sciù sciù sciù,
quanti fimmini ca ci su'!
Sciù sciù sciù,
quanti fimmini ca ci su'!

Vorrìa mu moru, vorrìa mu moru,
cu' zuccaro e cafè mu m'imbalenu,
cu' zuccaro e cafè, bella, mu m'imbalenu.

E lu previti 'i Roccaforti
s'a fujiu c'a parmisana,
malanova ca jivanu forti
comu lu ventu di tramuntana,
malanova ca jivanu forti
comu lu ventu di tramuntana.

E lu punti di Petraci
fu la ruvina mia,
manijandu petra e caci
si nda jiu la vita mia,
manijandu petra e caci
si nda jiu la vita mia.

Faciti rota, faciti rota,
stamu morendu di la purvarata,
stamu morendu, bella, di la purvarata!

Vurria mu mi maritu a 'Ntonimina,
mu mi la levu 'n'antoniminara,
e nun m'importa no ch'è piccirina
basta che 'ndavi la dota di lana.

Segue "U Jimbusedu".

Ripresa, canta Cosimo:


Ohi chi bella la cutrisa,
la vidi caminari
cu lu zocculu allu pedi
di lu ballu tricchi-trà.

Vurria mu mi maritu a Petra Cupa,
aundi fannu lu pani di pizzata,
e non m'importa no ca 'undavi dota,
abbasta mu mi faci, bella, la pizzata.

Zipingula zipangula,
simenta di meluni,
lo spassu di li fimmini
su' l'omini sciampagnuni!

Rosa, Teresa, Catarinella mia,
'na guccia di to sangu
sanarìa la vita mia!

Una danza ionia ad Epizefiri

Non lontano da Locri, in contrada Pirettina, c'è un luogo di favola, che sta in uno spaziotempo sospeso, tra cielo e mare, tra passato e presente, tra natura e creazione artistica; stranamente discosto dagli itinerari turistici più invadenti, conserva perciò intatta la sua arcana suggestione. La si assapora semplicemente sedendosi su uno dei gradoni in alto, a contemplare la striscia color carta da zucchero stesa lungo l'orizzonte, gli ulivi secolari, il modo in cui gli antichi manufatti si compenetrano con la terra, le erbe, i fiori, i profumi intensi della Locride. Magari nell'ora che segue il crepuscolo, quando il verdegrigio e l'ocra si animano di quella incredibile screziatura rosa: succederà di sentirsi - come canta Mimmo - “nu re, sedutu supa 'na petra”.

Proprio a quell'ora, alle 19.30 di sabato 17, nella cavea del Teatro Greco di Locri risuonerà come per incanto una Danza Ionia.
Inizierà con questo brano lo straordinario concerto di Francesco Loccisano: in trio con Mico Corapi e Vincenzo Oppedisano eseguirà per intero il suo album "Battente Italiana", profittando di un'acustica naturale d'eccezione.
Sarà la prima assoluta, per l'antico Teatro: la prima volta dopo millenni che si offrirà ad un concerto musicale. E va alla Direzione del sito archeologico di Locri Epizefiri il merito di aver scelto, per questa storica riappropriazione, un esponente di spicco di quel piccolo grande Rinascimento musicale che su queste pagine andiamo documentando, in continuità con il concerto dei TaranProject presso il Tempio Marasà dello scorso anno.
Non poteva esserci scelta di maggior prestigio: Francesco Loccisano - disse bene Eugenio Bennato, presentandolo, la sera finale del Festival - è il massimo virtuoso al mondo della chitarra battente.
L'ingresso è gratuito, ma – attenzione! - i posti sono limitati.

L'indomani, domenica 18, c'è un altro concerto da non perdere: a Siderno, alla Festa del Volontariato, si esibirà Stefano Simonetta, alias Mujura; non è così frequente, l'opportunità di vederlo suonare dal vivo, ma ne vale assolutamente la pena: per godersi il suo bellissimo album solista in versione ancor più rockettara, sulfurea e umorale, un'occasione per liberare le emozioni e la mente.

Non se ne avranno a male, i TaranProject, se per questo weekend suggerisco appuntamenti alternativi ai loro concerti: in settembre loro gravitano per lo più sulla provincia di Vibo, nuovo ennesimo focolaio di passione che si sta accendendo per loro.

Ed ecco una bella foto (by Rosalba) del Loccisano Trio a Epizefiri.

Sona ssu tamburu

A completare la panoramica dei brani inediti di quest'anno mancava solo la nuova canzone di Giovanna, con la quale si celebra un amore festoso, colorato e floreale, che palpita al suono di un travolgente tamburo.
Musica e testo sono stati scritti da Giovanna Scarfò, che si dimostra una volta di più ragazza dalle mille virtù, versatile e in ogni sua incarnazione bravissima: anche in questo pezzo unisce spontaneità, ardore e professionalità nel modo naturale che è proprio degli artisti di calibro assoluto.

I precisi riferimenti del testo – Crochi è una località nei dintorni di Caulonia – lasciano intuire uno spunto autobiografico; ma la potenza e incisività dei versi (c'è il contribuito di un terzo fratello Scarfò! Si tratta di Francesco, autore e chitarrista di razza negli Scarma), lo spettacolare respiro pop della costruzione melodica, l'interpretazione trascinante che Giovanna ogni sera ne dà, lo rendono un canto d'amore universale, che allarga il cuore e lo colma di entusiasmo.

(Video da Youtube di Vargassetto)


Sona ssu tamburu

Si' a stida chjù splendenti di lu cielu,
ca a presenza di lu cielu rende onuri,
tutti li stidi ti stannu a guardari,
ed eu ammenzu ad igli m'ammagu d'amuri.

Li hjuri di lu pratu
si linchinu 'i culuri,
ma quandu passi tu fa primavera,
lu profumu sa di munti e di hjumara,
e quandu soni faci u cori arrivotari.

Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri che mi resta.

L'occhj toi si linchinu di hjuri,
comu li prati a Crochi a primavera,
lu cori mi si stringi senza u pozzu respirari
e cantanu li melodi d'amuri.

E non m'importa nenti
di chi dinnu li perzuni,
e la hjumara si poti levari...
Mi faci mali, non haju chiù rigettu
se non ti pozzu aviri a lu me pettu.

Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu,
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri chi mi resta.

Pe' centu anni ancora ti vurria guardari,
pe' centu anni ancora ti vurria basari,
pe' centu voti venaria mu cantu 'ccà cu'ttia
sta canzuni, pecchì si' a vita mia.

E ssu tamburu sona
e mu mi ricorda sempi
la vita senza tia non esti nenti,
e cantu sta canzuni a tutti i venti
mu passa nta lu cori di la genti.

E quandu penzi a mia penza a li hjuri,
mu ti ricordi tutti li culuri
chi ndi ficiru restari senza hjatu
quandu ndi canuscimmu nta lu pratu.

Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu,
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri chi mi resta.

(Nei commenti la traduzione in italiano)

Sabato 10 i TaranProject a Pisa

E con questo sono quarantotto! I concerti, in 52 giorni.
E le quattro date libere sono state dedicate: una alla serata finale del Kaulonia Tarantella Festival, alla quale Mimmo e altri del gruppo erano presenti; due alle trasvolate atlantiche di andata e ritorno dal Canada; e una presumibilmente a cercar di riassettare il fuso orario, messo sottosopra per due volte in pochi giorni.
Reggeranno, i nostri intrepidi, a quest'ultimo impegno?
Staranno vacillando, sul punto di crollare?
Proprio al cospetto della Torre pendente, che da secoli sta così eppure è sempre capace di dare splendida immagine di sé, i TaranProject non saranno da meno. E prenderanno anche possesso del Campo dei Miracoli, dopo averne compiuti tanti in questi due anni...
Scherzi a parte, eccoli per la prima volta in Toscana: la località, nei dintorni di Pisa, si chiama San Giuliano.

visions of Toronto


L'arrivo in Canada dei TaranProject, a cavallo delle loro biciclette volanti!



Ed ecco le immagini del concerto al Toronto Taranta Festival:
un successone, naturalmente.



Nei commenti le impressioni a caldo di un nostro connazionale presente all'evento.



Da Cittanova... al Canadà

L'incredibile serie di 42 concerti in 43 giorni si conclude l' 1 settembre col botto finale, la serata di apertura del 4° "Tradizionandu Festival" a Cittanova: ad affiancare i TaranProject sul palco ci sarà Otello Profazio, vecchio leone indomabile, che per oltre vent'anni resse quasi da solo il vessillo della musica popolare calabrese, e che ancora oggi dispensa talento e simpatia.
Sarà una tre giorni di notevole spessore musicale, coi bei nomi di Peppe Voltarelli, Marasà, Malicanti e Nour Eddine: un plauso speciale lo merita il direttore artistico - che altri non è che il nostro Gabriele Albanese!

E poi?
Finalmente il meritato riposo?
Neanche a parlarne, ché i TaranProject spiccheranno subito il volo verso il Canada, per una straordinaria prima volta nordamericana, in una città che porta nel nome una vocazione inequivocabile:
il Festival si chiama proprio così,
"Toronto Taranta"!

Cosa non si farebbe...

...per amore dei TaranProject!

Nei giorni scorsi è apparso sul blog un commento - posizionato a piè di un vecchio post, e perciò passato sicuramente inosservato - che voglio qui riportare per intero, a completo svolgimento del tema di oggi.

"caro mimmo cavallaro..la serata di ieri è stata fantastica... Bruno si è dovuto svegliare alle 4 x andare a lavorare..ma x nn prendersi dal panico xk siamo tornati a casa alle 2 ..ha messo la sveglia con una tua canzone.."spagna" ed è volato dal letto..anzi si è alzato ballando!!!!ahahahahah spero che un giorno potremo ospitarti anche noi, al mio paese...però se l'amministrazione non ha mai fondi.. ti prometto che ti pagherò io di tasca mia..sono disposta a darti x una serata 50.000 euro xk te li meriti proprio...sei un grande!!!! aspetto risposta se ti va di accettare questa mia offerta...P.S. seguo tutti i tuoi concerti...e per ricordarti di me..sono la ragazza che ti ha chiesto di fare la foto a san nicola da crissa!! <3 <3 <3 <3"

Quando si dice una proposta indecente!
Par di vederli: Bruno che scende dal letto ballando, cosa che non ha forse smesso di fare nemmeno nelle due brevi ore di sonno... e la nostra anonima simpaticissima amica che dà fondo a tutti i risparmi di una vita per una serata (musicale, s'intende) con Mimmo!
I <3 a fine messaggio sono naturalmente dei cuoricini.
E tutti noi sappiamo che i cinquantamila euro potrebbero altrettanto bene essere appena cinque, oppure cinquanta milioni, poiché la gioia che ci resta dentro dopo il concerto non ha prezzo, è della stoffa pregiata di cui questa ragazza ci ha dato splendida dimostrazione.
Se stai leggendo, rifatti viva!

Inizia il Festival

E non sarebbe Kaulonia Tarantella Festival senza una serata consacrata ai TaranProject!
Quest'anno avranno l'onore di inaugurare la manifestazione, martedì 23 a piazza Mese; ospite speciale un musicista cauloniese illustre, quel Marcello Cirillo ben noto al pubblico televisivo, che i meno giovani ricorderanno agli esordi nel duo Antonio e Marcello lanciato da Renzo Arbore, e che è tuttora spesso presente sulle reti Rai. C'è grande curiosità per vedere come si esplicherà la sua collaborazione, pensata apposta per quest'evento, con i TaranProject; i quali poi proseguiranno la serata col loro classico concerto, promettendo qualche ulteriore sorpresa e novità.
E alla fine tutti allo Sperone, ad aspettar l'alba a ritmo di tarantella:
“...nesci lu suli e ancora ballamu!”

Pe' ttìa

I brani nuovi del concerto 2011, rispetto al 2010, sono nove:
le ben note Peppinella e Comu si gira comu si balla, già in scaletta nel 2009; i due che vengono dal cd “Hjuri di Hjumari”, l'omonima e Massaru; Ciano, già dei Karakolo Fool, che peraltro non viene eseguita ogni sera; A Virrinedda, di Rosa Balistreri; Patruni Meu di Mimmo, già nel repertorio dei TaranKhan;
infine due canzoni del tutto inedite, la nuova di Giovanna, Sona ssu tamburu, e la travolgente "Pe' ttia" con cui Cosimo fa il suo ingresso in scena.

Il testo è di due secoli fa, ma l'impeto amoroso che lo anima vibra intatto: tra mirabolanti sfide cosmiche, fino a catturar le stelle, e ardite imprese atletiche, a inseguir vascelli a nuoto, trovano risalto le consuete delicatezze liriche. La melodia pensata da Cosimo, prima evocativa e poi palpitante, sottolinea queste e quelle a meraviglia.

(Video da Youtube di Cuore Tarantato)


Pe' ttìa

Anna, lu nomu toi di l'annu veni,
tutti cu'ttia li soi bellizzi stannu:
l'estati porta sonni assai sereni,
le carni su' di nivi e 'mbernu fannu,
li labbra su' d'autunnu frutti armeni,
la facci primavera senza 'ngannu.

Pe'ttia vorrìa attaccà' lu suli
puru ducentu stilli 'ncatinari.
Pe'ttia vorrìa mu vaju a 'nnatuni
m'arrivu a nu vascellu ammenz'u mari.

Oh bella cu'ssi mani delicati,
e delicati li cosi faciti:
quandu la gugghja a'mmanu vui pigghjati
l'arcedu ch'è pe ll'aria vui pungiti.
Bella la sira quandu vi curcati
la Luna fa la ninna e vui dormiti,
e la matina quandu vi levati
canta lu rusignolu e vi vestiti.

Pe'ttia vorrìa attaccà' lu suli
puru ducentu stilli 'ncatinari.
Pe'ttia vorrìa mu vaju a 'nnatuni
m'arrivu a nu vascellu ammenz'u mari.

(Nei commenti la traduzione in italiano)

A virrinedda

Ecco le parole di un'altra delle canzoni nuove dello spettacolo 2011.
Si tratta di un celebre brano della tradizione siciliana, su testo poetico di Luigi Capuana, tra le più ammirate interpretazioni della grande Rosa Balistreri.
E' il canto di un innamorato che la bellezza accecante dell'amata rende dapprima impertinente e poi subito soggioga, lasciandolo senza fiato;
ed attendeva da sempre un interprete maschile che sapesse reggere il confronto con la versione composta e quasi dolente della Balistreri.
Chi meglio di Cosimo Papandrea poteva impugnare questi versi, e render loro tutto lo splendore di ardimentosa passione con cui erano stati pensati?

(video da Youtube di Marinella Staglianò)


A VIRRINEDDA

Accattari vurria na virrinedda,
di notti la to porta a spirtusari,
e vidiri gioiuzza mia quantu si bella
quannu ti spogghj prima di curcari;
ma timu ca tu fussi accussì bella
ca l'occhi nun m'avissiru a 'nnurbari,
lassa la porta misa spaccatella
ca eu stanotti ti vegnu a truvari.

E na barcuzza banneri banneri
sta Dia d'amuri ni vinni a purtari;
ridianu tutti li celesti sferi
trimavanu li specchi di lu mari.
E binidittu Diu ca tti manteni,
c'accussì bella ti vossi furmari,
spampinanu li hjuri unn'è ca veni,
l'arìu tribbulatu fa' sirinari.

Avia li trizzi di na Mandalena,
'ntesta si miritava na curuna;
ni la to casa non ci sta lumeri,
lu lustru lu fa' tu stilla Diana.
Catina ca mi teni 'ncatinatu,
catina ca 'ncatini l'arma mia,
beni ti vogghiu cchiù di lu me hjatu,
accussì criju ca vo' bbeni a mmia.

(Nei commenti la traduzione in italiano)

Lu meu patruni

Ecco il testo di una delle nuove canzoni di questa estate 2011!

Il brano era già nel repertorio dei TaranKhan, un decina d'anni fa, ed è stato riproposto anche in occasione dell'evento di Locri dello scorso aprile.
Ma ora ha assunto una veste completamente nuova, con il cantilenare meccanico di Giovanna a far da sfondo attonito, sul quale la voce di Mimmo si staglia in toni di grande intensità e suggestione.

(video da Youtube di Antotaranproject)


Lu meu patruni

Chjovi, chjovi, chjovi, chjovi,
la gatta faci figghjoli,
e lu surici si marita
cu' la coppula di sita...
Gajineja zoppa zoppa,
quanti pinni teni 'ncoppa?
Eu tegnu vintiquattru:
unu, dui, tri e quattru


E lu patruni meu esti tirannu,
mi fici mu lu perdu a mia lu sonnu,
mu zappu nott'e jornu a lu pantanu
mu si li linchi bboni li giarruni.

Mi partu la matina quann'è l'arba,
la sera mi ricogghju a notti scura,
a casa mi 'ndi tornu trappa trappa:
- apri mugghjeri mia, su' fattu stuppa!

Lu jornu di la festa canto e abballu,
ma lu me cori no nun è cuntentu,
penzu li picciridi senza pani,
li scarpi rutti e lu culu di fora.

Cu ha mugghjeri bella sempi canta,
cu 'ndavi sordi pocu sempi cunta,
pe' nnui non c'è speranza e nè fortuna,
ma c'è alla casa di vussignuria.

Cucci cucci cagnoledu,
mi rubasti lu curtedu,
e mi dici che nun è vero,
e mi dici che nun è vero.


E lu patruni meu esti tirannu,
mi fici mu lu perdu a mia lu sonnu,
mu zappu nott'e jornu a lu pantanu
mu si li linchi bboni li giarruni.

Lu jornu di la festa canto e abballu,
ma lu me cori no nun è cuntentu,
penzu li picciridi senza pani,
li scarpi rutti e lu culu di fora.

Chjovi, chjovi, chjovi, chjovi,
la gatta faci figghjoli,
e lu surici si marita
cu' la coppula di sita...
Gajineja zoppa zoppa,
quanti pinni teni 'ncoppa?
Eu tegnu vintiquattru:
unu, dui, tri...


(Nei commenti la traduzione in italiano)