Molti brani dei TaranProject, lo sappiamo, vengono dalla tradizione: un'affermazione apparentemente ovvia. Ma fino a che punto è davvero così?
Quanto conta l'intervento di adattamento, riscrittura, arrangiamento, svolto da un musicista che recupera una vecchia canzone? Si tratta cioè ancora di un patrimonio musicale comune a un intero popolo, lungo gli anni o i secoli? o è più appropriato parlare di opera individuale del singolo artista?
Sul tema la discussione è annosa e inesauribile, le convinzioni varie, e in dialettica talvolta anche aspra tra loro. Senza voler qui prender posizione sul tema generale, ci chiediamo: fino a che punto le canzoni di Mimmo e Cosimo appartengono alla memoria popolare, e in che misura loro le hanno elaborate, reinventate, a volte semplicemente rinfrescandone le sonorità, altre lavorando di taglio e cucito con frammenti di testi di varia provenienza, in qualche caso suturando le lacune con interventi originali, o inventando linee melodiche inedite?
Non che la documentazione ufficiale ci aiuti granché: mi riferisco all'informazione più semplice ed accessibile, quella relativa a chi ha composto dei brani, reperibile di solito sui libretti dei cd.
In Karakolo Fool e Sona Battenti risultano solo due canzoni definite tout court tradizionali: Cioparella e Rosabella; ma basta pensare a come è evoluta in questi due anni la prima, e a quante differenti versioni della seconda ci è capitato di ascoltare - una persino intrisa di suoni elettronici, ai tempi di TaranKhan! - per comprendere come anche questa affermazione sia di fatto opinabile. Alcune canzoni sono tradizionali solo nel testo: Spagna, Japri ssu Barcuni, Corvu Nigru; alcune totalmente autoriali: Tarantella Nova, Rosa Russa e Ciano di Mimmo, Mulinarella di Cosimo, altre anche di Mico Corapi e Stefano Simonetta; altre ancora sono definite elaborazioni, sia nel testo che nella musica, quasi tutte quelle di Sona Battenti, peraltro arrangiate da Francesco Loccisano.
Nel più recente Hjuri di Hjumari, addirittura, non sono nemmeno citati gli autori dei brani! - una dimenticanza cui certamente si sopperirà in occasione della prossima riedizione per il mercato nazionale, ma che in ogni caso la dice lunga su come, in quest'ambito, la questione della paternità non sia poi così sentita. Che sia un indice, anche questo, della generosa nobiltà d'animo della gente della Locride, che non si cura di copyright ma è propensa a regalare il proprio contributo a quel che viene vissuto come un patrimonio musicale condiviso? Forse è proprio così.
I musicisti stessi, in varie circostanze, con dichiarazioni pubbliche o in conversazioni occasionali, hanno fornito ulteriori spunti di… confusione.
Di recente Cosimo, parlando dei tre brani che canta in Hjuri di Hjumari, raccontava che solo uno è stato scritto da lui; ci è voluto un po' a capirlo, nel corso della chiacchierata, ma lui si riferiva esclusivamente al testo! In effetti le melodie sono tutte sue, mentre suo è solo uno dei testi (Quale? Provate a indovinare... Se non vi sarà facile è perché, appunto, un autore come Cosimo è a tal punto immerso nel grande fiume della tradizione da esprimersi artisticamente in modo del tutto consonante con essa); un'altra volta Giovanna, ai complimenti per la sua straordinaria Vorria, si schermì dicendoci che il testo l'avevano trovato, lei e Alfredo, in un vecchio volume, e che lei l'ha soltanto “musicata”. E vi sembra poco? Quella musica turbinosa, con cui Giovanna ci ghermisce e conduce con sé, nel regno meraviglioso dei desideri...
Si direbbe dunque che i nostri diano decisamente più peso alla scrittura del testo che alla melodia. Questo modo di veder le cose è tutto sommato coerente con un fatto ben noto a chi studi l'evoluzione delle canzoni popolari: è ampiamente documentato che quel che si mantiene pressoché inalterato, anche per secoli, è appunto il testo, mentre la musica cambia in modo anche radicale, a seconda delle epoche e della sensibilità dell'esecutore di turno. Forse pure in questo caso, e per gli stilemi musicali ancora di più, vale quanto detto in precedenza: questi artisti si sentono così pienamente immersi nella cultura della loro terra da riuscire senza grande sforzo a ideare nuove melodie pienamente nel solco della tradizione, senza quasi esser consapevoli della qualità straordinaria della loro creazione!
Ci sono poi canzoni che a qualunque orecchio suonano palesemente antiche, giunte alla loro forma perfetta attraverso anni di esecuzioni, da parte di innumerevoli musicisti: il pensiero corre ad esempio a U Jimbusedu, la formidabile filastrocca fatta apposta per il bis finale, per una tarantella sfrenata, fino al completo appagamento comunitario della piazza danzante.
Eccone una versione dell'estate scorsa (il video è di u2lucky77)
E invece, ancora una volta, abbiamo sentito di recente Mimmo raccontare, in un'intervista televisiva, che sì, il testo lo trovò in un consunto libello, scovato all'osteria da Micu i Cola, a Marina di Gioiosa. Ma la musica la compose lui, pochi anni fa!
E se questo brano è già diventato un classico, che ogni gruppo della zona esegue, che il pubblico sempre reclama per ballare su un tema noto a tutti e da tutti amato, è perché anche Mimmo Cavallaro è a sua volta un Classico, un maestro che possiede il talento e l'autorevolezza per innovare il canone della musica tradizionale, confermandone al tempo stesso la vitalità che dura nel tempo.
Come si confà ad una musica che, per esser popolare, non può certo pretendersi cristallizzata in stilemi arcaici e ormai desueti, ma deve continuare a camminare con la gente a cui si rivolge, di cui convoglia e sublima sentimenti, emozioni, allegrie.
Cosimo Papandrea, s'intende, non è da meno di Mimmo: c'è anzi una sua canzone che più di ogni altra ha una storia paradigmatica di quanto si è discusso in questo post, ed è presentata nel prossimo qui di seguito.
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Partiu lu jimbusedu e jiu a la fera
RispondiEliminape mu s'accatta na chitarra nova,
e la mugghieri tutta preju preju
guarda lu jimbu meu comu la sona...
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Partiu lu vecchiaredu e jiu alla fera
pe mu s'accatta padeja e pignata,
nu carru di patati chini chini,
pe mu c'abbasta pe tutta l'annata..
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Partiu lu pilirussi e jiu alla fera,
pe mu si vindi pipi e pumadora,
e la vilanza non volia nchianari
e a pilirussi lu facia 'ncazzari..
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Arzira cu lu lustru di la luna,
vitti na ficareja milingiana,
lu cori mi dicia pigghiatind'una,
l'attru ca mi dicia lu nchiana-nchiana..
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
A la 'nchianata la fici sicura,
a la scinduta si schiancau (ruppiu) na rama,
non ciangiu non li pira e non li puma,
ciangiu ca si ruppiu la megghiu rama..
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
(c'è un ultimo verso che però non conosco a memoria fino in fondo)
Gianmariana mia, Gianmariana,
arzira tu non c'eri e jia ....
TRADUZIONE
Partì il gobbetto e andò alla fiera,
per comprare una chitarra nuova
e la moglie tutta felice
guarda la gobba mia, come la suono (?)
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Partì il vecchietto e andò alla fiera,
per comprare padelle e tegami,
un carro pieno zeppo di patate,
che gli bastino per tutto l'anno..
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Partì il pelorosso e andò alla fiera
per vendere peperoni e pomodori,
e la bialncia non voleva salire,
e a pelorosso lo faceva incazzare..
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Ieri sera, alla luce della luna,
ho visto un fico nero,
il cuore mi diceva: "prenditene uno",
l'altro mi diceva: "sali, sali!"
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
L'arrampicata la feci sicuro,
ma allo scendere si spezzò un ramo:
non rimpiango nè le pere, nè le prugne,
rimpiango che si spezzò il ramo più bello...
E titinghitichititì, titinghitichitità,
E titinghitichititì, titinghitichitità./
Grande e tempestivissima Giuseppina!
RispondiEliminagrazie mille - poi magari ne facciamo un post a sè, con questo testo...
Queste ultime strofe non sono certamente nuove alla tradizione; anzi,la figura del fico, sopratutto del fico nero, deve avere un qualche connotato sessuale che mi sfugge, ma l'ho trovato spesso in parecchie rime calabresi. Per quanto riguarda la tradizione, devo dire innanzitutto una cosa che mi preme: grazie Fil per averne finalmente parlato, è da tanto che aspettavo questo articolo, lo sai! e poi voglio anche dire che abbiamo un patrimonio regionale bellissimo e sconosciuto ai più. Io mi sono appassionata alla poesia dialettale da sola, leggendo nelle lunghe vacanze estive le raccolte antologiche che ci avevano dato alle scuole superiori. Proprio durante gli anni delle superiori un'illuminata insegnante volle accostarci alla tradizione letteraria regionale, e non smetterò mai di benedire quell'intuizione. A tutt'oggi reputo fondamentale e sinceramente auspiscabile che i nostri ragazzi conoscano e apprezzino gli autori calabresi. Ne potrei citare decine, così come potrei non citarne nessuno, perchè la poesia popolare è la voce del vento, e come tale non ha nè padre, nè padrone...
RispondiEliminaE molte delle canzoni dei Tp affondano le radici in questo patrimonio comune e genetico, che ognuno riconosce come suo e che sa che gli appartiene senza aver tuttavia idea alcuna della sua provenienza. E' stata per me una bellissima sensazione comprare vecchie raccolte di canti tradizionali e leggendole, ritrovare in essi le parole e le frasi tanto amate.. Ecco qualche esempio:
"Sugnu arrivatu a stu aplazzu d'oru,
u'n mi cummene jhiri cchiù avanti.
C'era na donna ch'era bella tanta,
ca scummattia nta nu focu ardenti.
Iu mi 'nfurmava lu comu e lu quantu:
"Donna, pirchì pati sti turmenti?"
Idda si vota nta nu mari i chiantu:
"Avia fattu l'amuri e mi nni pentu".
(Canto tradizionale di Paola).
SONO ARRIVATO A QUESTO PALAZZO D'ORO,
NON SERVE PIU' PROSEGUIRE OLTRE.
C'ERA DONNA CHE ERA ASSAI BELLA,
CHE SI DIBATTEVA IN UN FUOCO ARDENTE.
IO M'INFORMAI SUL COME E SUL PERCHE':
"DONNA, PERCHE' PATISCI QUESTI TORMENTI?"
LEI SI VOLTO' IN UN MARE DI LACRIME:
"FECI ALL'AMORE, E ME NE PENTO".
Adesso la versione di Cosimo:
"Vinni mu cantu a stu palazzu d'oru,
cchiù non mi servi lu passari avanti,
c'è na figghiola chi spandi tesoru,
ogni capillu porta nu diamanti..
eh, mulinarella mia, mulinarella ,mulinarella mia quantu sì bella..."
Nella versione tradizionale, si accostano due figure: la giovane, bella come un palazzo d'oro (similitudine di biblico ricordo) e quella che si dibatte in un mare di lacrime e pianto e sembra quasi che, (come nell'inferno dantesco) per la legge del contrappasso adesso pianga per quel che in vita godette... O, se volete, più semplicemente si è donata per amore e ora se ne pente...
Nella versione di Cosimo non si soffre, almeno non in questi primi versi, e la bellezza della donna è come un palazzo d'oro nel quale alberga una giovane che spande tesori di beltà, tanto che ogni suo capello vale quanto un diamante.... che bello!!! confrontate le due versioni: quale vi piace di più?
sono belle entambe...xò preferisco qll di cosimi
RispondiEliminami sapete dire dove posso trovare il testo della canzone "Cugnu di li trona".
RispondiEliminagrazie da
peppesub@virgilio.it
Una doverosa precisazione a proposito delle tre nuove canzoni di Cosimo nel cd "Hjuri di Hjumari": per il testo di "Occhji di mari" si è avvalso della collaborazione di Francesco Papaluca, compositore originario di Grotteria.
RispondiEliminaGRAN PARTE DELLA CANZONE U JIMBUSEDU RACCONTA UN FATTO DI SANGUE PER UN AMORE RESO IMPOSSIBILE DAL PADRE DI LEI, LA CANZONE IN QUESTIONE DI CHIAMA A MEGGHJIU RRAMA
RispondiElimina"NON CHJIANGIU NO LI PIRA E NON LI PUMA CHJIANGIU CA SI RUPPIU LA MEMEGGHJIU RRAMA" CIOE' IL PADRE AMMAZZO' LA FIGLIA PERCHE' DUSUBIDI'.
manca una B errore di battitura pardon
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