Dopo l'esperienza con i primi TaranKhan, e dopo lo straordinario “Albjonica” di cui è stato ideatore e leader, Stefano Simonetta fu voluto al suo fianco da Eugenio Bennato, del cui gruppo Taranta Power è colonna portante dal 2004; il suo apporto non si è limitato al suonare il basso in modo personale e innovativo in centinaia di concerti in giro per il mondo, ma ha investito anche il lavoro di arrangiamento e di registrazione in studio.
Così il bagaglio di conoscenze di Stefano si è fatto ricco, ed ora che è giunto per lui il momento di ritornare nella Locride a registrare il suo primo disco solista, questa sapienza cresciuta nel tempo, posta al servizio del talento che c'era da sempre, ha prodotto un disco bellissimo, un punto d'arrivo da cui non si potrà più prescindere.
Lo pseudonimo che Stefano si è scelto, ad indicare in una sola parola se stesso e la propria opera, è un termine dialettale che significa un cielo gravido di nubi: quello che precede la tempesta, oppure forse l'aprirsi di un inatteso squarcio d'azzurro; un sinistro senso di immanenza che non promette nulla di buono, ma che al tempo stesso non esclude gli esiti più felici; ed è questo senso di urgenza, di attesa fremente e vigile, di speranza accigliata e desiderante, che caratterizza il disco, animandolo di una pulsione che lo rende così intenso ed avvincente in ogni nota.
Un album concept, si sarebbe detto un tempo, che si misura con le contraddizioni, anche le più aspre e attorcigliate, di una Locride sbozzata con inquadrature musicali vivide ed espressive.
Ma il tema centrale, in fin dei conti, è lo sguardo stesso che Stefano rivolge alla sua terra nel momento del suo ritorno, novello Ulisse a Itaca: non c'è da pensare a nulla di limitativamente autobiografico, poiché la lucidità e lo spessore della riflessione e dell'elaborazione sono di qualità non comune. Lo si coglie fin dalla scelta dei linguaggi: la mescolanza di popolare, arcaico e colto che già era stata caratteristica dei testi di Albjonica, e per la musica un impasto originale di tradizione e modernità, manipolato e governato da una ispirazione sicura.
Il ritmo febbricitante di molti brani, così come il lirismo sublime di "Amir", funzionano a meraviglia anche ad un ascolto distratto; ma ogni ascolto più attento rivela sempre nuovi risvolti, schiude prospettive e profondità che non si erano colte prima.
Non c'è canzone che non spicchi per la creatività delle soluzioni compositive e per la fulminante efficacia delle immagini descritte. Ma non si può non menzionare "Blu" (ascoltatelo qui), pezzo a presa rapida costruito su un refrain dal fascino irresistibile e su coloriture armoniche raffinate, con un testo-manifesto che cita, non a caso, Rino Gaetano, alle cui cose migliori può essere accostato.
“Blu... come Roccella in un giorno di maggio...
Blu... come gli oceani guardati dallo spazio...”
Ecco qui riassunte le dimensioni ardite su cui spazia lo sguardo di Mujura, dalla quieta naturalezza dell'appartenenza all'oggettività siderale della distanza.
L'incipit del brano fotografa la Calabria con un'istantanea memorabile:
“Tu, come una scarpa buttata nel mare,
senza poeti che ti sanno cantare...”
Ma ora non è più così: un poeta per cantare la Calabria con tutta la passione, la rabbia, l'intensità, l'amore, la consapevolezza, la fantasia che questa terra difficile esige per sé, adesso c'è.
Possiede la potenza di una maturità espressiva già compiuta, e si chiama Mujura.
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Segundo questo link si trova una interessantissima intervista-concerto di Mujura con Ivano Salomone a Radio Meridiano12, da ascoltare in streaming:
RispondiEliminahttp://www.radiomeridiano12.com/index.php?option=com_content&view=article&id=180&Itemid=111