“Ti tegnu a 'na rolìca...”
In molti chiedono cosa significhi la parola “Rolica”, titolo del nuovo cd dei TaranProject con Marcello Cirillo: si tratta di un termine arcaico, in uso – ma sarebbe forse il caso di dire ormai in disuso - nella Locride, per indicare una cosa preziosa, tenuta da conto, conservata con cura, protetta e forse persino nascosta.
La nostra amica Giuseppina ipotizza una radice comune al termine italiano “reliquia”, e a me l'idea pare decisamente convincente, anche se questa fantasia etimologica abbisogna di attendibili conferme.
Il disegno in copertina cattura subito lo sguardo: è un'immagine dai vividi contrasti cromatici, ritrae un anziano intento a riflettere, o forse a ricordare, nelle cui sembianze qualcuno ha riconosciuto Mimmo Cavallaro stesso. No, non è il suo ritratto tra qualche anno; però l'aria di famiglia comunque c'è: si tratta infatti di un quadro di Giuseppe Mercuri, pittore e poeta, nonché suocero di Mimmo, già autore, tra l'altro, del suggestivo testo di “U salutu”, in Hjuri di Hjumari.
Ma diciamo finalmente della musica!
E' un disco di gran classe, elegante e raffinato nelle costruzioni armoniche e nei dettagli sonori, e mostra con tutta evidenza la maturità espressiva e la versatilità stilistica raggiunte dal gruppo.
Non lo si può definire a tutti gli effetti il loro secondo cd, ma piuttosto una stazione di passaggio, la testimonianza estemporanea dell'incontro felice – anche e soprattutto sul piano umano – con un Marcello Cirillo che si propone con entusiasmo in veste di terza voce maschile, a fianco dei due colossi della musica calabrese.
Così lontano, così vicino: l'estrazione di Marcello, personaggio televisivo ed eclettico interprete pop, parrebbe quanto di più lontano si possa immaginare dalla salda radice tradizionale di Mimmo; però Marcello è nato a San Nicola, nel comune di Caulonia, poco distante da Gozza, patria di Mimmo, e per lui con questa collaborazione si è compiuto un emozionante ritorno alle origini, la riscoperta di un'identità musicale e culturale che nel suo girovagare artistico si era forse un po' smarrita, ma che ora viene impugnata con orgoglio e passione.
Ai TaranProject piace stupire i loro seguaci, spiazzandone in parte le aspettative: fu così con “Hjuri di Hjumari”, che arricchì gli scarni ritmi di tarantella con soluzioni compositive ispirate e preziosi arrangiamenti; e in qualche misura succede anche con Rolìca.
Nel disco respirano almeno tre anime diverse: ci sono i pezzi dal vivo al Kaulonia Festival (un assaggio del DVD ora in uscita, che comprenderà anche i brani che compaiono già nel "Live", cd virtuale su iTunes); c'è qualche classica tarantella che la prossima estate di sicuro spopolerà; e ci sono un paio di canzoni che sondano i territori del pop d'autore, avvicinandosi all'habitat più congeniale a Marcello.
Tra le prime, accanto alle straordinarie e ben note Citula e Cioparella, si segnala “Lu rusciu de lu mare”, di provenienza salentina; tra le seconde c'è una splendida “Tarantella d'amuri”, dove si nomina appunto la misteriosa rolìca del titolo; tra le ultime c'è “Lu stessu cielu”, brano emblematico del disco, canzone che ricorda per certi versi le tematiche e le atmosfere care a Eugenio Bennato, con la meravigliosa voce di Mimmo a imprimere la marcia in più: “Da Sud a Sud vorrìa volari...”
E poi compare una nuova versione di Stilla Chjara: ancora più ritmica, ma non meno densa di poesia.
C'è insomma di che far felici tutti gli ascoltatori, e c'è anche di che far discutere, tra chi trova ridondanti i brani dal vivo, e chi un tantino troppo melodici alcuni altri.
Ma c'è di sicuro una canzone che mette d'accordo tutti al primo ascolto, ed è il formidabile “Stafanazzu”, che chiude il cd in atmosfera di nostalgica magia, sfociando in una ammaliante filastrocca finale.
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Leggendo il testo originale della canzone " Tarantella d'amuri" scritta e musicata da Mimmo Cavallaro per l'ultimo cd Rolica, ho provato a trarne una traduzione dal dialetto all'italiano. E’ una canzone nella quale al ritmo incalzante di una travolgente tarantella, si rivivono scenari legati alla tradizione, al mondo rurale, ai suoi rituali, ed alle malie dell’amore.
RispondiEliminaLa bellezza semplice di una contadina può celare il fascino incantatore della seduzione e della magia. Lei diventa un gioiello nel cuore dell’amato, una gemma rara che si conserva nello scrigno più prezioso e segreto, che si tiene celato come il più potente talismano, fin quando ogni dolore non sia svanito.
Tarantella d’amore
Irrighi il granturco e i fagioli
con l’acqua che viene dal burrone di Jaci.
Il sole che abbrustolisce pure le pietre
e nel piano tu cavi (estrai dalla terra ) le patate.
Al mulino di Campanella,
macina grano una ragazza bella.
Le sue bellezze sono di un raggio di luce,
quando cammina sembra una bandiera.
I suoi capelli son di seta fine,
e quando balla sembra una regina.
Rit.
Tarantola d’amore, sei entrata dentro il cuore,
Se vivo e se non muoio, ti tengo come l’oro.
Ti tengo dentro il cuore, ti tengo nella mente,
ti tengo in una rolìca (luogo prezioso e segreto) , ti tengo con me per sempre.
Tarantola d’amore, balla a tutte le ore,
balla con le stelle, la luna e con il sole.
Balla fin quando non passa questo dolore.
Asciummichi ( togli la fattura, il malocchio) alle mura della casa,
la notte di Pasqua te ne vai alla chiesa.
E l’olio ed il sale ti hai benedetti (sono gli ingredienti necessari per togliere il malocchio).
Braci di fuoco hai buttato nei crocicchi, (negli incroci delle strade).
Rit.
Tarantola d’amore, sei entrata dentro il cuore,
Se vivo e se non muoio, ti tengo come l’oro.
Ti tengo dentro il cuore, ti tengo nella mente,
ti tengo in una rolìca (luogo prezioso e segreto) , ti tengo con me per sempre.
Tarantola d’amore, balla a tutte le ore,
balla con le stelle, la luna e con il sole.
Balla fin quando non passa questo dolore.
Giuseppe Cricrì
non so se tu sia calabrese, ma su alcuni punti non mi trovo d'accordo con la traduzione in italiano del testo. Io sono calabrese, se anche tu lo sei, possibile che ci sia una certa differenza di dialetto tra la mia e la tua zona
Eliminaciao Giuseppe,
Eliminal'autore della traduzione, tuo omonimo, è di Palmi. Segnalaci i punti secondo te controversi, così se ne può discutere e apprezzare le differenze!
Ogni paese, anche a distanza di poco, ha un dialetto diverso, è la nostra ricchezza. Giuseppe Cricrì, avevo un amico a scuola a Vibo con un nome e cognome come il tuo. Non sarai tu??? Sarebbe una bella sorpresa
Eliminacosi ,rovini tutto il fascino e il mistero del dialetto....se traduci...
RispondiEliminaCara Daniela non sono affatto daccordo con te, se vogliamo, quello che tu definisci fascino e mistero rimangono comunque insiti nel testo dialettale, rimangono patrimonio indisponibile di chi sa pronunciare correttamente il dialetto, sposandolo in modo indissolubile con le armonie della musica. Però non dimentichiamo mai, che la gioia della condivisione con chi non comprende, fa del nostro dialetto un patrimonio da scoprire, lo rende simile ad un tesoro da ricercare e da godere appieno. Questo è il vero motivo della opportunità della traduzione di un testo,la generosità del popolo calabro deve essere riverberata anche nel piacere di rendere comprensibile il lessico nostrano a chiunque , calabrese, italiano o straniero rimanga affascinato dalla meraviglia della nostra musica. Del resto, se non fosse vero quanto affermo, anche il tradurre qualsiasi opera letteraria, straniera, o musicale sarebbe equivalente a rovinare la stessa. Ed invece grazie a Dio il fatto che da Shakespeare ai Beatles, da Marquez ai Pink Floyd ci sia sempre stato qualcuno che ha tradotto le loro opere, rendendole di fatto patrimonio dell'umanità, ha consentito agli stessi autori e ai loro capolavori di diventare immortali!!
RispondiEliminaGiuseppe Cricrì
E' anche vero tuttavia che la fluidità e la fragranza del testo originale calabrese rende goffo e persino zoppicante ogni tentativo di traduzione, ma questo è il naturale compromesso che diviene necessario accettare quando si vuol rendere comprensibile una storia raccontata in un idioma diverso. Se è questo che volevi esprimere cara Daniela allora potrei comprendere le tue parole, pur non condividendone il contenuto.
RispondiEliminaGiuseppe Cricrì
potete inserire per favore il testo originale di questa canzone che nn la trovo da nessuna parte.
RispondiEliminacaro Anonimo,
RispondiEliminapresto il testo sarà su queste pagine; nell'attesa ti segnalo un link dove lo puoi trovare:
http://franciii22.wordpress.com/2012/09/13/ti-tegnu-a-mia-pe-sempri/
io penso sia importantissimo tradurre i testi per renderli comprensibili a tutti. Ma penso che chi non capisce questo dialetto, pur riuscendo a sentire e ad apprezzare il bel suono delle parole e della musica,ma non riuscendo a comprendere all'istante il significato della parola e a goderne della stessa nel momento in cui viene pronunciata, non potrà mai comprendere e assaporare appieno la bellezza di questa musica
RispondiEliminami sono accorto che manca il testo di "Lu stessu cielu"
RispondiEliminaeccolo:
Dalle coste dell'Africa a Lampedusa
immagini i cieli dell'Europa
immagini i suoni dei tamburi
ma è solo il battito del tuo cuore
senti u silenziu di li paroli
i cu ti parra na lingua strana
respiri sali respiri doluri
desertu e suli porti nto cori
da sud a sud nta lu stessu mari
li stessi stiddi per annegari
li stessi paroli e li stessi penzeri
li stessi di oji e li stessi di ieri
da sud a sud vorria volari
lu stessu cielu da guardari
la stessa carretta per annegari
e nu Diu diversu pè pregari
terre lontane speranze fuggenti
e gli occhi e le menti di uomini stanchi
germogliano i fiori e odore di grano
immagini i padri e i figli lontani
da sud a sud nta lu stessu mari
li stessi stiddi per annegari
li stessi paroli e li stessi penzeri
li stessi di oji e li stessi di ieri
da sud a sud vorria volari
lu stessu cielu da guardari
la stessa carretta per annegari
e nu Diu diversu pè pregari