In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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Il Tesoro di TaranKhan

Lo scorso mese di aprile è stato segnato, nella Locride, da piogge inaudite e temperature più consone al febbraio. Ne hanno risentito anche i TaranProject e i loro fan, con l'annullamento dell'attesissimo concerto di Pasquetta; pure i concerti che si son potuti tenere sono stati in qualche modo avversati dal maltempo: il 16 a Locri per fortuna si era al coperto, ma la pioggia torrenziale di tutto il giorno può aver scoraggiato qualche appassionato in arrivo da fuori; a Portigliola, la sera di Pasqua, il palco assomigliava un po' a un lazzaretto, con almeno tre membri del gruppo alle prese con malanni fuori stagione, abbassamenti di voce e quant'altro. Anche alcuni concerti di Fabio Macagnino in quei giorni sono saltati a causa di una brutta tosse e un invincibile febbrone, e a malapena si è potuta svolgere a Roccella la presentazione ufficiale del suo cd.
Sto così arrivando al tema di questo post, con l'uscita, finalmente, del disco di Scialaruga, cioè Fabio Macagnino & friends, e contemporaneamente anche di quello di Mujura, alias Stefano Simonetta, che seguono di qualche mese il “Battente Italiana” di Francesco Loccisano; e naturalmente “Hjuri di Hjumari” di Mimmo Cavallaro con i TaranProject, di cui si attende a giorni la riedizione per il mercato nazionale.
Insomma i quattro ex componenti dei TaranKhan sono in piena fioritura!
La coincidenza ci dà lo spunto per tornare a parlare di quel gruppo, che fu decisamente seminale per la scena musicale ionica, del quale abbiamo già in passato ripercorso la storia.
Ulteriori investigazioni e ascolti suggeriscono di riprendere il tema, e consentono di far luce su altri aspetti interessanti.

Lo faremo guidati dai ricordi del quinto componente dei TaranKhan.
Mi riferisco a Daniela Bonvento, di cui nella Locride si son quasi perse le tracce, ma che ha rivestito per tanti motivi un ruolo fondamentale e peculiare nel gruppo: innanzitutto per la qualità eccelsa del suo apporto sia strumentale, alla viola e alla lira calabrese, che vocale; poi, ovviamente, per esser l'unica donna; e inoltre per la sua formazione, di impronta classica, con ortodossi e brillanti studi di conservatorio; e pure per il fatto di non provenire dal microcosmo locale, ma dalla città di Reggio.
Daniela, in possesso di una solida formazione accademica e già con importanti esperienze concertistiche alle spalle, fa la sua comparsa sul versante ionico nel 1998, chiamata dall'Orchestra del Teatro di Roccella.
Come capita a molti, s'innamora di questa terra, conquistata dalla vivacità intellettuale e dalla genuina passione per la musica con cui viene a contatto; in particolare s'instaura un bel rapporto di amicizia con Fabio Macagnino, complice anche il comune interesse per il teatro.

Alla guida dell'Orchestra c'è il maestro Carlo Frascà, da sempre autentico propulsore dei fermenti musicali roccellesi, al crocevia tra classica, tradizione popolare e jazz (merito anche del celebre Festival, che favorisce incontri con musicisti straordinari provenienti da oltre oceano) e già in quell'anno collaboratore di Eugenio Bennato: con lui compose quattro brani per il primo “Taranta Opera”, rappresentato a Lecce nell'ottobre 1998 con l'Arlesiana Chorus Ensemble roccellese al gran completo.

Un bel giorno, alle prove del coro, fa capolino un personaggio dai modi insolitamente miti e gentili: è Mimmo Cavallaro, che entra a far parte del gruppo, dove apprenderà a sua volta gli insegnamenti di Carlo Frascà.
Qualche tempo dopo, l'Arlesiana Chorus, con Daniela, Fabio e Mimmo, trascorre alcuni mesi a Roma per l'allestimento di un importante spettacolo teatrale su musiche di Eugenio Bennato, il "Pilato sempre" di Giorgio Albertazzi.
Mimmo ha portato con sé una lira calabrese, e propone a Daniela di provare a suonarla, con l'idea di introdurla nel progetto di musica etnica che all'epoca condivideva con Fabio: Folìa, o forse già Kaulon Tarantella Social Club. Complice la lontananza dalla propria terra, o l'atmosfera assorta dei lunghi pomeriggi nel chiostro antico che li ospita a Roma, Daniela e Mimmo si fanno assorbire con entusiasmo dallo studio dello strumento, che viene addirittura proposto in scena in alcune repliche dello spettacolo.
Al loro ritorno in Calabria l'embrione dei TaranKhan ha già preso forma.

Ecco come Daniela ricorda quei mesi:
"Vivevo questa esperienza in maniera un po' ambigua; trovavo assurdo ritrovarmi in una situazione tipo Blue Dahlia, con la calca, il vino, i volumi allucinanti e una dimensione così carnale della musica. Senza uno spartito, un direttore... ero libera come non mai... sospesa per questo motivo tra il terrore e l'esaltazione. Tutto ho accettato col tempo (le regole del gioco erano molto diverse da quelle che si ritrovano in ambito classico) tranne i maledetti microfoni e i fonici annessi, e i ricorrenti disguidi organizzativi. La mia dimensione ideale era decisamente più acustica e raccolta. Tra i miei ricordi preferiti ci sono le esercitazioni vocali che infliggevo a Mimmo prima di ogni concerto, e le situazioni in cui io e lui ci esibivamo da soli in acustico, tipo i seminari di canto popolare a Caulonia: a voce spiegata dentro quelle architetture antiche, dove si aveva l'impressione di tornare indietro del tempo, dove dopo un po' quello che hai dentro e quello che c'è fuori coincidevano perfettamente".

(Il Blue Dahlia a Marina di Gioiosa, per chi non lo ricordasse, è il locale di riferimento per chi fa musica nella Locride: una vera e propria fucina di talenti, che là si son fatti le ossa; è dove hanno avuto il battesimo e si son temprati tutti i gruppi della zona)


L'avventura dei TaranKhan spicca il volo, e a detta di tutti il culmine si ebbe con la favolosa esibizione di Toulon, autunno 2003.
Riascoltato oggi, quel concerto conserva per intero il forte impatto emotivo, lo smalto e la vitalità di esecuzioni che coinvolsero artisti e pubblico in un feeling immediato. Scorrono numerosi brani rimasti da allora nel repertorio di Mimmo, da Mulinarella a Mariola, dalla Seduzione a Figghju figghju e altri.
Musicalmente il gruppo sfoggia un'espressività pienamente compiuta, grande padronanza e coesione. Le differenze con gli attuali TaranProject spiccano soprattutto nelle parti vocali: nel timbro di Mimmo un po' forzato, sicuramente più vicino agli stilemi della tradizione, ma non ancora così personale e versatile com'è oggi; e nel controcanto intenso di Daniela, che nei toni più drammatici evoca il coro della tragedia greca.
Ecco lo Jocu di la Palumbella di quella sera:



Una performance magica, in una cornice perfetta: e subito Eugenio Bennato propone di farne un cd live. Non tutti i membri dei TaranKhan sono convinti, c'è il desiderio di fare ancora meglio, e così nasce l'idea di una sorta di ritiro creativo per elaborare in veste definitiva quello che sarà il cd.

Il luogo prescelto è un vecchio casolare al Bosco Catalano, sulle colline dietro Roccella, affettuosamente da loro soprannominato il Mulino Bianco: là si riproduce una situazione molto Anni Settanta, con i cinque a condividere la loro full immersion musicale e anche le occupazioni più prosaiche del vivere quotidiano. Dai ricordi di Daniela, ma anche degli altri, riaffiorano le lunghe passeggiate a raccogliere erbe selvatiche, nel silenzio mistico di paesaggi fuori dal tempo, raccontandosi l'uno all'altro, discettando dei massimi e minimi sistemi; e le favolose minestre preparate da Mimmo con l'antica sapienza erboristica del druido aspromontano.
E' facile intuire che non si trattò semplicemente di perfezionare le incisioni di Toulon, ma che le idee e la creatività di ciascuno furono rimesse completamente in gioco, e il minestrone più prelibato era proprio quel che si cucinava giorno dopo giorno attorno ai brani, che un po' alla volta cambiavano pelle: rivelando le sensibilità di ognuno, le comuni riflessioni, le discussioni sui temi della tradizione e dell'innovare, del passato e della contemporaneità, sul senso profondo del loro far musica; tra la preferenza di Daniela per i suoni acustici, la pacatezza di Mimmo, il perfezionismo di Francesco, la voglia di novità di Fabio e gli inserti elettronici voluti soprattutto da Stefano.

Non è per caso se quella registrazione inizia con questi versi:
“Sacciu 'na canzuneda alla diversa... e alla diversa la vogghju cantare...”
Di un disco davvero diverso si tratta: i brani sono grosso modo gli stessi di Toulon, ma che differenza nella originalità degli arrangiamenti e nell'impronta complessiva del suono!
Nel caleidoscopio si riflettono in perfetta sintesi le diverse concezioni dei cinque, senza tradire alcuno scompenso, in un equilibrio forse fragile ma mirabile, preveggente di futuri sviluppi della musica etnica, ma soprattutto godibilissimo all'ascolto.
Ecco Rosabella: il brano tradizionale, che conosciamo nella versione dei TaranProject, rifulge qui come un'immagine iperrealista, con i sommessi bagliori elettronici a conferire un risalto tutto nuovo all'antica melodia.



Così quando il cd fu pronto, e lo fecero ascoltare ad Eugenio Bennato, non è difficile comprendere lo sconcerto di quest'ultimo, le perplessità, e la conseguente richiesta di recarsi tutti a Caserta per incidere tutto daccapo sotto la sua direzione artistica. Così avvenne.
Poi, mentre si attende il master definitivo, arriva la primavera e riprendono i concerti. La gente chiede il cd, ma non è ancora pronto.

Daniela comincia a sentire il peso dell'inconcludenza, oltre alla fatica dei continui spostamenti a bordo della sua intrepida R4, da Reggio alla Locride e viceversa, e al disappunto per qualche pecca organizzativa di troppo; così, d'un tratto, esce dal trip nel quale era stata coinvolta: la sintonia s'incrina, in qualche occasione i concerti si riducono a impegni lavorativi da onorare, senza più grande coinvolgimento emotivo.
L'ultima grande esibizione dei TaranKhan fu a Caulonia, per il Festival a fine estate 2004. La magia viene ricatturata per una sera, un'altra grande esibizione, ma è l'ultima volta.
Il gruppo è sciolto. Il cd, di cui ormai esistono tre varianti - Toulon, Mulino Bianco e Caserta - non uscirà più.
E' questo il Tesoro di TaranKhan che attende ancora di essere recuperato. Anche se quei corsari han continuato a cavalcare l'Unda Jonica, inventando nuove ricchezze.

Stefano Simonetta, con Fabio, intraprende la via ambiziosa di Albjonica, altro e completamente diverso cd a nome TaranKhan: ne abbiamo già detto in passato, ma non mi stancherò di riproporne l'ascolto. Uno strepitoso solitario picco creativo, una chimera musicale capace oggi più che mai di suscitare inquietudine e meraviglia.

Mimmo, con il sostegno determinante di Francesco Loccisano, torna in studio per registrare un disco solista, che si chiamerà “Sona Battenti”, e verrà pubblicato solo quattro anni dopo.
In quei mesi Daniela viene chiamata per partecipare alle registrazioni, già col pancione e dunque proiettata su una tutt'altra creazione.
Lei non conserva un ricordo molto positivo di quelle sue prestazioni in studio, anche se noi che amiamo il cd non possiamo condividere questo suo punto di vista autocritico.
Di certo c'è che ancor oggi, non solo tra i fans ma da parte dei musicisti stessi, si ricorda come prodigiosa la lira calabrese dei TaranKhan; e quanto ai ricami preziosi della sua viola, farà fede l'ascolto del brano cui dedico il prossimo post.

Dal gennaio 2010 Daniela ha ripreso a suonare in teatro, ma lungo altre latitudini musicali: ora è attesa dalla nona di Beethoven.
A lei un grazie di cuore per questo racconto appassionato dei tempi gloriosi di TaranKhan.

Link a L'Eredità di TaranKhan.
Link a Echi di TaranKhan: i filmati di tre brani dal vivo nel 2003!

2 commenti:

  1. Innanzitutto (ma sarà l'800esima volta che lo dico..) voglio complimentarmi con te Filippo: il tuo alvoro di ricostruzione del passato musicale dei Tp è paziente, accurato e di grande interesse. Senza di te, staremmo probabilmente solo a canticchiare i brani senza però osare scendere nel cuore stesso della melodia e della storia della sua nascita.
    Ho avuto modo di ascoltare qualcuno dei brani che tu hai proposto prima: Rosabella, dapprima non apprezzata proprio per quella sua particolarità vocale e strumentale molto diversa dai toni allegri che siamo abituati ad ascoltare nei concerti, ma poi amata con passione; una versione proprio antica di "Seduzione", con un insolito accompagnamento di lira (sarà stata proprio Daniela?), anche questa versione adorabile, e poi come dimenticare "Samuele", versione strumentale dolcissima e tenera..... Se confondo qualcosa correggimi, Filippo!
    Il tono di voce di Mimmo era più giovane, meno esperto, con molti vocalizzi finali, sopratutto in "Castrum Vetus", ma sempre ammaliante, tanto che quest'ultima canzone per me è davvero ipnotica, sia per i versi, sia per la strumentalità che fa battere il cuore a mille...comunica e trasmette l'angoscia di due situazioni sociopolitiche travagliate. Ma questa è un'altra storia....

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  2. All'esperienza teatrale "Pilato sempre" ha partecipato pure l'onnipresente Andrea Simonetta.

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