In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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L'Eredità di TaranKhan

A completare l'ampia retrospettiva recentemente dedicata ai TaranKhan, ritorniamo infine ai giorni nostri.
Se il 2003 fu senza dubbio l'annus mirabilis del gruppo, con le migliori performances e due dischi pronti per esser pubblicati, il 2011 si sta rivelando l'anno della rivincita. Otto anni fa il gruppo era al suo apice creativo, con tutte le carte in regola per intraprendere un'orbita di ancor più vasta visibilità; ma per le vicende che abbiamo ricostruito quel che ne seguì fu invece la fine del progetto.
Oggi, con l'uscita dei cd di Fabio e Stefano, dopo quelli di Francesco e Mimmo, è finalmente giunto il momento della consacrazione per questo nucleo di musicisti, ciascuno a suo modo straordinario. Uniti in una fase decisiva della loro formazione, si sono poi incamminati su strade individuali, senza tuttavia mai perdersi di vista, continuando fecondi rapporti di amicizia e collaborazione; ciascuno facendo crescere secondo la propria sensibilità quel germoglio nato nei loro anni assieme, e portandolo a rigogliose maturazioni, apparentemente difformi l'una dall'altra, eppure tutte legate a condividere una matrice comune.
Che è il dialogo incessante con la tradizione musicale della loro terra:

per Mimmo Cavallaro un interrogare il passato che lo propone come l'interlocutore ed erede più naturale di una musica antica ma di nuovo attuale, nell'impulso di rinascita che lui ha saputo donarle;

per Fabio Macagnino lo strenuo ragionare di chi ha voluto riappropriarsi di una lingua madre che non era più la sua, e che una volta riconquistata diventa potente e originale mezzo espressivo;

per Francesco Loccisano l'intimo conversare che anima la dimensione tattile e corporea del contatto con la sua chitarra battente, che lui ha nobilitata dal mero accompagnamento a strepitoso strumento solista, dandole una nuova voce;

per Stefano Simonetta un intrepido e rabbioso corpo a corpo, a fior di pelle, ingaggiato con il dialetto e le tradizioni, musicali e sociali, che lo ha portato a spalancarci squarci vertiginosi e illuminanti di consapevolezza.

Quattro modi diversi di ampliare gli orizzonti della musica popolare della Locride, di rivolgerla verso prospettive impensate, di renderla perentoriamente viva e presente, di porla al centro di percorsi esistenziali: quelli degli artisti in prima persona, ma un po' anche i nostri di ascoltatori, affascinati e avvinti dalla passione.

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