In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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Da Livitu fino al Petraci...

Testi, che passione!
E' stato per me un paziente apprendistato misurarmi con le parole delle canzoni dei TaranProject, imparare una lingua che non mi apparteneva, assorbirne poco a poco i modi espressivi, e la cultura di di cui è portatrice.
Uno sforzo premiato da piccole e grandi emozioni, come quando il testo improvvisamente si schiude alla comprensione per effetto di un'intuizione, o di un'informazione chiarificatrice; o quando rivela significati e riferimenti inattesi, che gettano una luce più vivida sul patrimonio di esperienze e pensieri che attraverso essi si comunica.
Per una serie di fortunate coincidenze, e grazie al contributo di ottimi compagni d'avventura delle mie ricerche, in questi ultimi tempi è successo spesso; merito anche delle numerose varianti locali che, da un paese all'altro, declinano piccole differenze in ciò che di voce in voce si è tramandato, o via via trascritto.

Per primo è stato l'amico Giuseppe M di Pellaro a segnalarmi un'alternativa, comune dalle sue parti, al verso “O Madonna di lu ritu...” presente nel brano Hjuri di hjumari: c'è una filastrocca popolare che dice “O Madonna du Livìtu, non mi cala la hjumara..”, e la notizia straordinaria è che il vicino paese di Oliveto fu realmente travolto da una tragica esondazione della fiumara nel 1953.
Ecco che l'invettiva di Giovanna assume tutt'altra minacciosità: non è una madonna generica, quella che viene invocata a danno dell'esoso panararo, ma la temibile Madonna du Livìtu, che ha ben dato prova di quali disastrosi cataclismi sia capace!

Appena due anni prima, nel 1951, lo straripamento del fiume Petraci, tra Gioia Tauro e Palmi, distrusse un ponte di pietra: ecco che il “ponti di Petraci”, che “fu la ruvina mia”, in una delle strofe della tarantella finale, diviene un circostanziato fatto di cronaca, e il lamento di chi, “manijando petra e caci”, si spezzò la schiena lavorando per sgomberare la frana suona drammaticamente vero.

Giuseppe C mi ha illuminato, a sua volta, a proposito della “fimmina cutrisa” e del suo “ballu tricchi-trà”, sempre nella tarantella finale: “I versi di Cosimo si riferiscono alla Cutrisa, la donna di Cutro: nel camminare con lo zoccolo al piede, forse parte integrante dell'antico costume popolare, nel ballo faceva quel particolare rumore, tricchi-trà, amplificato dall'impatto col suolo dei tacchi rinforzati con le "ttàcce", chiodi con la testa larga.”

Giuseppina, che pesca perle preziose dai suoi antichi sdruciti libriccini, mi ha segnalato una variante al testo di Pe'ttia, che recita “quandu la gugghja ammano vui pigghjati l'arcedu ch'è pe' l'aria vui pingiti”. Pingiti, anziché il “pungiti” di Cosimo! E l'immagine vagamente sadica della bella che inforca la gugliata con foga tale da infilzare gli uccelli di passaggio - che pure è in perfetto stile col piglio energico e incisivo di Cosimo – si trasforma nel morbido gesto con cui il movimento del braccio che porta l'ago dipinge nell'aria un armonioso volo d'uccello.

Dei fertili dubbi relativamente al Cangiu, o Ciangiu, in Vurrìa ho già detto di recente.

Ma lo scoop più clamoroso lo ha messo a segno il commento apparso qualche settimana fa in coda al post su Peppinella, che qui riporto:
“Sì, Peppinella è realmente esistita! Può essere identificata in “Peppineja d’a marina”, così chiamata perché abitava in una baracca di legno a ridosso della spiaggia di Roccella Jonica, proprio “sotto il ponte della ferrovia”, quello che era ed è conosciuto come “il ponte di Rossetti”. È vissuta a Roccella all’incirca fino agli anni cinquanta/sessanta e conduceva una vita alla “bocca di rosa”... “
E poi:
“In quegli anni viveva a Roccella un’altra donna che conduceva la stessa vita di Peppineja d’a marina, ed era Lisa a Ciopa." - la nostra Cioparella?

Così predono vita i personaggi, i luoghi, le storie di cui nelle canzoni si narra, li riconosciamo, e ritroviamo anche noi stessi nella ideale comunità che essi ricostruiscono con sempre maggior precisione e saldezza.
E' uno dei tanti modi in cui i TaranProject sanno farsi motore di aggregazione sociale, uno dei tanti segreti del nostro felice senso di appartenenza all'universo – fantastico, ma reale - che hanno saputo creare.

6 commenti:

  1. Grazie di cuore della citazione. Anch'io consoco il verso "A Madonna du Livitu, non mi cala la jhumara, ca si leva lu cannitu e non facimu cchù sipala"...bada bene, sipala credo stia per muretti, recinzioni di canne, invece Giovanna dice "panara".
    Volevo aggiungere che nella letteratura erotica calabrese la figura di passionale Bocca di rosa è impersonata da Cecia, cantata da Vincenzo Ammirà nella "Ceceide". Una donna libertina ma non eccessivamente volgare, che col suo vivere liberamente la sua sessualità frantuma i pregiudizi popolari e anche l'ipocrisia che spesso nei paesini regna sovrana. Fantastico lo scoop su Peppinella! in fondo l'uomo meridionale è sempre stato descritto come focoso e "caldo". E le donne devono essere di meno? Ma quando mai? E anche nella vita quotidiana, le donne del sud sono forti, pensate alle bagnarote che guidano la vita del paese e il commercio con pugno di ferro e sono considerate le più resistenti ballerine di tarantella! e le donne sono anche le colonne portanti della società odierna, sono le donne a educare i nuovi picciotti oppure a combattere in prima fila la vioelnza delle mafie....dipende!!!!alla prossima

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  2. LISA ACIOPA NON HA NULLA A CHE FARE CON LA CIOPARELLA CHE INVECE E UN NOMIGNOLO CHE VIENE DATO NEL CATANZARESE AD UNA DONNA GRAZIOSA.HO SCOPERTO CIO' PORTANDO IN GIRO UN AMIA COMMEDIA CHE SI CHIAMA "A RUGA VECCHJIA" SOTTOTITOLO APPUNTO CIOPA. PER LUNGHI TRATTI LA COMMEDIA RACCONTA STORIE VERE COME ANCHE UNA PARTE DEDICATA ALLA CIOPA CHE MIA MADRE CONOSCEVA POICHE' SUA VICINA DI CASA DA I RACCONTI DI MIA MADRE HO PRESO TANTI SPUNTI PER LA COMMEDIA CHE ANCORA STA GIRANDO PER I TEATRI CALABRESI. VOLEVO ANCHE AGGIUNGERE UNA ALTRA INTERPRETAZIONE DEI VESI CHE COSIMO CANTA. SECONDO IL MIO PUNTO DI VISTA I VERSI VORREBBERO DIRE CHE GUARDANDO L'UCCELLO PER L'ARIA LA BELLA LO DIPINGE , CIOE' LO RICAMA SULLA TELA CIAO PINO CARELLA

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  3. Ho assistito alla rappresentazione della RUGA VECCHJA e traspare chiaramente che la CIOPA della commedia altra non è, per appunto, se non una BOCCA DI ROSA, anche se in una versione molto soft, quale non era Peppineja d’a marina. Ma è altrettanto chiaro che io non ho affermato che si tratta della Cioparella dei TP (c’è un bel punto interrogativo, che lascia spazio ad altre eventuali chiavi di lettura), come non ho affermato che Peppinella e Peppineja d’a marina siano la stessa persona, anche se, con molta fantasia, ribadisco qui che l’una potrebbe essere identificata nell’altra. D’accordo con Pino Carella sul significato del termine “ciopa”, nel dialetto del catanzarese (vedi ROHLFS GERHARD, Nuovo dizionario dialettale della Calabria), e sul fatto che sua madre conosceva Lisa a Ciopa (questa, infatti, viveva nello stesso rione della famiglia Carella). Per quanto riguarda la Ciopa roccellese mi riservo di fornire altre notizie (possibilmente sull’accezione locale del termine, se esiste) che possano integrare quelle fin qui a nostra disposizione.

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  4. Per chiudere l’argomento Peppinella e Cioparella.
    Dove non è possibile reperire testimonianze documentali su persone, fatti e vicende, si può fare ricorso, finchè si è in tempo, alla memoria storica. Passata questa, è l’oblio.
    Interrogata, nelle persone contemporanee a Lisa a Ciopa, la memoria storica ci ha restituito diverse informazioni.
    Lisa a Ciopa viveva a Roccella Jonica, nel rione Zirgone, abitando una stanzetta “terrana”, a piano terra.
    Era chiamata “Ciopa” perché ragazza avvenente e piacente (quindi anche a Roccella l’accezione del termine non differiva da quella del catanzarese).
    La donna era quella che noi, nei vari commenti sull’argomento stiamo indicando sempre come una “Bocca di rosa” e che, conseguentemente, ha generato diversi figli, una femmina e 5 o 6 maschi (di qualcuno dei quali si conosce il nome, di qualche altro la professione), figli avuti tutti da uomini diversi (anche di questi la memoria storica ci ha fornito le generalità).
    Col passare degli anni la donna ha vissuto un’esistenza sempre più debosciata, al punto che l’accezione del termine a Roccella ha assunto un significato diverso, prettamente locale, in base al quale volendo tacciare una persona come trascurata e trasandata, spesso si diceva: “Mi pari Lisa a Ciopa!”
    Questo è quanto!
    Di sicuro c’è che Roccella ha avuto “Peppineja” e “a Ciopa”, e che a noi, consapevoli di come e quanto l’arte ha la capacità di investire e rivestire con toni e aloni diversi fatti e persone, senza discriminazione alcuna, a noi niente impedisce di scostare i possibili veli frapposti e tramutare Peppineja d’a Marina e Lisa a Ciopa in due delicate “Bocca di rosa”, trasferendole nelle immortali Peppinella e Cioparella.
    Chiudo con una riflessione. Le canzoni di Mimmo e Cosimo, i testi, i commenti, gli aneddoti, lo stimolo illuminante che mi ha mosso ad inserire i miei commenti sull’argomento, tutto questo ha determinato qualcosa di straordinario, a mio avviso addirittura impensabile: chi si sarebbe mai sognato che Peppineja d’a marina e Lisa a Ciopa, due insignificanti figure, a suo tempo dislocate nei gradini più bassi della scala sociale, due anime che, a più di mezzo secolo dalla morte, nessuno ha più motivo per richiamarle alla memoria, chi avrebbe immaginato che grazie a tutto questo Peppineja d’a marina e Lisa a Ciopa sarebbero state tolte dall’oblio, cui erano destinate, per rivivere per sempre? O, almeno, finchè Web ci sarà! Potenza della musica e dell’arte!

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  5. Grazie, caro Anonimo, della tua straordinaria testimonianza!
    E sottoscrivo in toto la tua riflessione finale: stiamo, nel nostro piccolo, riportando in luce i personaggi di una microstoria locale, invisibili alle cronache ufficiali, eppure protagonisti di un'epopea che, attraverso la trasfigurazione artistica, diviene autentica cultura popolare.

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  6. DA LIVITU… AL PETRACI, PER GIUNGERE A… LORETO?
    “Madonna di lu ritu”. Viene da pensare ad una Madonna protettrice, patrona, del rito, di un rito. Ma di quale rito si tratta? Non riesco a trovare una risposta! Mentre da sempre ho avuto la convinzione che con l’espressione “Madonna di lu ritu” si debba intendere la forma dialettale di “Madonna di Loreto”, per cui, unendo le due parole, si ha “Madonna di Luritu”

    PUNGERE O… PINGERE?
    Giuseppina ha visto giusto. In “Pe' ttia”, dove recita “quandu la gugghja a manu vui pigghjati l'arcedu ch'è pe' l'aria vui pingiti”, va tradotto: “Quando prendete l’ago (per ricamare) l’uccello che sta (volando) per l’aria voi dipingete (ricamate talmente bene sulla tela da sembrare un dipinto). Pingiti (dal latino “pingere”) forma quasi arcaica molto in uso nella tradizione di Roccella e, credo, anche in quella del comprensorio.

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