Un documento d'eccezione.
A maggio i TaranProject sono stati in Lussemburgo per un concerto. Un'allegra spedizione, cui però mancò il sostegno dei fan al seguito dall'Italia: troppo lontana la meta, niente voli low-cost, nessun ponte a cui abbinare un giorno di ferie...
Da qui l'idea di chiederne un resoconto a chi c'era per forza, cioè i protagonisti dell'evento. Andrea Simonetta si è prestato volentieri all'incombenza, e l'ha espletata da par suo.
Quel che ne è scaturito non assomiglia tanto ad una cronaca del concerto, quanto piuttosto al vero e proprio diario di un'esperienza che, come capita sempre con i TaranProject, non si è limitata all'ambito artistico, ma ha coinvolto emozioni, relazioni, riflessioni.
Da leggere come un racconto breve, o meglio ancora da ascoltare come un nuovo brano musicale, che reca lo stile inconfondibile di Andrea: diverse corde vengono fatte risuonare, alcune delicatamente sfiorate, altre con tocco più netto, con annotazioni di volta in volta estremamente accurate oppure apparentemente di striscio, ma senza mai perder di vista la composizione di un'armonia che prende forma con elegante naturalezza. Con un finale lievemente enigmatico, che riannoda e compone in figura fili preziosi ch'erano stati sparsi qua e là, quasi distrattamente, nelle righe precedenti.
Ecco il testo scritto da Andrea.
Cerco sempre di sedermi accanto al finestrino, quando viaggio in aereo.
Sia per guardare il panorama dall’alto e sia perché, a differenza di quando sono in macchina o sul furgone, posso appoggiare la testa senza sbatterla in caso di buche o giunti stradali.
Purtroppo la mattina della nostra partenza quel posto privilegiato l’ho dovuto cedere alla mia chitarra: non ho mai capito come mai uno strumento musicale susciti tra le hostess e gli stuart così tanta tensione e inquietudine da scombinare tutto l'aereo.
Assieme a noi, durante il viaggio, c’era una parte del comitato festa, perché il concerto era in occasione della ricorrenza del Santo patrono di Mammola, San Nicodemo. Saremmo stati accolti, al nostro arrivo, da un gruppo festoso di mammolesi emigrati all’estero.
Si sente sempre parlare molto di quella realtà, si conoscono tutte le sfaccettature della loro quotidianità, tanto da aver la presunzione di non attendersi sorprese nel venire in contatto con il microcosmo calabrese che queste persone hanno ricostruito.
La prerogativa che caratterizza il nostro concetto di ospitalità non poteva certamente essere smentita: abbiamo mangiato fin oltre la sazietà. E il nostro soggiorno a Soleuvre è iniziato proprio nella pizzeria di un calabrese, che aveva aperto alle 17 appositamente per noi.
La maggior parte di loro lavora nella ristorazione o in fabbrica, e nei vari spostamenti in macchina abbiamo avuto modo di conoscere le loro storie. Non c’è un'unica fascia d’età che li caratterizza, ma nessuno di loro ha un titolo di studio; hanno messo in gioco tutto quello che avevano nel momento in cui sono partiti per la prima volta - chi, all’epoca, con il treno, e chi, più recentemente, in aereo - e ce l’hanno fatta.
Il Lussemburgo, poi, è un posto strano, quasi surreale: una ghiandola schiacciata da tre nazioni, riempita di pendolari che ci lavorano ogni giorno e di italiani emigrati che parlano tre lingue, girano su automobili che in Italia non tutti possono permettersi, e vivono in villette che ricordano un po' Disneyland.
Quattro giorni e un solo concerto, per noi una vera e propria vacanza: la comitiva mammolese che si mobilita ogni giorno per portarci in giro a visitare la città e a mangiare, l’intera giornata a disposizione per fare i turisti senza la fretta di dover tornare per il soundcheck, il piacere di non doverci svegliare presto la mattina seguente per ripartire.
Quel che mi ha principalmente colpito dell’intera esperienza è stato il sentimento nostalgico che impronta il culto del santo. La distanza da tutto il contorno che solitamente fa da presupposto per la celebrazione del rituale lo priva di alcuni aspetti caratterizzanti, quali la processione, la piazza dove tutto si consuma, i fuochi d’artificio. Con i tre colpi finali che annunciano la fine della festa.
La sala dove si è tenuto il concerto era una palestra, con tanto di cucina, bancone bar e bagni, all’interno della quale vengono spesso ospitati eventi del genere. Per tutto il concerto, svoltosi durante la cena, sul bordo frontale del palco c’era il mezzo busto di San Nicodemo, con tanto di aureola in metallo.
Il concerto, pur con qualche carenza da parte del service audio-luci, si è svolto alla solita maniera, seguendo la scaletta del tour. In genere, nelle trasferte che presuppongono il viaggio in aereo, non riusciamo a portare tutti gli strumenti, e quindi qualche brano che richiede la presenza della seconda lira o della mandola viene depennato. I minuti mancanti sono stati colmati dall’ospite della serata: tra gli organizzatori qualcuno si è dilettato nella composizione di un brano dedicato al santo, e si è esibito accompagnato da una parte dei TaranProject e da Francesco Scarfò alla chitarra. Qualche richiesta fuori programma ha poi completato lo spettacolo.
L’atmosfera non era quella che accompagna di solito i nostri concerti, sommersi dai fan esultanti. Dopotutto stiamo parlando di una sala dove il pubblico, per metà non italiano, era seduto a cenare e ad ascoltare un gruppo che non conosceva, e che propone una musica magari diversa da quella che si aspettava di sentire. Ma poiché la peculiarità dei TaranProject è di trasmettere un messaggio diretto, col quale l’impulso al ballo diventa inequivocabile e istintivo, il consenso di gran parte della sala non è certo mancato.
Di questa trasferta mi è rimasto un segno forte sotto l’aspetto umano, e la particolare impressione nel vedere una piccola comunità che si ritaglia, in un’altra nazione, un po’ di spazio per incollare un pezzettino di Calabria, sia pur lontano da quella sontuosità popolare che le circostanze ambientali non permettono.
Forse per una forma di superstizione, o un atteggiamento mistico nei confronti di quello che accade intorno a me, noto sempre dei dettagli inaspettati, che assumono il carattere di messaggio subliminale.
Durante il volo di ritorno, che avvenne di sera, seduto finalmente accanto al finestrino, vidi le luci di un paese; non ho idea di dove si trovasse, ma si capiva dalle dimensioni che era di provincia.
Da quella lontana costellazione di luci partirono all’improvviso delle nuvolette di fumo, che s’illuminavano a intermittenza. Anche Giovanna, che era seduta dietro di me, se ne accorse. Erano fuochi d’artificio, e noi li stavamo vedendo dall’alto. Non mi era mai capitato prima, o non me n'ero mai accorto.
Mi piace pensare che, se era rimasta una lacuna rituale da colmare, i tre colpi finali che noi vedevamo dall’aereo sancivano, in maniera solenne, la conclusione della festa. Anche se eravamo solo noi a vederli.
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molto bello, complimenti!
RispondiEliminabellooooo!!!
RispondiEliminagrande Andrea...anche come scrittore!