Polistena venerdì 1, Roccella Jonica il 2, Caraffa del Bianco il 3...
Dopo un paio di uscite di rodaggio, con il mese di luglio il nuovo spettacolo ingrana una raffica di date una in fila all'altra: saranno otto in dieci giorni; e dal 21 luglio in poi addirittura 32 in 34 giorni!
Ecco il programma fino ad agosto.
Sette domande... a Carmelo
Quarto appuntamento della serie.
"Chi dalle terre felici di Gioiosa, affacciate sul mar di levante, voglia raggiungere la dolce piana di Gioia, lambita dal mar di ponente, dovrà attraversare la terra di mezzo.
Avventurandosi lungo la inquietante Vallata del Torbido, vedrà gli alberi carbonizzati, e incontrerà le strane creature di Musaba; ma non si faccia incantare, e giungerà a un mucchietto di case accovacciate tra serre e dirupi, un paesino timido e coccolone: è Mammola, dove vige il culto del nobile pesce del mar dei Vichinghi. Là vive un omone grande e grosso, sapiente patriarca dall'aspetto burbero ma dal cuore d'oro: il suo nome è Nicodemo, ed ha due figli e due figlie, tutti musicanti. Il maggiore si chiama Melo..."
No, non è l'inizio del capitolo apocrifo del “Signore degli Anelli”!
E non è nemmeno fantasy: nomi e fatti, è tutto vero.
Il maggiore, dicevamo, si chiama Carmelo Scarfò, suona nei TaranProject. Ed è un Supereroe, con tanto di doppia identità e superpoteri.
Ne ha dato ampia dimostrazione l'estate scorsa, quando alla sera e fino a notte fonda lo vedevamo dapprima occuparsi del soundcheck, poi esibirsi inesauribile al basso, e compiere prodigiosi balzi e acrobazie sul palco.
Dopo poche ore, smessi i panni di Superman e indossati quelli di Clark Kent (con la sua fronte spaziosa e gli occhiali a monitor gli assomiglia pure un po'...), entrava in studio di registrazione, al NunuLab, per completare a ritmi forzati, da irreprensibile professionista, registrazioni e missaggio del cd “Hjuri di Hjumari”, assistito dal fido Joe Novella.
Come ha potuto reggere quei ritmi per oltre un mese, e sfornare a fine agosto un prodotto di mirabile qualità tecnica?
Superpoteri, appunto!
Carmelo incarna appieno il prototipo del “fratello maggiore”, di chi si fa carico di qualsiasi problema e lo risolve, suscitando ammirazione e trasmettendo fiducia, ma senza mai smettere quel sorriso aperto e contagioso che ne fa un beniamino dei fan. Lui è fondamentalmente un instancabile perfezionista, anche se l'entusiasmo e la generosità che lo animano gli danno quell'aria compagnona che conquista tutti.
E non abbiamo detto ancora nulla delle sue qualità di musicista!
Durante i concerti dei TaranProject, ha scritto qualcuno, ballano anche le mattonelle della piazza. E' proprio così. Merito dell'onda tellurica che irradia dalle corde del basso di Carmelo, svelle il selciato ed elettrizza gambe e corpi. Ma non solo di potenza si tratta, poiché ad essa si abbinano fantasia e creatività che proiettano il suono in cielo, a scoppiettare d'inventiva, con un uso originale delle tecniche di slapping mutuate dal jazz e dal funk.
Con Carmelo i TaranProject hanno un tigre nel motore.
Gli Scarfò e la musica: quattro fratelli, e tutti membri di un unico gruppo, gli Scarma. Tu che sei il maggiore, ti senti in qualche modo il capostipite di questa “covata”? La passione per la musica era già presente in famiglia?
In realtà il merito è tutto dei nostri genitori, che hanno saputo trasmetterci l’amore per la musica e per l’arte in genere. L’idea iniziale di formare un gruppo assieme ai miei fratelli Francesco, Antonia e Giovanna è partita da me, ma questo non fa di me un capostipite. Io e Francesco avevamo alle spalle molte esperienze assieme, con diverse band, quando entrambi sentimmo l’esigenza di creare qualcosa di nostro. Coinvolgere Antonia e Giovanna è stato un passo naturale e necessario per completare il sound degli Scarma.
Sappiamo della tua ammirazione per Jimi Hendrix e il rock anni '70. Sei rimasto legato a quel genere, o ora ascolti altre cose?
Beh, ascolto un po' di tutto, anche perché lavorando come fonico questo mi è utile per migliorare i miei lavori. Apprezzando e suonando prettamente i grandi maestri - Mozart il mio preferito! - ascolti poi le cassette che ci sono a casa, e vieni a conoscenza dei Beatles. Ti metti a suonarli, e loro ti fanno conoscere una realtà musicale ricca di sonorità pazzesche, che stimola in maniera bestiale le tue cellule neuronali - come del resto anche il Don Giovanni, non so se rendo l’idea...
Jimi è quello che manda in tilt i miei neuroni, penso sia una questione di affinità del mio cervello con questo genere di “impulsi elettrici”. Chi ascolta Jimi, viene indirizzato all’ascolto di altri generi musicali: il Blues con John Lee Hooker, Muddy Waters, B.B. King... il Soul con Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles... il jazz, adoro Ella Fitzgerald, eccetera... Tutte persone che avevano un forte legame con le loro radici e che in qualche modo sono riuscite a creare qualcosa di innovativo, e soprattutto comunicativo, fondendo la loro tradizione con sonorità “moderne” per quei tempi.
Seguendoti con un po' di attenzione sul palco, si colgono frequenti divagazioni, micro-improvvisazioni nelle linee di basso, in un dialogo continuo con le percussioni di Alfredo: date l'impressione di divertirvi, una specie di sfida alla variazione imprevista, è così?
Quando non sono impegnato a saltare, mi concentro un po' a suonare, e mi diverte trovare nuove linee di basso; se vedo che funzionano, la sera dopo la ripropongo. Da subito c’è stato feeling con Alfredo, siamo cresciuti assieme per migliorare il sound dei TaranProject, e ora viviamo quasi in simbiosi. Per arrivare a questo abbiamo lavorato molto, ogni concerto per noi è una prova, il grosso lavoro che stiamo cercando di fare è quello di dare una “dignità” ritmica al nostro genere musicale: il tamburello e la cassa sono la nostra batteria, e, come in tutti i migliori gruppi rock-pop, il basso deve integrarsi perfettamente con essa.
La ricerca del groove giusto e del sound che ne deve uscire è quello per cui lavoriamo di continuo. Questo è principalmente il nostro compito, essere di supporto a chi sta in trincea (Mimmo, Andrea Giovanna e Cosimo), con i quali, anche se non ci si vede negli occhi, durante il concerto comunichiamo di continuo.
La dinamica che il tuo basso conferisce al sound dei TP è formidabile; eppure qualcuno ancora solleva perplessità sull'utilizzo di uno strumento elettrico, estraneo alla tradizione, in un contesto di musica popolare. Quale ritieni sia l'apporto specifico che il basso può offrire?
In questo senso, conoscere un po' la storia della musica ti fa capire subito se si stai andando verso la giusta direzione. Penso che la chiave del successo per un gruppo che suona tarantelle, come noi, oggi sia quella di avvicinarsi a un sound che potrei definire in modo provocatorio “commerciale”. Per commerciale intendo quel che oggi la gente ascolta, attivamente o passivamente, durante la giornata, che sicuramente è diverso da quello che ascoltavano i nostri nonni.
Gli apparecchi fonografici, e gli strumenti musicali, hanno avuto una enorme evoluzione tecnologica, e ora ci permettono di avere un ascolto su tutto il campo uditivo dell’orecchio umano; tutti hanno a casa impianti home theatre, la stereofonia è una cosa già superata. Questa problematica la vedo più come una questione tecnica, diciamo che senza basso e cassa non c’è niente di serio alle frequenze sotto i 120 Hz.
A livello artistico, basso e cassa potrebbero pure non esserci, ma nel sound dei TaranProject , che amano la “botta”, sono parte essenziale; chi ha seguito qualche nostro concerto capisce di che cosa sto parlando. Il merito è anche di ”Pippi”, Giuseppe Novella, il nostro fonico metallaro ed ex dj, che sa rendere ogni colpo di cassa come fosse quello dell’album “Black” dei Metallica.
Il basso e la cassa, nei nostri concerti, sono un po' fuori rispetto agli altri strumenti, come quando vai in discoteca. La cosa sembra funzionare!
Tra i tanti pregi del cd Hjuri di Hjumari c'è anche il suo suono, originale e non assimilabile a nessun altro prodotto presente sul mercato; immagino che ciò sia grazie all'aver gestito in totale autonomia la registrazione e il missaggio, di cui tu sei l'artefice assieme a Giuseppe Novella: quali sono stati i principi che hanno guidato il vostro lavoro?
Il disco “Hjuri di Hjumari” è il primo lavoro realizzato interamente presso il mio nuovo studio di registrazione, il NunuLab, a Mammola.
Registrazioni, editing, missaggio, mastering sono stati fatti da me e Giuseppe Novella.
Dopo aver compiuto una piccola analisi dei lavori fatti in passato con altre formazioni e dell’evoluzione discografica della tarantella in Calabria, abbiamo deciso di operare seguendo più possibile ciò che il mercato discografico attuale richiede, stando però ben attenti a non snaturare quello che c'è di popolare, cercando di conferire nel mix un sound “moderno” e accattivante, che attiri l’attenzione dell’ascoltatore.
Un altro fattore vincente, per alcuni pezzi, è stato quello di avvicinarci il più possibile al sound che abbiamo dal vivo, cercando di ricreare su disco l’atmosfera magica dei nostri concerti. Questo è stato possibile grazie allo scambio continuo di pareri e opinioni tra fonici e musicisti; e io, facendo parte di entrambe le categorie, sono stato l’anello di congiunzione.
L’intero lavoro è stato completato in un mese, cosa che potrebbe sembrare normale, non fosse che era il mese di luglio, e noi suonavamo ogni giorno! E’ difficile trovare la giusta concentrazione quando sei in tour; ma i TaranProject hanno la scorza dura, abbiamo organizzato le sessioni di registrazione in modo ferreo, con tanto di tabella oraria: non importava se la sera si facevano le 5 del mattino, alle 9.30 si doveva registrare.
“Hjuri di Hjumari” è un buon punto di partenza, come primo lavoro dei Taranproject targati Cavallaro e Papandrea. Magari, avendo un po’ più di tempo, e la possibilità di risentire con tranquillità il lavoro, avremmo preso altre decisioni. Ma va bene così. Ora sta a noi lavorare per migliorare il sound dei lavori futuri.
A quale canzone dei TP sei particolarmente legato e perché?
Dirne una sola mi sembra impossibile, ogni pezzo ha le sue storie ed emozioni.
“Spagna” è uno dei pezzi che mi ricorda con piacere il periodo trascorso con i Sonu Divinu, ad essa sono collegate tante avventure, e concerti incredibili con Andrea, Fabio e Cosimo.
“Brigante se more”, che canta Giovanna, è un pezzo che suono anche con i miei fratelli, in cui si sente moltissimo l'impronta degli Scarma.
Poi c'è “Pizzicarella”, per la felicità che vedo negli occhi delle persone ai nostri concerti.
E “Cantu di lu marinaru”, l'apertura dei nostri concerti, che mi ricorda il magnifico tour 2010.
Qual è il tuo sogno (musicale) nel cassetto?
Mi piacerebbe semplicemente continuare a fare quello che sto facendo, cercando di migliorarmi sia come musicista che come fonico.
"Chi dalle terre felici di Gioiosa, affacciate sul mar di levante, voglia raggiungere la dolce piana di Gioia, lambita dal mar di ponente, dovrà attraversare la terra di mezzo.
Avventurandosi lungo la inquietante Vallata del Torbido, vedrà gli alberi carbonizzati, e incontrerà le strane creature di Musaba; ma non si faccia incantare, e giungerà a un mucchietto di case accovacciate tra serre e dirupi, un paesino timido e coccolone: è Mammola, dove vige il culto del nobile pesce del mar dei Vichinghi. Là vive un omone grande e grosso, sapiente patriarca dall'aspetto burbero ma dal cuore d'oro: il suo nome è Nicodemo, ed ha due figli e due figlie, tutti musicanti. Il maggiore si chiama Melo..."
No, non è l'inizio del capitolo apocrifo del “Signore degli Anelli”!
E non è nemmeno fantasy: nomi e fatti, è tutto vero.
Il maggiore, dicevamo, si chiama Carmelo Scarfò, suona nei TaranProject. Ed è un Supereroe, con tanto di doppia identità e superpoteri.
Ne ha dato ampia dimostrazione l'estate scorsa, quando alla sera e fino a notte fonda lo vedevamo dapprima occuparsi del soundcheck, poi esibirsi inesauribile al basso, e compiere prodigiosi balzi e acrobazie sul palco.
Dopo poche ore, smessi i panni di Superman e indossati quelli di Clark Kent (con la sua fronte spaziosa e gli occhiali a monitor gli assomiglia pure un po'...), entrava in studio di registrazione, al NunuLab, per completare a ritmi forzati, da irreprensibile professionista, registrazioni e missaggio del cd “Hjuri di Hjumari”, assistito dal fido Joe Novella.
Come ha potuto reggere quei ritmi per oltre un mese, e sfornare a fine agosto un prodotto di mirabile qualità tecnica?
Superpoteri, appunto!
Carmelo incarna appieno il prototipo del “fratello maggiore”, di chi si fa carico di qualsiasi problema e lo risolve, suscitando ammirazione e trasmettendo fiducia, ma senza mai smettere quel sorriso aperto e contagioso che ne fa un beniamino dei fan. Lui è fondamentalmente un instancabile perfezionista, anche se l'entusiasmo e la generosità che lo animano gli danno quell'aria compagnona che conquista tutti.
E non abbiamo detto ancora nulla delle sue qualità di musicista!
Durante i concerti dei TaranProject, ha scritto qualcuno, ballano anche le mattonelle della piazza. E' proprio così. Merito dell'onda tellurica che irradia dalle corde del basso di Carmelo, svelle il selciato ed elettrizza gambe e corpi. Ma non solo di potenza si tratta, poiché ad essa si abbinano fantasia e creatività che proiettano il suono in cielo, a scoppiettare d'inventiva, con un uso originale delle tecniche di slapping mutuate dal jazz e dal funk.
Con Carmelo i TaranProject hanno un tigre nel motore.
Gli Scarfò e la musica: quattro fratelli, e tutti membri di un unico gruppo, gli Scarma. Tu che sei il maggiore, ti senti in qualche modo il capostipite di questa “covata”? La passione per la musica era già presente in famiglia?
In realtà il merito è tutto dei nostri genitori, che hanno saputo trasmetterci l’amore per la musica e per l’arte in genere. L’idea iniziale di formare un gruppo assieme ai miei fratelli Francesco, Antonia e Giovanna è partita da me, ma questo non fa di me un capostipite. Io e Francesco avevamo alle spalle molte esperienze assieme, con diverse band, quando entrambi sentimmo l’esigenza di creare qualcosa di nostro. Coinvolgere Antonia e Giovanna è stato un passo naturale e necessario per completare il sound degli Scarma.
Sappiamo della tua ammirazione per Jimi Hendrix e il rock anni '70. Sei rimasto legato a quel genere, o ora ascolti altre cose?
Beh, ascolto un po' di tutto, anche perché lavorando come fonico questo mi è utile per migliorare i miei lavori. Apprezzando e suonando prettamente i grandi maestri - Mozart il mio preferito! - ascolti poi le cassette che ci sono a casa, e vieni a conoscenza dei Beatles. Ti metti a suonarli, e loro ti fanno conoscere una realtà musicale ricca di sonorità pazzesche, che stimola in maniera bestiale le tue cellule neuronali - come del resto anche il Don Giovanni, non so se rendo l’idea...
Jimi è quello che manda in tilt i miei neuroni, penso sia una questione di affinità del mio cervello con questo genere di “impulsi elettrici”. Chi ascolta Jimi, viene indirizzato all’ascolto di altri generi musicali: il Blues con John Lee Hooker, Muddy Waters, B.B. King... il Soul con Aretha Franklin, James Brown, Ray Charles... il jazz, adoro Ella Fitzgerald, eccetera... Tutte persone che avevano un forte legame con le loro radici e che in qualche modo sono riuscite a creare qualcosa di innovativo, e soprattutto comunicativo, fondendo la loro tradizione con sonorità “moderne” per quei tempi.
Seguendoti con un po' di attenzione sul palco, si colgono frequenti divagazioni, micro-improvvisazioni nelle linee di basso, in un dialogo continuo con le percussioni di Alfredo: date l'impressione di divertirvi, una specie di sfida alla variazione imprevista, è così?
Quando non sono impegnato a saltare, mi concentro un po' a suonare, e mi diverte trovare nuove linee di basso; se vedo che funzionano, la sera dopo la ripropongo. Da subito c’è stato feeling con Alfredo, siamo cresciuti assieme per migliorare il sound dei TaranProject, e ora viviamo quasi in simbiosi. Per arrivare a questo abbiamo lavorato molto, ogni concerto per noi è una prova, il grosso lavoro che stiamo cercando di fare è quello di dare una “dignità” ritmica al nostro genere musicale: il tamburello e la cassa sono la nostra batteria, e, come in tutti i migliori gruppi rock-pop, il basso deve integrarsi perfettamente con essa.
La ricerca del groove giusto e del sound che ne deve uscire è quello per cui lavoriamo di continuo. Questo è principalmente il nostro compito, essere di supporto a chi sta in trincea (Mimmo, Andrea Giovanna e Cosimo), con i quali, anche se non ci si vede negli occhi, durante il concerto comunichiamo di continuo.
La dinamica che il tuo basso conferisce al sound dei TP è formidabile; eppure qualcuno ancora solleva perplessità sull'utilizzo di uno strumento elettrico, estraneo alla tradizione, in un contesto di musica popolare. Quale ritieni sia l'apporto specifico che il basso può offrire?
In questo senso, conoscere un po' la storia della musica ti fa capire subito se si stai andando verso la giusta direzione. Penso che la chiave del successo per un gruppo che suona tarantelle, come noi, oggi sia quella di avvicinarsi a un sound che potrei definire in modo provocatorio “commerciale”. Per commerciale intendo quel che oggi la gente ascolta, attivamente o passivamente, durante la giornata, che sicuramente è diverso da quello che ascoltavano i nostri nonni.
Gli apparecchi fonografici, e gli strumenti musicali, hanno avuto una enorme evoluzione tecnologica, e ora ci permettono di avere un ascolto su tutto il campo uditivo dell’orecchio umano; tutti hanno a casa impianti home theatre, la stereofonia è una cosa già superata. Questa problematica la vedo più come una questione tecnica, diciamo che senza basso e cassa non c’è niente di serio alle frequenze sotto i 120 Hz.
A livello artistico, basso e cassa potrebbero pure non esserci, ma nel sound dei TaranProject , che amano la “botta”, sono parte essenziale; chi ha seguito qualche nostro concerto capisce di che cosa sto parlando. Il merito è anche di ”Pippi”, Giuseppe Novella, il nostro fonico metallaro ed ex dj, che sa rendere ogni colpo di cassa come fosse quello dell’album “Black” dei Metallica.
Il basso e la cassa, nei nostri concerti, sono un po' fuori rispetto agli altri strumenti, come quando vai in discoteca. La cosa sembra funzionare!
Tra i tanti pregi del cd Hjuri di Hjumari c'è anche il suo suono, originale e non assimilabile a nessun altro prodotto presente sul mercato; immagino che ciò sia grazie all'aver gestito in totale autonomia la registrazione e il missaggio, di cui tu sei l'artefice assieme a Giuseppe Novella: quali sono stati i principi che hanno guidato il vostro lavoro?
Il disco “Hjuri di Hjumari” è il primo lavoro realizzato interamente presso il mio nuovo studio di registrazione, il NunuLab, a Mammola.
Registrazioni, editing, missaggio, mastering sono stati fatti da me e Giuseppe Novella.
Dopo aver compiuto una piccola analisi dei lavori fatti in passato con altre formazioni e dell’evoluzione discografica della tarantella in Calabria, abbiamo deciso di operare seguendo più possibile ciò che il mercato discografico attuale richiede, stando però ben attenti a non snaturare quello che c'è di popolare, cercando di conferire nel mix un sound “moderno” e accattivante, che attiri l’attenzione dell’ascoltatore.
Un altro fattore vincente, per alcuni pezzi, è stato quello di avvicinarci il più possibile al sound che abbiamo dal vivo, cercando di ricreare su disco l’atmosfera magica dei nostri concerti. Questo è stato possibile grazie allo scambio continuo di pareri e opinioni tra fonici e musicisti; e io, facendo parte di entrambe le categorie, sono stato l’anello di congiunzione.
L’intero lavoro è stato completato in un mese, cosa che potrebbe sembrare normale, non fosse che era il mese di luglio, e noi suonavamo ogni giorno! E’ difficile trovare la giusta concentrazione quando sei in tour; ma i TaranProject hanno la scorza dura, abbiamo organizzato le sessioni di registrazione in modo ferreo, con tanto di tabella oraria: non importava se la sera si facevano le 5 del mattino, alle 9.30 si doveva registrare.
“Hjuri di Hjumari” è un buon punto di partenza, come primo lavoro dei Taranproject targati Cavallaro e Papandrea. Magari, avendo un po’ più di tempo, e la possibilità di risentire con tranquillità il lavoro, avremmo preso altre decisioni. Ma va bene così. Ora sta a noi lavorare per migliorare il sound dei lavori futuri.
A quale canzone dei TP sei particolarmente legato e perché?
Dirne una sola mi sembra impossibile, ogni pezzo ha le sue storie ed emozioni.
“Spagna” è uno dei pezzi che mi ricorda con piacere il periodo trascorso con i Sonu Divinu, ad essa sono collegate tante avventure, e concerti incredibili con Andrea, Fabio e Cosimo.
“Brigante se more”, che canta Giovanna, è un pezzo che suono anche con i miei fratelli, in cui si sente moltissimo l'impronta degli Scarma.
Poi c'è “Pizzicarella”, per la felicità che vedo negli occhi delle persone ai nostri concerti.
E “Cantu di lu marinaru”, l'apertura dei nostri concerti, che mi ricorda il magnifico tour 2010.
Qual è il tuo sogno (musicale) nel cassetto?
Mi piacerebbe semplicemente continuare a fare quello che sto facendo, cercando di migliorarmi sia come musicista che come fonico.
A Roma!
Non è passato nemmeno un anno dalla prima volta capitolina dei TaranProject, al Roma Tarantella Festival; in questi mesi in altre tre occasioni i nostri sono tornati ad esibirsi nei locali dell'Urbe.
Ma il quinto appuntamento è di ben altra portata: mercoledì 22 i TaranProject suoneranno a Villa Ada, in una serata tutta per loro, nell'ambito dell'importante rassegna “Roma incontra il Mondo”, giunta quest'anno alla diciottesima edizione.
Una vetrina d'eccezione!
A chi dovesse incocciare casualmente in questa pagina, alla ricerca di informazioni prima del concerto, raccomandiamo di non lasciarseli sfuggire.
Non capita di frequente di partecipare a un evento musicale in cui si coniugano originalità, raffinatezza, straordinari talenti, passione, e un irresistibile impulso al ballo, alla condivisione, alla gioia.
TaranProject è tutto questo, provare per credere!
Non mancherà loro il sostegno affettuoso dei fan in arrivo al seguito dalla Calabria (vero Giupi e Francesco Franco?).
Ma per chi non potrà accompagnarli, l'occasione di un saluto beneaugurante sarà martedì 21 a Siderno: i TaranProject, giusto prima di involarsi per Roma, apriranno la maratona della Festa Europea della Musica.
A seguire tutto il meglio della scena locridea, con un tris delle meraviglie: Loccisano, Scialaruga e Mujura, accanto a nomi storici, Invece e Quartaumentata, e al gruppo giovane di punta, Marvanza Reggae Sound.
Ma il quinto appuntamento è di ben altra portata: mercoledì 22 i TaranProject suoneranno a Villa Ada, in una serata tutta per loro, nell'ambito dell'importante rassegna “Roma incontra il Mondo”, giunta quest'anno alla diciottesima edizione.
Una vetrina d'eccezione!
A chi dovesse incocciare casualmente in questa pagina, alla ricerca di informazioni prima del concerto, raccomandiamo di non lasciarseli sfuggire.
Non capita di frequente di partecipare a un evento musicale in cui si coniugano originalità, raffinatezza, straordinari talenti, passione, e un irresistibile impulso al ballo, alla condivisione, alla gioia.
TaranProject è tutto questo, provare per credere!
Non mancherà loro il sostegno affettuoso dei fan in arrivo al seguito dalla Calabria (vero Giupi e Francesco Franco?).
Ma per chi non potrà accompagnarli, l'occasione di un saluto beneaugurante sarà martedì 21 a Siderno: i TaranProject, giusto prima di involarsi per Roma, apriranno la maratona della Festa Europea della Musica.
A seguire tutto il meglio della scena locridea, con un tris delle meraviglie: Loccisano, Scialaruga e Mujura, accanto a nomi storici, Invece e Quartaumentata, e al gruppo giovane di punta, Marvanza Reggae Sound.
Parte il Tour Estate 2011 !
Il concerto di domenica 19 a Oppido Mamertina, frazione Messignadi, segnerà il debutto del nuovo spettacolo.
Grande attesa, naturalmente, per conoscere la scaletta dei brani che ci accompagnerà per tutta l'estate: non potranno mancare “Hjuri di Hjumari” e “Massaru”, le due perle dell'ultimo cd che negli scorsi mesi erano rimaste ai box, e che sono già predestinate a trionfare, e la nuovissima “E' festa è festa”, sentita in fugace anteprima a Locri.
Per il resto stiamo a vedere...
Probabili qualche felice recupero dal passato (“Zia Marianna” in pole position, forse anche qualche altra canzone proposta a Locri), qualche inserimento prestigioso (“A virinedda” di Rosa Balistreri), possibili altre novità dalla penna ispirata di Cosimo...
E dunque ovviamente un appuntamento da non mancare!
Nei commenti il racconto appassionato di Giupi!
Grande attesa, naturalmente, per conoscere la scaletta dei brani che ci accompagnerà per tutta l'estate: non potranno mancare “Hjuri di Hjumari” e “Massaru”, le due perle dell'ultimo cd che negli scorsi mesi erano rimaste ai box, e che sono già predestinate a trionfare, e la nuovissima “E' festa è festa”, sentita in fugace anteprima a Locri.
Per il resto stiamo a vedere...
Probabili qualche felice recupero dal passato (“Zia Marianna” in pole position, forse anche qualche altra canzone proposta a Locri), qualche inserimento prestigioso (“A virinedda” di Rosa Balistreri), possibili altre novità dalla penna ispirata di Cosimo...
E dunque ovviamente un appuntamento da non mancare!
Nei commenti il racconto appassionato di Giupi!
Il Tesoro di TaranKhan
Lo scorso mese di aprile è stato segnato, nella Locride, da piogge inaudite e temperature più consone al febbraio. Ne hanno risentito anche i TaranProject e i loro fan, con l'annullamento dell'attesissimo concerto di Pasquetta; pure i concerti che si son potuti tenere sono stati in qualche modo avversati dal maltempo: il 16 a Locri per fortuna si era al coperto, ma la pioggia torrenziale di tutto il giorno può aver scoraggiato qualche appassionato in arrivo da fuori; a Portigliola, la sera di Pasqua, il palco assomigliava un po' a un lazzaretto, con almeno tre membri del gruppo alle prese con malanni fuori stagione, abbassamenti di voce e quant'altro. Anche alcuni concerti di Fabio Macagnino in quei giorni sono saltati a causa di una brutta tosse e un invincibile febbrone, e a malapena si è potuta svolgere a Roccella la presentazione ufficiale del suo cd.
Sto così arrivando al tema di questo post, con l'uscita, finalmente, del disco di Scialaruga, cioè Fabio Macagnino & friends, e contemporaneamente anche di quello di Mujura, alias Stefano Simonetta, che seguono di qualche mese il “Battente Italiana” di Francesco Loccisano; e naturalmente “Hjuri di Hjumari” di Mimmo Cavallaro con i TaranProject, di cui si attende a giorni la riedizione per il mercato nazionale.
Insomma i quattro ex componenti dei TaranKhan sono in piena fioritura!
La coincidenza ci dà lo spunto per tornare a parlare di quel gruppo, che fu decisamente seminale per la scena musicale ionica, del quale abbiamo già in passato ripercorso la storia.
Ulteriori investigazioni e ascolti suggeriscono di riprendere il tema, e consentono di far luce su altri aspetti interessanti.
Lo faremo guidati dai ricordi del quinto componente dei TaranKhan.
Mi riferisco a Daniela Bonvento, di cui nella Locride si son quasi perse le tracce, ma che ha rivestito per tanti motivi un ruolo fondamentale e peculiare nel gruppo: innanzitutto per la qualità eccelsa del suo apporto sia strumentale, alla viola e alla lira calabrese, che vocale; poi, ovviamente, per esser l'unica donna; e inoltre per la sua formazione, di impronta classica, con ortodossi e brillanti studi di conservatorio; e pure per il fatto di non provenire dal microcosmo locale, ma dalla città di Reggio.
Daniela, in possesso di una solida formazione accademica e già con importanti esperienze concertistiche alle spalle, fa la sua comparsa sul versante ionico nel 1998, chiamata dall'Orchestra del Teatro di Roccella.
Come capita a molti, s'innamora di questa terra, conquistata dalla vivacità intellettuale e dalla genuina passione per la musica con cui viene a contatto; in particolare s'instaura un bel rapporto di amicizia con Fabio Macagnino, complice anche il comune interesse per il teatro.
Alla guida dell'Orchestra c'è il maestro Carlo Frascà, da sempre autentico propulsore dei fermenti musicali roccellesi, al crocevia tra classica, tradizione popolare e jazz (merito anche del celebre Festival, che favorisce incontri con musicisti straordinari provenienti da oltre oceano) e già in quell'anno collaboratore di Eugenio Bennato: con lui compose quattro brani per il primo “Taranta Opera”, rappresentato a Lecce nell'ottobre 1998 con l'Arlesiana Chorus Ensemble roccellese al gran completo.
Un bel giorno, alle prove del coro, fa capolino un personaggio dai modi insolitamente miti e gentili: è Mimmo Cavallaro, che entra a far parte del gruppo, dove apprenderà a sua volta gli insegnamenti di Carlo Frascà.
Qualche tempo dopo, l'Arlesiana Chorus, con Daniela, Fabio e Mimmo, trascorre alcuni mesi a Roma per l'allestimento di un importante spettacolo teatrale su musiche di Eugenio Bennato, il "Pilato sempre" di Giorgio Albertazzi.
Mimmo ha portato con sé una lira calabrese, e propone a Daniela di provare a suonarla, con l'idea di introdurla nel progetto di musica etnica che all'epoca condivideva con Fabio: Folìa, o forse già Kaulon Tarantella Social Club. Complice la lontananza dalla propria terra, o l'atmosfera assorta dei lunghi pomeriggi nel chiostro antico che li ospita a Roma, Daniela e Mimmo si fanno assorbire con entusiasmo dallo studio dello strumento, che viene addirittura proposto in scena in alcune repliche dello spettacolo.
Al loro ritorno in Calabria l'embrione dei TaranKhan ha già preso forma.
Ecco come Daniela ricorda quei mesi:
"Vivevo questa esperienza in maniera un po' ambigua; trovavo assurdo ritrovarmi in una situazione tipo Blue Dahlia, con la calca, il vino, i volumi allucinanti e una dimensione così carnale della musica. Senza uno spartito, un direttore... ero libera come non mai... sospesa per questo motivo tra il terrore e l'esaltazione. Tutto ho accettato col tempo (le regole del gioco erano molto diverse da quelle che si ritrovano in ambito classico) tranne i maledetti microfoni e i fonici annessi, e i ricorrenti disguidi organizzativi. La mia dimensione ideale era decisamente più acustica e raccolta. Tra i miei ricordi preferiti ci sono le esercitazioni vocali che infliggevo a Mimmo prima di ogni concerto, e le situazioni in cui io e lui ci esibivamo da soli in acustico, tipo i seminari di canto popolare a Caulonia: a voce spiegata dentro quelle architetture antiche, dove si aveva l'impressione di tornare indietro del tempo, dove dopo un po' quello che hai dentro e quello che c'è fuori coincidevano perfettamente".
(Il Blue Dahlia a Marina di Gioiosa, per chi non lo ricordasse, è il locale di riferimento per chi fa musica nella Locride: una vera e propria fucina di talenti, che là si son fatti le ossa; è dove hanno avuto il battesimo e si son temprati tutti i gruppi della zona)
L'avventura dei TaranKhan spicca il volo, e a detta di tutti il culmine si ebbe con la favolosa esibizione di Toulon, autunno 2003.
Riascoltato oggi, quel concerto conserva per intero il forte impatto emotivo, lo smalto e la vitalità di esecuzioni che coinvolsero artisti e pubblico in un feeling immediato. Scorrono numerosi brani rimasti da allora nel repertorio di Mimmo, da Mulinarella a Mariola, dalla Seduzione a Figghju figghju e altri.
Musicalmente il gruppo sfoggia un'espressività pienamente compiuta, grande padronanza e coesione. Le differenze con gli attuali TaranProject spiccano soprattutto nelle parti vocali: nel timbro di Mimmo un po' forzato, sicuramente più vicino agli stilemi della tradizione, ma non ancora così personale e versatile com'è oggi; e nel controcanto intenso di Daniela, che nei toni più drammatici evoca il coro della tragedia greca.
Ecco lo Jocu di la Palumbella di quella sera:
Una performance magica, in una cornice perfetta: e subito Eugenio Bennato propone di farne un cd live. Non tutti i membri dei TaranKhan sono convinti, c'è il desiderio di fare ancora meglio, e così nasce l'idea di una sorta di ritiro creativo per elaborare in veste definitiva quello che sarà il cd.
Il luogo prescelto è un vecchio casolare al Bosco Catalano, sulle colline dietro Roccella, affettuosamente da loro soprannominato il Mulino Bianco: là si riproduce una situazione molto Anni Settanta, con i cinque a condividere la loro full immersion musicale e anche le occupazioni più prosaiche del vivere quotidiano. Dai ricordi di Daniela, ma anche degli altri, riaffiorano le lunghe passeggiate a raccogliere erbe selvatiche, nel silenzio mistico di paesaggi fuori dal tempo, raccontandosi l'uno all'altro, discettando dei massimi e minimi sistemi; e le favolose minestre preparate da Mimmo con l'antica sapienza erboristica del druido aspromontano.
E' facile intuire che non si trattò semplicemente di perfezionare le incisioni di Toulon, ma che le idee e la creatività di ciascuno furono rimesse completamente in gioco, e il minestrone più prelibato era proprio quel che si cucinava giorno dopo giorno attorno ai brani, che un po' alla volta cambiavano pelle: rivelando le sensibilità di ognuno, le comuni riflessioni, le discussioni sui temi della tradizione e dell'innovare, del passato e della contemporaneità, sul senso profondo del loro far musica; tra la preferenza di Daniela per i suoni acustici, la pacatezza di Mimmo, il perfezionismo di Francesco, la voglia di novità di Fabio e gli inserti elettronici voluti soprattutto da Stefano.
Non è per caso se quella registrazione inizia con questi versi:
“Sacciu 'na canzuneda alla diversa... e alla diversa la vogghju cantare...”
Di un disco davvero diverso si tratta: i brani sono grosso modo gli stessi di Toulon, ma che differenza nella originalità degli arrangiamenti e nell'impronta complessiva del suono!
Nel caleidoscopio si riflettono in perfetta sintesi le diverse concezioni dei cinque, senza tradire alcuno scompenso, in un equilibrio forse fragile ma mirabile, preveggente di futuri sviluppi della musica etnica, ma soprattutto godibilissimo all'ascolto.
Ecco Rosabella: il brano tradizionale, che conosciamo nella versione dei TaranProject, rifulge qui come un'immagine iperrealista, con i sommessi bagliori elettronici a conferire un risalto tutto nuovo all'antica melodia.
Così quando il cd fu pronto, e lo fecero ascoltare ad Eugenio Bennato, non è difficile comprendere lo sconcerto di quest'ultimo, le perplessità, e la conseguente richiesta di recarsi tutti a Caserta per incidere tutto daccapo sotto la sua direzione artistica. Così avvenne.
Poi, mentre si attende il master definitivo, arriva la primavera e riprendono i concerti. La gente chiede il cd, ma non è ancora pronto.
Daniela comincia a sentire il peso dell'inconcludenza, oltre alla fatica dei continui spostamenti a bordo della sua intrepida R4, da Reggio alla Locride e viceversa, e al disappunto per qualche pecca organizzativa di troppo; così, d'un tratto, esce dal trip nel quale era stata coinvolta: la sintonia s'incrina, in qualche occasione i concerti si riducono a impegni lavorativi da onorare, senza più grande coinvolgimento emotivo.
L'ultima grande esibizione dei TaranKhan fu a Caulonia, per il Festival a fine estate 2004. La magia viene ricatturata per una sera, un'altra grande esibizione, ma è l'ultima volta.
Il gruppo è sciolto. Il cd, di cui ormai esistono tre varianti - Toulon, Mulino Bianco e Caserta - non uscirà più.
E' questo il Tesoro di TaranKhan che attende ancora di essere recuperato. Anche se quei corsari han continuato a cavalcare l'Unda Jonica, inventando nuove ricchezze.
Stefano Simonetta, con Fabio, intraprende la via ambiziosa di Albjonica, altro e completamente diverso cd a nome TaranKhan: ne abbiamo già detto in passato, ma non mi stancherò di riproporne l'ascolto. Uno strepitoso solitario picco creativo, una chimera musicale capace oggi più che mai di suscitare inquietudine e meraviglia.
Mimmo, con il sostegno determinante di Francesco Loccisano, torna in studio per registrare un disco solista, che si chiamerà “Sona Battenti”, e verrà pubblicato solo quattro anni dopo.
In quei mesi Daniela viene chiamata per partecipare alle registrazioni, già col pancione e dunque proiettata su una tutt'altra creazione.
Lei non conserva un ricordo molto positivo di quelle sue prestazioni in studio, anche se noi che amiamo il cd non possiamo condividere questo suo punto di vista autocritico.
Di certo c'è che ancor oggi, non solo tra i fans ma da parte dei musicisti stessi, si ricorda come prodigiosa la lira calabrese dei TaranKhan; e quanto ai ricami preziosi della sua viola, farà fede l'ascolto del brano cui dedico il prossimo post.
Dal gennaio 2010 Daniela ha ripreso a suonare in teatro, ma lungo altre latitudini musicali: ora è attesa dalla nona di Beethoven.
A lei un grazie di cuore per questo racconto appassionato dei tempi gloriosi di TaranKhan.
Link a L'Eredità di TaranKhan.
Link a Echi di TaranKhan: i filmati di tre brani dal vivo nel 2003!
Sto così arrivando al tema di questo post, con l'uscita, finalmente, del disco di Scialaruga, cioè Fabio Macagnino & friends, e contemporaneamente anche di quello di Mujura, alias Stefano Simonetta, che seguono di qualche mese il “Battente Italiana” di Francesco Loccisano; e naturalmente “Hjuri di Hjumari” di Mimmo Cavallaro con i TaranProject, di cui si attende a giorni la riedizione per il mercato nazionale.
Insomma i quattro ex componenti dei TaranKhan sono in piena fioritura!
La coincidenza ci dà lo spunto per tornare a parlare di quel gruppo, che fu decisamente seminale per la scena musicale ionica, del quale abbiamo già in passato ripercorso la storia.
Ulteriori investigazioni e ascolti suggeriscono di riprendere il tema, e consentono di far luce su altri aspetti interessanti.
Lo faremo guidati dai ricordi del quinto componente dei TaranKhan.
Mi riferisco a Daniela Bonvento, di cui nella Locride si son quasi perse le tracce, ma che ha rivestito per tanti motivi un ruolo fondamentale e peculiare nel gruppo: innanzitutto per la qualità eccelsa del suo apporto sia strumentale, alla viola e alla lira calabrese, che vocale; poi, ovviamente, per esser l'unica donna; e inoltre per la sua formazione, di impronta classica, con ortodossi e brillanti studi di conservatorio; e pure per il fatto di non provenire dal microcosmo locale, ma dalla città di Reggio.
Daniela, in possesso di una solida formazione accademica e già con importanti esperienze concertistiche alle spalle, fa la sua comparsa sul versante ionico nel 1998, chiamata dall'Orchestra del Teatro di Roccella.
Come capita a molti, s'innamora di questa terra, conquistata dalla vivacità intellettuale e dalla genuina passione per la musica con cui viene a contatto; in particolare s'instaura un bel rapporto di amicizia con Fabio Macagnino, complice anche il comune interesse per il teatro.
Alla guida dell'Orchestra c'è il maestro Carlo Frascà, da sempre autentico propulsore dei fermenti musicali roccellesi, al crocevia tra classica, tradizione popolare e jazz (merito anche del celebre Festival, che favorisce incontri con musicisti straordinari provenienti da oltre oceano) e già in quell'anno collaboratore di Eugenio Bennato: con lui compose quattro brani per il primo “Taranta Opera”, rappresentato a Lecce nell'ottobre 1998 con l'Arlesiana Chorus Ensemble roccellese al gran completo.
Un bel giorno, alle prove del coro, fa capolino un personaggio dai modi insolitamente miti e gentili: è Mimmo Cavallaro, che entra a far parte del gruppo, dove apprenderà a sua volta gli insegnamenti di Carlo Frascà.
Qualche tempo dopo, l'Arlesiana Chorus, con Daniela, Fabio e Mimmo, trascorre alcuni mesi a Roma per l'allestimento di un importante spettacolo teatrale su musiche di Eugenio Bennato, il "Pilato sempre" di Giorgio Albertazzi.
Mimmo ha portato con sé una lira calabrese, e propone a Daniela di provare a suonarla, con l'idea di introdurla nel progetto di musica etnica che all'epoca condivideva con Fabio: Folìa, o forse già Kaulon Tarantella Social Club. Complice la lontananza dalla propria terra, o l'atmosfera assorta dei lunghi pomeriggi nel chiostro antico che li ospita a Roma, Daniela e Mimmo si fanno assorbire con entusiasmo dallo studio dello strumento, che viene addirittura proposto in scena in alcune repliche dello spettacolo.
Al loro ritorno in Calabria l'embrione dei TaranKhan ha già preso forma.
Ecco come Daniela ricorda quei mesi:
"Vivevo questa esperienza in maniera un po' ambigua; trovavo assurdo ritrovarmi in una situazione tipo Blue Dahlia, con la calca, il vino, i volumi allucinanti e una dimensione così carnale della musica. Senza uno spartito, un direttore... ero libera come non mai... sospesa per questo motivo tra il terrore e l'esaltazione. Tutto ho accettato col tempo (le regole del gioco erano molto diverse da quelle che si ritrovano in ambito classico) tranne i maledetti microfoni e i fonici annessi, e i ricorrenti disguidi organizzativi. La mia dimensione ideale era decisamente più acustica e raccolta. Tra i miei ricordi preferiti ci sono le esercitazioni vocali che infliggevo a Mimmo prima di ogni concerto, e le situazioni in cui io e lui ci esibivamo da soli in acustico, tipo i seminari di canto popolare a Caulonia: a voce spiegata dentro quelle architetture antiche, dove si aveva l'impressione di tornare indietro del tempo, dove dopo un po' quello che hai dentro e quello che c'è fuori coincidevano perfettamente".
(Il Blue Dahlia a Marina di Gioiosa, per chi non lo ricordasse, è il locale di riferimento per chi fa musica nella Locride: una vera e propria fucina di talenti, che là si son fatti le ossa; è dove hanno avuto il battesimo e si son temprati tutti i gruppi della zona)
L'avventura dei TaranKhan spicca il volo, e a detta di tutti il culmine si ebbe con la favolosa esibizione di Toulon, autunno 2003.
Riascoltato oggi, quel concerto conserva per intero il forte impatto emotivo, lo smalto e la vitalità di esecuzioni che coinvolsero artisti e pubblico in un feeling immediato. Scorrono numerosi brani rimasti da allora nel repertorio di Mimmo, da Mulinarella a Mariola, dalla Seduzione a Figghju figghju e altri.
Musicalmente il gruppo sfoggia un'espressività pienamente compiuta, grande padronanza e coesione. Le differenze con gli attuali TaranProject spiccano soprattutto nelle parti vocali: nel timbro di Mimmo un po' forzato, sicuramente più vicino agli stilemi della tradizione, ma non ancora così personale e versatile com'è oggi; e nel controcanto intenso di Daniela, che nei toni più drammatici evoca il coro della tragedia greca.
Ecco lo Jocu di la Palumbella di quella sera:
Una performance magica, in una cornice perfetta: e subito Eugenio Bennato propone di farne un cd live. Non tutti i membri dei TaranKhan sono convinti, c'è il desiderio di fare ancora meglio, e così nasce l'idea di una sorta di ritiro creativo per elaborare in veste definitiva quello che sarà il cd.
Il luogo prescelto è un vecchio casolare al Bosco Catalano, sulle colline dietro Roccella, affettuosamente da loro soprannominato il Mulino Bianco: là si riproduce una situazione molto Anni Settanta, con i cinque a condividere la loro full immersion musicale e anche le occupazioni più prosaiche del vivere quotidiano. Dai ricordi di Daniela, ma anche degli altri, riaffiorano le lunghe passeggiate a raccogliere erbe selvatiche, nel silenzio mistico di paesaggi fuori dal tempo, raccontandosi l'uno all'altro, discettando dei massimi e minimi sistemi; e le favolose minestre preparate da Mimmo con l'antica sapienza erboristica del druido aspromontano.
E' facile intuire che non si trattò semplicemente di perfezionare le incisioni di Toulon, ma che le idee e la creatività di ciascuno furono rimesse completamente in gioco, e il minestrone più prelibato era proprio quel che si cucinava giorno dopo giorno attorno ai brani, che un po' alla volta cambiavano pelle: rivelando le sensibilità di ognuno, le comuni riflessioni, le discussioni sui temi della tradizione e dell'innovare, del passato e della contemporaneità, sul senso profondo del loro far musica; tra la preferenza di Daniela per i suoni acustici, la pacatezza di Mimmo, il perfezionismo di Francesco, la voglia di novità di Fabio e gli inserti elettronici voluti soprattutto da Stefano.
Non è per caso se quella registrazione inizia con questi versi:
“Sacciu 'na canzuneda alla diversa... e alla diversa la vogghju cantare...”
Di un disco davvero diverso si tratta: i brani sono grosso modo gli stessi di Toulon, ma che differenza nella originalità degli arrangiamenti e nell'impronta complessiva del suono!
Nel caleidoscopio si riflettono in perfetta sintesi le diverse concezioni dei cinque, senza tradire alcuno scompenso, in un equilibrio forse fragile ma mirabile, preveggente di futuri sviluppi della musica etnica, ma soprattutto godibilissimo all'ascolto.
Ecco Rosabella: il brano tradizionale, che conosciamo nella versione dei TaranProject, rifulge qui come un'immagine iperrealista, con i sommessi bagliori elettronici a conferire un risalto tutto nuovo all'antica melodia.
Così quando il cd fu pronto, e lo fecero ascoltare ad Eugenio Bennato, non è difficile comprendere lo sconcerto di quest'ultimo, le perplessità, e la conseguente richiesta di recarsi tutti a Caserta per incidere tutto daccapo sotto la sua direzione artistica. Così avvenne.
Poi, mentre si attende il master definitivo, arriva la primavera e riprendono i concerti. La gente chiede il cd, ma non è ancora pronto.
Daniela comincia a sentire il peso dell'inconcludenza, oltre alla fatica dei continui spostamenti a bordo della sua intrepida R4, da Reggio alla Locride e viceversa, e al disappunto per qualche pecca organizzativa di troppo; così, d'un tratto, esce dal trip nel quale era stata coinvolta: la sintonia s'incrina, in qualche occasione i concerti si riducono a impegni lavorativi da onorare, senza più grande coinvolgimento emotivo.
L'ultima grande esibizione dei TaranKhan fu a Caulonia, per il Festival a fine estate 2004. La magia viene ricatturata per una sera, un'altra grande esibizione, ma è l'ultima volta.
Il gruppo è sciolto. Il cd, di cui ormai esistono tre varianti - Toulon, Mulino Bianco e Caserta - non uscirà più.
E' questo il Tesoro di TaranKhan che attende ancora di essere recuperato. Anche se quei corsari han continuato a cavalcare l'Unda Jonica, inventando nuove ricchezze.
Stefano Simonetta, con Fabio, intraprende la via ambiziosa di Albjonica, altro e completamente diverso cd a nome TaranKhan: ne abbiamo già detto in passato, ma non mi stancherò di riproporne l'ascolto. Uno strepitoso solitario picco creativo, una chimera musicale capace oggi più che mai di suscitare inquietudine e meraviglia.
Mimmo, con il sostegno determinante di Francesco Loccisano, torna in studio per registrare un disco solista, che si chiamerà “Sona Battenti”, e verrà pubblicato solo quattro anni dopo.
In quei mesi Daniela viene chiamata per partecipare alle registrazioni, già col pancione e dunque proiettata su una tutt'altra creazione.
Lei non conserva un ricordo molto positivo di quelle sue prestazioni in studio, anche se noi che amiamo il cd non possiamo condividere questo suo punto di vista autocritico.
Di certo c'è che ancor oggi, non solo tra i fans ma da parte dei musicisti stessi, si ricorda come prodigiosa la lira calabrese dei TaranKhan; e quanto ai ricami preziosi della sua viola, farà fede l'ascolto del brano cui dedico il prossimo post.
Dal gennaio 2010 Daniela ha ripreso a suonare in teatro, ma lungo altre latitudini musicali: ora è attesa dalla nona di Beethoven.
A lei un grazie di cuore per questo racconto appassionato dei tempi gloriosi di TaranKhan.
Link a L'Eredità di TaranKhan.
Link a Echi di TaranKhan: i filmati di tre brani dal vivo nel 2003!
Zia Marianna
Presento questa canzone, non molto nota agli appassionati, come un omaggio ai TaranKhan.
Si tratta di una ballata composta da Stefano Simonetta , eseguita con straordinaria finezza espressiva in questa versione registrata nel 2003 al Bosco Catalano.
Nel testo (ricostruito con l'aiuto di Giuseppina) il cantore si rivolge all'amata con il fuorviante appellativo di “zia”, offrendole il suo sentimento protettivo e fedele; un afflato di premurosa devozione lo induce a proporsi come il toccasana di tutti i mali, o le difficoltà, che possano far ombra alla felicità di lei, del suo mondo... e persino della suocera, alla quale rivolge un tenero intento di compassione servizievole.
Le figure in scena sono quelle di un bozzetto di Esopo: uccelli di varie indoli, dall'orgogliosa upupa alla gazza spocchiosa, dai previdenti passerotti costruttori di nidi al nero corvo maligno; e la stessa Zia Marianna, arrampicata sulla palma, sembra partecipare della loro dimensione aerea, come alla fine anche la mamma anziana, che sale sulla sua scaletta. Un riverbero di immagini volatili che dona al brano un fascino avvolgente, a cui è impossibile resistere.
La melodia è un incanto assoluto: un perfetto scintillante cammeo, che la chitarra di Francesco Loccisano intaglia con maestria, e che la viola di Daniela Bonvento adorna di stupefacenti riflessi, mentre la voce di Mimmo regna sovrana.
Questa canzone è stata riproposta di recente dai TaranProject a Locri: c'è perciò la fondata speranza che ricompaia nella scaletta del Tour estivo 2011, in partenza tra breve!
Di seguito il testo, nei commenti la traduzione in italiano.
Zia Marianna
Cu ti lu diss'a tia ca non ti vogghju,
fatti nu pagghjaredu ca ti pigghju.
A vitti chi stacìa sup'a na parma,
cu nu panaru dattuli cogghìa.
Ca ti li cogghju eu, zia Marianna cori meu,
ca ti li cogghiu eu, zia Marianna cori meu.
Nu pipituni cu lu beccu forti,
pirci la ligna e non voli virrina,
na carcarazza cu li gambi storti
dici ca sapi tissiri la tila.
Ca ti la tissu eu, zia Marianna cori meu,
ca ti la tissu eu, zia Marianna cori meu.
Tutti l'arcedi di la rugatura
fannu lu loru nidu a primavera.
Vinni lu corvu nigru e la mal'ura,
tutti ci li sconzau cu na svintura.
Ca ti l'aggiustu eu, zia Marianna cori meu,
ca ti l'aggiustu eu, zia Marianna cori meu!
Cu ti lu dissi ca mammata è vecchia,
e sup'a lu lettu non poti 'nchianà,
ci facimu 'na bella scaletta
mu 'nchiana e mu scindi ch'i comodi soi.
Ci facimu 'na bella scaletta
mu 'nchiana e mu scindi ch'i comodi soi.
Si tratta di una ballata composta da Stefano Simonetta , eseguita con straordinaria finezza espressiva in questa versione registrata nel 2003 al Bosco Catalano.
Nel testo (ricostruito con l'aiuto di Giuseppina) il cantore si rivolge all'amata con il fuorviante appellativo di “zia”, offrendole il suo sentimento protettivo e fedele; un afflato di premurosa devozione lo induce a proporsi come il toccasana di tutti i mali, o le difficoltà, che possano far ombra alla felicità di lei, del suo mondo... e persino della suocera, alla quale rivolge un tenero intento di compassione servizievole.
Le figure in scena sono quelle di un bozzetto di Esopo: uccelli di varie indoli, dall'orgogliosa upupa alla gazza spocchiosa, dai previdenti passerotti costruttori di nidi al nero corvo maligno; e la stessa Zia Marianna, arrampicata sulla palma, sembra partecipare della loro dimensione aerea, come alla fine anche la mamma anziana, che sale sulla sua scaletta. Un riverbero di immagini volatili che dona al brano un fascino avvolgente, a cui è impossibile resistere.
La melodia è un incanto assoluto: un perfetto scintillante cammeo, che la chitarra di Francesco Loccisano intaglia con maestria, e che la viola di Daniela Bonvento adorna di stupefacenti riflessi, mentre la voce di Mimmo regna sovrana.
Questa canzone è stata riproposta di recente dai TaranProject a Locri: c'è perciò la fondata speranza che ricompaia nella scaletta del Tour estivo 2011, in partenza tra breve!
Di seguito il testo, nei commenti la traduzione in italiano.
Zia Marianna
Cu ti lu diss'a tia ca non ti vogghju,
fatti nu pagghjaredu ca ti pigghju.
A vitti chi stacìa sup'a na parma,
cu nu panaru dattuli cogghìa.
Ca ti li cogghju eu, zia Marianna cori meu,
ca ti li cogghiu eu, zia Marianna cori meu.
Nu pipituni cu lu beccu forti,
pirci la ligna e non voli virrina,
na carcarazza cu li gambi storti
dici ca sapi tissiri la tila.
Ca ti la tissu eu, zia Marianna cori meu,
ca ti la tissu eu, zia Marianna cori meu.
Tutti l'arcedi di la rugatura
fannu lu loru nidu a primavera.
Vinni lu corvu nigru e la mal'ura,
tutti ci li sconzau cu na svintura.
Ca ti l'aggiustu eu, zia Marianna cori meu,
ca ti l'aggiustu eu, zia Marianna cori meu!
Cu ti lu dissi ca mammata è vecchia,
e sup'a lu lettu non poti 'nchianà,
ci facimu 'na bella scaletta
mu 'nchiana e mu scindi ch'i comodi soi.
Ci facimu 'na bella scaletta
mu 'nchiana e mu scindi ch'i comodi soi.
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