Caulonia è un posto speciale.
Perché ha dato i natali a Mimmo Cavallaro, direte voi: sì, certo, ma non è a questo che sto pensando. Né al fatto che qui si tiene a fine agosto il Kaulonia Tarantella Festival, manifestazione che cresce d'importanza anno dopo anno; e neanche al fascino arcaico della tradizionale processione del Caracolo, che si attende per il Sabato di Pasqua. Nemmeno mi riferisco alla particolare bellezza di un borgo tra i più suggestivi dell'entroterra calabrese, che si mostra e si cela, altero tra gli ulivi, a chi salga dalla marina, per accoglierlo poi nella spirale di stradine medievali percorse da brezze volubili, tra belle piazze e improvvisi squarci paesaggistici.
E' che Caulonia costituisce, da sempre, un mondo a parte.
Una piccola patria dell'utopia, dell'orgoglio, della condivisione. Fin dai tempi epici della Repubblica Rossa, e poi in questi anni in virtù delle tante iniziative di apertura e accoglienza ai migranti di ogni etnìa.
Per sabato prossimo, 2 aprile, l'amministrazione della città di Caulonia ha proclamato uno Sciopero cittadino, cui aderiscono i Sindacati confederali, il periodico La Riviera e molte associazioni locali: risuonerà, isolato e forte, un grido di allarme, e ancor più di sdegno, per come - in quest'anno di celebrazioni - il Sud d'Italia viene raccontato, e per come di conseguenza viene trattato, da chi detiene le leve nazionali dell'informazione e del potere.
Ad aprire la grande manifestazione, a Piazza Bottari, sarà un momento musicale: il sindaco Ilario Ammendolia ha pensato di chiamare due artisti che hanno dato lustro in questi anni al nome della città, Fabio Macagnino e Mimmo Cavallaro. Fabio aprirà alle 9,30 con qualche brano dal bellissimo cd, fresco di stampa, dei suoi Scialaruga.
Alle 10 (di mattina!) toccherà ai TaranProject: e siamo sicuri che, come altre volte, daranno il meglio di sé nell'inventarsi diversi in un orario e in un contesto insoliti, e più di qualsiasi oratore sapranno disporre i cuori dei presenti ad una giornata di solidarietà e di riscatto collettivo.
Mimmo Cavallaro, a dispetto di chi pensa che la sua musica sia solo rivolta ad un passato idealizzato, si è dimostrato sempre sensibile alle tematiche sociali: sin dai tempi della canzone “Castrum Vetus”, dedicata proprio a Caulonia e alla Repubblica Rossa (nei commenti qui sotto è riportato il testo, trascritto grazie all'impegno sapiente di Giuseppina e Francesco Franco), fino ai numerosi riferimenti, nei brani più recenti, agli sbarchi sulle coste della Locride (Passa lu mari) o all'istintiva determinazione a schierarsi dalla parte dei vinti (“Focu mu pigghja a tutti li patruni...e 'n paradisu 'nbeci li garzuni...”).
Chi può, sabato, vada a Caulonia: l'occasione per vedere un artista che non ha eguali in un paese che non ha eguali, e per riaffermare un diritto che rischiamo di dimenticare, quello a immaginare un'Italia diversa.
Week-end con i TaranProject
Freschi del successo in terra di Francia, e dopo il rinvio per maltempo del concerto di Soverato Superiore, finalmente i TaranProject sono tornati a calcare una piazza calabrese, domenica scorsa a Varapodio.
In preparazione intanto gli appuntamenti di aprile.
Quattro belle foto da Varapodio (by Vincenzo Nava)
In preparazione intanto gli appuntamenti di aprile.
Quattro belle foto da Varapodio (by Vincenzo Nava)
Sette domande... ad Andrea
Secondo appuntamento con le interviste ai TaranProject.
E' di scena Andrea Simonetta, che dalla sua postazione sulla destra del palco, sempre concentrato ed assorto, offre al gruppo molto più che le melodie di chitarra classica.
Andrea è l'autentico baricentro del sound TaranProject, è lui a dare il la a gran parte dei brani, a dettarne i tempi e sostenerne l'atmosfera; lo fa esplicando la sua personale arte dell'arpeggio, in cui l'apparente semplicità cela la capacità straordinaria di cogliere il nocciolo espressivo essenziale di ciascuna canzone, di rendercelo palese e accattivante, di illuminarci la via più naturale per assaporarlo.
A parte qualche apparizione estemporanea ai tempi di TaranKhan, come recentemente documentato, Andrea fece il suo ingresso ufficiale nel giro con gli Atnarat, il primo gruppo di Cosimo Papandrea con Fabio Macagnino, nel 2005.
Non è certo un caso che da allora in poi non c'è stato progetto di cui Andrea non sia stato figura cardine: SonuDivinu, Gozzansamble, Bassa Marea, KarakoloFool, TaranProject... solo lui è stato membro di tutti questi gruppi. E' perché della sua discreta e sapiente presenza non si può proprio fare a meno!
L'attesa dei fan di vedere un giorno o l'altro Andrea ballare, o semplicemente partecipare alla processione di “Santu Roccu”, è destinata ad andare invariabilmente delusa; ma il suo imperturbabile aplomb è divenuto elemento caratteristico, vagamente straniante, dell'immagine del gruppo, e catalizza nondimeno l'apprezzamento e l'affetto del pubblico. Andrea, come tutti sanno, è di Roccella Jonica, e il suo segno zodiacale è l'Aquario.
Anche tuo fratello Stefano è musicista: qualcuno in famiglia vi ha indirizzato verso gli studi musicali, o vi ha trasmesso la passione?
Ho iniziato a suonare la chitarra da piccolo, avevo 9 anni, ed è stato mio padre a insegnarmi le prime nozioni. Ancora non conosceva bene la musica, quindi ho proseguito gli studi con un maestro privato. Posso dire però che è stato grazie a lui che ho appreso la passione per la musica in generale, e in particolar modo per quella classica e cantautoriale italiana.
Prima di cominciare a suonarla, qual era i tuo rapporto con la musica popolare? Che musica ti piace, e cosa ascolti ora?
Il mio rapporto con la musica popolare è nato molto tardi. Essendo figlio degli anni '90, il contesto musicale che ha accompagnato la mia adolescenza si allontanava di gran lunga da quello in cui mi trovo a suonare in questo momento. Come qualunque ragazzo che suona la chitarra ed inizia ad esibirsi in pubblico, all'epoca ascoltavo molta musica rock americana e pop inglese; in più il mio background musicale era arricchito dagli interessi musicali trasmessimi da mio padre, e dalla passione per le composizioni per chitarra classica, che studiavo privatamente. In quegli anni inoltre la tarantella si trovava ancora ibernata allo stadio primordiale, ed esiliata nell’entroterra calabrese; le poche volte che veniva riproposta era sovraccarica di quel folclore di cui ci siamo sempre un po' vergognati.
Il mio primo incontro con la musica popolare avvenne quando conobbi Mimmo, rimanendo attratto però da sonorità che erano già rimaneggiate, sia a livello verbale che musicale. Prima come ascoltatore, e poi come musicista, fui coinvolto da quel fenomeno, che non era musica popolare vera e propria, ma quella che cantava lui.
La svolta fu quando, a cena da un amico assieme ad altre persone, vidi in dvd “The America Folk Blues Festival “, un festival itinerante, che nel 1962 portò in giro per l’Europa la musica Afroamericana con i suoi principali artisti delle generazioni più mature (Big Joe Williams, Sonny Terry ed altri loro coetanei). Stavano seduti su una panca con la chitarra, il banjo e l’armonica, suonavano un brano ciascuno, e mentre li guardavamo qualcuno disse: “Praticamente il blues è come la tarantella!”
In effetti, da quel che avevo visto, era così. Anche se cambiava il contesto in cui erano nate, tarantella e blues seguivano gli stessi principi, e avevano una struttura molto simile. Contemporaneamente a quell’episodio avevo già cominciato a suonare sia con Mimmo che con Cosimo, anche se in due gruppi diversi. E la mia curiosità, incentrata fino ad allora su questioni prettamente stilistiche, prese un’altra piega: iniziai ad ascoltare le registrazioni che fece Lomax negli anni '50 in Calabria, assieme a quelle raccolte da altri musicologi più recentemente, e continuo ancora adesso a leggere pubblicazioni che parlano del contesto sociale in cui questo genere musicale è cresciuto.
Dirti che musica mi piace è un po’ complesso. Diciamo innanzitutto che sono un fan sfegatato dei Beatles: per conoscere i miei gusti bisogna partire da questo particolare, ascolto con estrema attenzione perfino i provini dei loro brani, pubblicati nelle antologie, e sono molto informato sulla loro nascita, sull'evoluzione e sulla scissione del gruppo. Ho sempre ritenuto che Battisti fosse il loro equivalente italiano, e anche per lui nutro una forte ammirazione. Adoro la musica jazz, stimolato anche dal fatto che a Roccella da 26 anni si svolge un festival internazionale, sia gli standard di Duke Ellington, George Gershwin, Ella Fitzgerald, Nat King Cole, etc, sia il “free jazz” con tutte le sue contaminazioni. Ultimamente sto anche riscoprendo gli standard italiani (Natalino Otto, Rabagliati, etc). Per quanto riguarda quello che sto ascoltando in questo periodo, per evitare di dilungarmi troppo, posso dirti che nel mio lettore mp3 c’è l’ultimo album di Carmen Consoli, un album di Chet Baker, “Camera a sud” di Vinicio Capossela e il primo album di Jeff Buckley. E poi adoro Bach, e mi commuovo ogni volta che ascolto lo “Stabat Mater” di Pergolesi.
Mi ha sempre colpito, del tuo stile chitarristico, la capacità di essere essenziale, quasi minimale, eppure straordinariamente intenso ed espressivo: ci arrivi per sintesi e affinamento graduale? o è un approccio istintivo?
Sono sempre stato convinto che un musicista deve cercare di eliminare e non di aggiungere. Anche nel virtuosismo c’è un limite oltre il quale tutto diventa superfluo e viene smarrito l’obiettivo finale. Questo è un approccio che c’è sempre stato in me, ma che in passato risultava ancora poco maturo. Come si evolve l’ascolto, si perfeziona anche lo stile, e si sente la necessità di concentrarsi di più su determinate tecniche. E’ normale che adesso mi senta molto più preparato sulla musica popolare rispetto a qualche anno fa. E questo si riflette sul modo di eseguirla.
Sul palco il tuo atteggiamento imperturbabile e assorto è diventato un marchio di fabbrica: è frutto di una scelta stilistica, o un modo di concentrarsi sulla musica, o altro?
E’ il mio modo di essere, non è ricercato. Anche se può sembrare strano è il momento in cui sono più spontaneo, e come tendo ad “eliminare” sulla parte musicale, lo faccio anche stando in quel modo sul palco. Magari senza rendermene conto.
Come nascono gli arrangiamenti dei pezzi dei TP, e le varianti che sovente notiamo? E' un lavoro individuale o procedete condividendo le scelte tutti assieme?
Molti brani dei TaranProject sono il risultato di una vicenda iniziata dieci anni fa con i “Folia” proseguita con i “TaranKhan”, ripresa dai “SonuDivinu” e passata attraverso i “KarakoloFool”. In questa vicenda lunga e molto articolata sono intervenuti parecchi musicisti, alcuni dei quali non sono più presenti nel gruppo, che avevano creato gli arrangiamenti di diversi pezzi. Altri arrangiamenti fanno parte di tutti questi passaggi, all’interno dei quali siamo presenti molti di noi.
Il prodotto che esprime a pieno il lavoro dell'attuale formazione è “Hjuri di hjumari”, in quanto arrangiato e registrato da noi. I brani hanno sempre come punto di partenza un provino costituito da voce e chitarra sul quale poi si decide assieme tutto il resto.
A quale canzone dei TP sei particolarmente legato e perché?
Non c’è un brano al quale mi sento più legato, ma ce n’è uno che rappresenta nel mio approccio musicale il passaggio tra i TaranProject di prima e quelli di adesso. “Parrami di lu suli” è la prima canzone di “Hjuri di Hjumari” sulla quale ho iniziato a lavorare, e contiene i germogli del nuovo sound, un po’ più ricercato, tanto da risultare quasi più da ascolto che da ballo. Ha rappresentato anche il pretesto per mettermi in discussione, visto che appena ho ascoltato il provino ho pensato di voler prendere in mano uno strumento che non conoscevo, la mandola.
Qual è il tuo sogno (musicale) nel cassetto?
Non so se è un sogno nel cassetto, ma mi è sempre piaciuto pensare di poter suonare il “Concerto di Aranjuez” di Joaquin Rodrigo.
E' di scena Andrea Simonetta, che dalla sua postazione sulla destra del palco, sempre concentrato ed assorto, offre al gruppo molto più che le melodie di chitarra classica.
Andrea è l'autentico baricentro del sound TaranProject, è lui a dare il la a gran parte dei brani, a dettarne i tempi e sostenerne l'atmosfera; lo fa esplicando la sua personale arte dell'arpeggio, in cui l'apparente semplicità cela la capacità straordinaria di cogliere il nocciolo espressivo essenziale di ciascuna canzone, di rendercelo palese e accattivante, di illuminarci la via più naturale per assaporarlo.
A parte qualche apparizione estemporanea ai tempi di TaranKhan, come recentemente documentato, Andrea fece il suo ingresso ufficiale nel giro con gli Atnarat, il primo gruppo di Cosimo Papandrea con Fabio Macagnino, nel 2005.
Non è certo un caso che da allora in poi non c'è stato progetto di cui Andrea non sia stato figura cardine: SonuDivinu, Gozzansamble, Bassa Marea, KarakoloFool, TaranProject... solo lui è stato membro di tutti questi gruppi. E' perché della sua discreta e sapiente presenza non si può proprio fare a meno!
L'attesa dei fan di vedere un giorno o l'altro Andrea ballare, o semplicemente partecipare alla processione di “Santu Roccu”, è destinata ad andare invariabilmente delusa; ma il suo imperturbabile aplomb è divenuto elemento caratteristico, vagamente straniante, dell'immagine del gruppo, e catalizza nondimeno l'apprezzamento e l'affetto del pubblico. Andrea, come tutti sanno, è di Roccella Jonica, e il suo segno zodiacale è l'Aquario.
Anche tuo fratello Stefano è musicista: qualcuno in famiglia vi ha indirizzato verso gli studi musicali, o vi ha trasmesso la passione?
Ho iniziato a suonare la chitarra da piccolo, avevo 9 anni, ed è stato mio padre a insegnarmi le prime nozioni. Ancora non conosceva bene la musica, quindi ho proseguito gli studi con un maestro privato. Posso dire però che è stato grazie a lui che ho appreso la passione per la musica in generale, e in particolar modo per quella classica e cantautoriale italiana.
Prima di cominciare a suonarla, qual era i tuo rapporto con la musica popolare? Che musica ti piace, e cosa ascolti ora?
Il mio rapporto con la musica popolare è nato molto tardi. Essendo figlio degli anni '90, il contesto musicale che ha accompagnato la mia adolescenza si allontanava di gran lunga da quello in cui mi trovo a suonare in questo momento. Come qualunque ragazzo che suona la chitarra ed inizia ad esibirsi in pubblico, all'epoca ascoltavo molta musica rock americana e pop inglese; in più il mio background musicale era arricchito dagli interessi musicali trasmessimi da mio padre, e dalla passione per le composizioni per chitarra classica, che studiavo privatamente. In quegli anni inoltre la tarantella si trovava ancora ibernata allo stadio primordiale, ed esiliata nell’entroterra calabrese; le poche volte che veniva riproposta era sovraccarica di quel folclore di cui ci siamo sempre un po' vergognati.
Il mio primo incontro con la musica popolare avvenne quando conobbi Mimmo, rimanendo attratto però da sonorità che erano già rimaneggiate, sia a livello verbale che musicale. Prima come ascoltatore, e poi come musicista, fui coinvolto da quel fenomeno, che non era musica popolare vera e propria, ma quella che cantava lui.
La svolta fu quando, a cena da un amico assieme ad altre persone, vidi in dvd “The America Folk Blues Festival “, un festival itinerante, che nel 1962 portò in giro per l’Europa la musica Afroamericana con i suoi principali artisti delle generazioni più mature (Big Joe Williams, Sonny Terry ed altri loro coetanei). Stavano seduti su una panca con la chitarra, il banjo e l’armonica, suonavano un brano ciascuno, e mentre li guardavamo qualcuno disse: “Praticamente il blues è come la tarantella!”
In effetti, da quel che avevo visto, era così. Anche se cambiava il contesto in cui erano nate, tarantella e blues seguivano gli stessi principi, e avevano una struttura molto simile. Contemporaneamente a quell’episodio avevo già cominciato a suonare sia con Mimmo che con Cosimo, anche se in due gruppi diversi. E la mia curiosità, incentrata fino ad allora su questioni prettamente stilistiche, prese un’altra piega: iniziai ad ascoltare le registrazioni che fece Lomax negli anni '50 in Calabria, assieme a quelle raccolte da altri musicologi più recentemente, e continuo ancora adesso a leggere pubblicazioni che parlano del contesto sociale in cui questo genere musicale è cresciuto.
Dirti che musica mi piace è un po’ complesso. Diciamo innanzitutto che sono un fan sfegatato dei Beatles: per conoscere i miei gusti bisogna partire da questo particolare, ascolto con estrema attenzione perfino i provini dei loro brani, pubblicati nelle antologie, e sono molto informato sulla loro nascita, sull'evoluzione e sulla scissione del gruppo. Ho sempre ritenuto che Battisti fosse il loro equivalente italiano, e anche per lui nutro una forte ammirazione. Adoro la musica jazz, stimolato anche dal fatto che a Roccella da 26 anni si svolge un festival internazionale, sia gli standard di Duke Ellington, George Gershwin, Ella Fitzgerald, Nat King Cole, etc, sia il “free jazz” con tutte le sue contaminazioni. Ultimamente sto anche riscoprendo gli standard italiani (Natalino Otto, Rabagliati, etc). Per quanto riguarda quello che sto ascoltando in questo periodo, per evitare di dilungarmi troppo, posso dirti che nel mio lettore mp3 c’è l’ultimo album di Carmen Consoli, un album di Chet Baker, “Camera a sud” di Vinicio Capossela e il primo album di Jeff Buckley. E poi adoro Bach, e mi commuovo ogni volta che ascolto lo “Stabat Mater” di Pergolesi.
Mi ha sempre colpito, del tuo stile chitarristico, la capacità di essere essenziale, quasi minimale, eppure straordinariamente intenso ed espressivo: ci arrivi per sintesi e affinamento graduale? o è un approccio istintivo?
Sono sempre stato convinto che un musicista deve cercare di eliminare e non di aggiungere. Anche nel virtuosismo c’è un limite oltre il quale tutto diventa superfluo e viene smarrito l’obiettivo finale. Questo è un approccio che c’è sempre stato in me, ma che in passato risultava ancora poco maturo. Come si evolve l’ascolto, si perfeziona anche lo stile, e si sente la necessità di concentrarsi di più su determinate tecniche. E’ normale che adesso mi senta molto più preparato sulla musica popolare rispetto a qualche anno fa. E questo si riflette sul modo di eseguirla.
Sul palco il tuo atteggiamento imperturbabile e assorto è diventato un marchio di fabbrica: è frutto di una scelta stilistica, o un modo di concentrarsi sulla musica, o altro?
E’ il mio modo di essere, non è ricercato. Anche se può sembrare strano è il momento in cui sono più spontaneo, e come tendo ad “eliminare” sulla parte musicale, lo faccio anche stando in quel modo sul palco. Magari senza rendermene conto.
Come nascono gli arrangiamenti dei pezzi dei TP, e le varianti che sovente notiamo? E' un lavoro individuale o procedete condividendo le scelte tutti assieme?
Molti brani dei TaranProject sono il risultato di una vicenda iniziata dieci anni fa con i “Folia” proseguita con i “TaranKhan”, ripresa dai “SonuDivinu” e passata attraverso i “KarakoloFool”. In questa vicenda lunga e molto articolata sono intervenuti parecchi musicisti, alcuni dei quali non sono più presenti nel gruppo, che avevano creato gli arrangiamenti di diversi pezzi. Altri arrangiamenti fanno parte di tutti questi passaggi, all’interno dei quali siamo presenti molti di noi.
Il prodotto che esprime a pieno il lavoro dell'attuale formazione è “Hjuri di hjumari”, in quanto arrangiato e registrato da noi. I brani hanno sempre come punto di partenza un provino costituito da voce e chitarra sul quale poi si decide assieme tutto il resto.
A quale canzone dei TP sei particolarmente legato e perché?
Non c’è un brano al quale mi sento più legato, ma ce n’è uno che rappresenta nel mio approccio musicale il passaggio tra i TaranProject di prima e quelli di adesso. “Parrami di lu suli” è la prima canzone di “Hjuri di Hjumari” sulla quale ho iniziato a lavorare, e contiene i germogli del nuovo sound, un po’ più ricercato, tanto da risultare quasi più da ascolto che da ballo. Ha rappresentato anche il pretesto per mettermi in discussione, visto che appena ho ascoltato il provino ho pensato di voler prendere in mano uno strumento che non conoscevo, la mandola.
Qual è il tuo sogno (musicale) nel cassetto?
Non so se è un sogno nel cassetto, ma mi è sempre piaciuto pensare di poter suonare il “Concerto di Aranjuez” di Joaquin Rodrigo.
Chi è l'intruso?
Secondo Indovinello di Carnevale:
guardate questa foto...
L'anno è il 2002, il locale è Rua Sao Joao da Cecè, a Lamezia Terme. Illuminato dall'ideale della Pace, c'è Mimmo Cavallaro, e dunque questi sono i TaranKhan. Infatti c'è Fabio Macagnino al tamburello, e c'è Stefano Simonetta al basso.
Ma dove sono i riccioli angelici e il sorriso leonardesco di Francesco Loccisano? Chi c'è alla chitarra, al suo posto?
Anche stavolta, il ragazzo serio dal taglio all'umberta ha un'aria familiare...
Immaginatelo con gli occhiali, un filo di barba incolta e i capelli un tantino più scarruffati. Notate l'accavallo di gamba, inconfondibile... Sì! Andrea Simonetta!
Una delle rare occasioni in cui si vedono i fratelli Simonetta suonare assieme.
Ma cosa ci fa Andrea su un palco coi TaranKhan nel 2002, quattro anni prima che nascano i SonuDivinu, i Gozzansamble eccetera?
Semplice, è stato chiamato a sostituire per una serata Francesco Loccisano, assente per altro impegno; e l'obiettivo fotografico ha immortalato questo evento unico, giusto per confondere le idee ai futuri biografi, cioè noi.
Nella seconda foto ecco che Andrea alza lo sguardo...
Eh, sì, è proprio lui!
guardate questa foto...
L'anno è il 2002, il locale è Rua Sao Joao da Cecè, a Lamezia Terme. Illuminato dall'ideale della Pace, c'è Mimmo Cavallaro, e dunque questi sono i TaranKhan. Infatti c'è Fabio Macagnino al tamburello, e c'è Stefano Simonetta al basso.
Ma dove sono i riccioli angelici e il sorriso leonardesco di Francesco Loccisano? Chi c'è alla chitarra, al suo posto?
Anche stavolta, il ragazzo serio dal taglio all'umberta ha un'aria familiare...
Immaginatelo con gli occhiali, un filo di barba incolta e i capelli un tantino più scarruffati. Notate l'accavallo di gamba, inconfondibile... Sì! Andrea Simonetta!
Una delle rare occasioni in cui si vedono i fratelli Simonetta suonare assieme.
Ma cosa ci fa Andrea su un palco coi TaranKhan nel 2002, quattro anni prima che nascano i SonuDivinu, i Gozzansamble eccetera?
Semplice, è stato chiamato a sostituire per una serata Francesco Loccisano, assente per altro impegno; e l'obiettivo fotografico ha immortalato questo evento unico, giusto per confondere le idee ai futuri biografi, cioè noi.
Nella seconda foto ecco che Andrea alza lo sguardo...
Eh, sì, è proprio lui!
Lo riconoscete?
Indovinello di Carnevale:
Chi è il giovin bassista bel tenebroso,
dal ciuffo corvino?
Non ha un'aria familiare?
Qualche indizio: l'anno è il 1989; il luogo è Caulonia; il gruppo si chiama Alfa Time...
Ma sì, è proprio lui!
Era il tempo in cui Mimmo non aveva mai suonato in pubblico la lira, né la chitarra battente.
Era il tempo in cui Mimmo non si era ancora mai avvicinato ad un microfono per cantare.
Era il tempo in cui Mimmo Cavallaro aveva i capelli!
Capelli che cominciarono a diradarsi già nel 1991, l'anno di quest'altra foto: aria svagata e seducente, e sempre il ferro del mestiere al fianco.
Come un Sansone all'incontrario, per Mimmo il graduale schiarirsi della fronte significò disporsi a ricevere la Forza, infusagli dagli Dei della Musica.
Il bell'anatroccolo si mutò in cigno, dispiegò la voce, e andò di piazza in piazza a conquistar le genti.
Nel 1995 era già il tempo di Folìa, il nido in cui si compì la prodigiosa metamorfosi, e iniziò la storia che conosciamo.
Incredibilmente, il web attesta che gli Alfa Time sono ancora oggi sulla breccia!
Sempre guidati dal cantante Ilario Murdocco, hanno una pagina su Facebook dove, accanto a testimonianze di esibizioni recenti, si possono vedere altre foto d'epoca; come quest'ultima del 1993, con Mimmo concentratissimo sui suoi riff al basso.
Nei commenti qui sotto Ilario Murdocco ci regala un vivace e appassionato ricordo degli albori degli Alfa Time...
Chi è il giovin bassista bel tenebroso,
dal ciuffo corvino?
Non ha un'aria familiare?
Qualche indizio: l'anno è il 1989; il luogo è Caulonia; il gruppo si chiama Alfa Time...
Ma sì, è proprio lui!
Era il tempo in cui Mimmo non aveva mai suonato in pubblico la lira, né la chitarra battente.
Era il tempo in cui Mimmo non si era ancora mai avvicinato ad un microfono per cantare.
Era il tempo in cui Mimmo Cavallaro aveva i capelli!
Capelli che cominciarono a diradarsi già nel 1991, l'anno di quest'altra foto: aria svagata e seducente, e sempre il ferro del mestiere al fianco.
Come un Sansone all'incontrario, per Mimmo il graduale schiarirsi della fronte significò disporsi a ricevere la Forza, infusagli dagli Dei della Musica.
Il bell'anatroccolo si mutò in cigno, dispiegò la voce, e andò di piazza in piazza a conquistar le genti.
Nel 1995 era già il tempo di Folìa, il nido in cui si compì la prodigiosa metamorfosi, e iniziò la storia che conosciamo.
Incredibilmente, il web attesta che gli Alfa Time sono ancora oggi sulla breccia!
Sempre guidati dal cantante Ilario Murdocco, hanno una pagina su Facebook dove, accanto a testimonianze di esibizioni recenti, si possono vedere altre foto d'epoca; come quest'ultima del 1993, con Mimmo concentratissimo sui suoi riff al basso.
Nei commenti qui sotto Ilario Murdocco ci regala un vivace e appassionato ricordo degli albori degli Alfa Time...
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