L'isola più bella del mondo è da sempre un riferimento imprescindibile nell'immaginario popolare calabrese, come testimoniano anche alcune canzoni dei TaranProject: vengono in mente l'Aquila di Palermu di Stilla Chjara, lu marinaru che va e viene di Missina in Massaru, il traghettu di Laroggiu d'amuri, e sicuramente ve ne sono altre...
Malgrado certe forme strenue di rivalità campanilistica, lo Stretto è possente anello di ideale congiunzione assai più che linea di fisica separazione tra le due terre; e delle somiglianze fra i dialetti abbiamo detto spesso.
Tuttavia i TP solo un paio di volte in sette anni hanno suonato in Sicilia. Sabato 24 ci ritorna Mimmo Cavallaro, approdando in quel di Mezzojuso, paese di etnia Arbereshe in provincia di Palermo.
All'Expo!
Code interminabili all'ingresso, e per visitare i padiglioni più richiesti: sono gli ultimi giorni.
Assai più saggio chi ha anticipato la visita, magari a inizio estate.
Più fortunato di tutti chi c'è andato l'1 luglio, perché quel giorno - la notizia ci era sfuggita, ma val la pena di recuperarla - allo spazio espositivo della Calabria c'era Mimmo Cavallaro: accompagnato da Andrea Simonetta e Gabriele Albanese, è stato protagonista di un incontro pomeridiano sulla musica tradizionale calabrese e di un concerto serale che - serve dirlo? - ha calamitato chiunque passasse nei pressi.
Altra partecipazione di prestigio il 3 ottobre scorso a Faenza, assieme al cantautore ciociaro Giuliano Gabriele, al Festival del MEI, Meeting degli Indipendenti.
Assai più saggio chi ha anticipato la visita, magari a inizio estate.
Più fortunato di tutti chi c'è andato l'1 luglio, perché quel giorno - la notizia ci era sfuggita, ma val la pena di recuperarla - allo spazio espositivo della Calabria c'era Mimmo Cavallaro: accompagnato da Andrea Simonetta e Gabriele Albanese, è stato protagonista di un incontro pomeridiano sulla musica tradizionale calabrese e di un concerto serale che - serve dirlo? - ha calamitato chiunque passasse nei pressi.
Altra partecipazione di prestigio il 3 ottobre scorso a Faenza, assieme al cantautore ciociaro Giuliano Gabriele, al Festival del MEI, Meeting degli Indipendenti.
Stilla lucenti
L'altra canzone nuova di quest'anno, accanto a Franeju, è in realtà il recupero di un brano che Mimmo eseguiva già ai tempi di TaranKhan, riproposta con restyling di arrangiamento e soluzioni armoniche.
Una canzone luciferina: in tutti i sensi, se anticamente Lucifero era il nome con cui si designava la stella del mattino, la più luminosa, cioè Venere; e se poi fu il nome biblico del primo degli angeli ribelli, Lucifero gettato negli inferi e divenuto Satana.
Così è questa Stilla Lucenti, donna dal fascino abbagliante, capace di oscurare il sole con la sua bellezza, e poi così crudele da strappare il cuore dal petto dell'amante, e così diabolica da recarlo in dono, in un bacile d'oro, al peggior nemico di lui.
Il testo è breve, icastico e tremendo nello sbalzo con cui ci precipita dalla luce intensa dell'innamoramento alla pece nera del macabro esito finale.
L'ultimo verso suona addirittura sardonico: Questo è il cuore di chi tanto amasti! - non è chiaro chi pronunci l'enigmatica sentenza: chi ha amato chi? E la musica, cadenzata e implacabile, suggella questo terribile groviglio di sentimenti estremi.
Un brano perfetto, dalla cui magia farsi rubare il cuore.
Il filmato è dal concerto di Melito del 27 agosto scorso.
Nei commenti la traduzione, con qualche dubbio interpretativo che attende lumi.
Stilla lucenti
Stilla lucenti tu mi cumparisti,
chi cu 'na raja lu suli ammucciasti,
cu n'atta nta stu pettu mi trasisti.
Lu cori chi ndavia mi lu cacciasti,
'nta nu vacili d'oru lu mentisti,
e allu nimicu meu nci lu portasti,
e sulu dui paroli nci dicisti.
Chistu è lu cori di cui tantu amasti.
Una canzone luciferina: in tutti i sensi, se anticamente Lucifero era il nome con cui si designava la stella del mattino, la più luminosa, cioè Venere; e se poi fu il nome biblico del primo degli angeli ribelli, Lucifero gettato negli inferi e divenuto Satana.
Così è questa Stilla Lucenti, donna dal fascino abbagliante, capace di oscurare il sole con la sua bellezza, e poi così crudele da strappare il cuore dal petto dell'amante, e così diabolica da recarlo in dono, in un bacile d'oro, al peggior nemico di lui.
Il testo è breve, icastico e tremendo nello sbalzo con cui ci precipita dalla luce intensa dell'innamoramento alla pece nera del macabro esito finale.
L'ultimo verso suona addirittura sardonico: Questo è il cuore di chi tanto amasti! - non è chiaro chi pronunci l'enigmatica sentenza: chi ha amato chi? E la musica, cadenzata e implacabile, suggella questo terribile groviglio di sentimenti estremi.
Un brano perfetto, dalla cui magia farsi rubare il cuore.
Il filmato è dal concerto di Melito del 27 agosto scorso.
Nei commenti la traduzione, con qualche dubbio interpretativo che attende lumi.
Stilla lucenti
Stilla lucenti tu mi cumparisti,
chi cu 'na raja lu suli ammucciasti,
cu n'atta nta stu pettu mi trasisti.
Lu cori chi ndavia mi lu cacciasti,
'nta nu vacili d'oru lu mentisti,
e allu nimicu meu nci lu portasti,
e sulu dui paroli nci dicisti.
Chistu è lu cori di cui tantu amasti.
La margherita
E' quella che dovranno sfogliare sabato sera i fans deI TaranProject nella Locride al momento di uscir di casa,
dilaniati dall'ambascia di dover scegliere tra il concerto di Mimmo a Caulonia e quello di Cosimo a Roccella.
La consolazione è che, quale che sia il petalo prescelto, non ci sarà rischio di pentirsi.
Anche se tutti vorremmo vederli sempre assieme, Mimmo e Cosimo!
dilaniati dall'ambascia di dover scegliere tra il concerto di Mimmo a Caulonia e quello di Cosimo a Roccella.
La consolazione è che, quale che sia il petalo prescelto, non ci sarà rischio di pentirsi.
Anche se tutti vorremmo vederli sempre assieme, Mimmo e Cosimo!
Moglie e buoi...
dei paesi tuoi:
uno dei più triti detti popolari, la prova che non sempre arcaico equivale a saggio (ché invece sono le mescolanze genetiche a far la fortuna delle razze, le bovine come l'umana); eppure un luogo comune duro a morire, e diffuso dappertutto: prova ne sia che qui da dove scrivo, in provincia di Vicenza, c'è una canzone dialettale che illustra doviziosamente i rischi che si corrono a sposare una “terrona”, salvo poi spiegare, alla fine, che l'appellativo si riferisce ad una fidanzata ...di Rovigo!
Già, perché non c'è limite a quanto può essere angusto l'orizzonte campanilistico, fino a farci guardare con sospetto chi arriva da appena qualche chilometro più in là.
Di questo tratta, scherzosamente, una delle due canzoni nuove in scaletta quest'anno, quella di Cosimo: su un'aria allegra e trascinante, nobilitata da un bell'assolo di lira, si snoda il classico tormentone materno rivolto al figliolo che vorrebbe prender moglie; ma si sa, a suocera nessuna nuora va a genio, e così la mamma iperpossessiva demolisce a priori ogni potenziale sposina, fa terra bruciata dell'intero circondario, deplorando questo insensato "Franeju 'i maritari", questa frenesia di volersi sposare.
Finché il figlio, spazientito, tronca la giaculatoria con un proposito, a suo modo, rivoluzionario: lui impalmerà una forestiera!
Carta geografica alla mano, è evidente che il dialogo si svolge in qualche contrada della Piana di Gioia Tauro, giacché l'anatema materno colpisce l'intera cerchia dei paesi; tra questi curiosamente uno ce n'è che sulla carta non si trova: è Radicena, comune che non esiste più da quasi un secolo, essendo confluito con altri a formare, nel 1928, Taurianova.
L'ultimo della lista è Mammola, che dagli altri cinque si discosta un po': così nel testo originario? O non sarà stata una furbata di Cosimo, che ha aggiunto a bella posta un riferimento al paese di Giovanna, per poterla tirar nell'archetto sull'ultimo verso?
Di seguito riporto il testo, e nei commenti la traduzione in italiano: per questa mi è stata di prezioso aiuto una giovane amica di Melito, Martina, artefice e conduttrice della vivace pagina dedicata ai TaranProject su Instagram, che invito senz'altro a visitare.
Ed ecco il brano dal vivo, lo scorso 27 agosto a Melito Porto Salvo.
Franeju 'i maritari
Mamma mia, giru la chjana,
pe' na zita paesana,
vinni l'ura 'e cumbenari,
nun me pozzo maritari.
Troppu duru esti lu lettu,
quandu l'omu resta schiettu.
Figghju meu, tu no' lu sai
ca so' picci e ca so' guai,
di 'sti tempi è bruttu affari
sent'a mmia lu maritari.
Si t'a pigghji di San Giorgi
'a prima notti ti nd'accorgi.
Si t'a pigghji 'i Radicina
ti cumanda e poi ti mina.
Si t'a pigghji polistinisa
ti manda sempri 'u fai la spisa.
Si t'a pigghji 'i Cittannova
è megghju prima 'u fai la prova.
Si t'a pigghji 'i Cinqufrundi
fa dui facci e ti cunfundi.
Si t'a pigghji mammulisa
arrachi corpi tutti i misa!
Figghju meu, dassalu stari
'stu franeju 'i maritari.
Mamma mia, sentendu a ttia
nuja nc'è chi fa pe' mmia,
me la pigghju forestera
e finisce 'a tiritera!
uno dei più triti detti popolari, la prova che non sempre arcaico equivale a saggio (ché invece sono le mescolanze genetiche a far la fortuna delle razze, le bovine come l'umana); eppure un luogo comune duro a morire, e diffuso dappertutto: prova ne sia che qui da dove scrivo, in provincia di Vicenza, c'è una canzone dialettale che illustra doviziosamente i rischi che si corrono a sposare una “terrona”, salvo poi spiegare, alla fine, che l'appellativo si riferisce ad una fidanzata ...di Rovigo!
Già, perché non c'è limite a quanto può essere angusto l'orizzonte campanilistico, fino a farci guardare con sospetto chi arriva da appena qualche chilometro più in là.
Di questo tratta, scherzosamente, una delle due canzoni nuove in scaletta quest'anno, quella di Cosimo: su un'aria allegra e trascinante, nobilitata da un bell'assolo di lira, si snoda il classico tormentone materno rivolto al figliolo che vorrebbe prender moglie; ma si sa, a suocera nessuna nuora va a genio, e così la mamma iperpossessiva demolisce a priori ogni potenziale sposina, fa terra bruciata dell'intero circondario, deplorando questo insensato "Franeju 'i maritari", questa frenesia di volersi sposare.
Finché il figlio, spazientito, tronca la giaculatoria con un proposito, a suo modo, rivoluzionario: lui impalmerà una forestiera!
Carta geografica alla mano, è evidente che il dialogo si svolge in qualche contrada della Piana di Gioia Tauro, giacché l'anatema materno colpisce l'intera cerchia dei paesi; tra questi curiosamente uno ce n'è che sulla carta non si trova: è Radicena, comune che non esiste più da quasi un secolo, essendo confluito con altri a formare, nel 1928, Taurianova.
L'ultimo della lista è Mammola, che dagli altri cinque si discosta un po': così nel testo originario? O non sarà stata una furbata di Cosimo, che ha aggiunto a bella posta un riferimento al paese di Giovanna, per poterla tirar nell'archetto sull'ultimo verso?
Di seguito riporto il testo, e nei commenti la traduzione in italiano: per questa mi è stata di prezioso aiuto una giovane amica di Melito, Martina, artefice e conduttrice della vivace pagina dedicata ai TaranProject su Instagram, che invito senz'altro a visitare.
Ed ecco il brano dal vivo, lo scorso 27 agosto a Melito Porto Salvo.
Franeju 'i maritari
Mamma mia, giru la chjana,
pe' na zita paesana,
vinni l'ura 'e cumbenari,
nun me pozzo maritari.
Troppu duru esti lu lettu,
quandu l'omu resta schiettu.
Figghju meu, tu no' lu sai
ca so' picci e ca so' guai,
di 'sti tempi è bruttu affari
sent'a mmia lu maritari.
Si t'a pigghji di San Giorgi
'a prima notti ti nd'accorgi.
Si t'a pigghji 'i Radicina
ti cumanda e poi ti mina.
Si t'a pigghji polistinisa
ti manda sempri 'u fai la spisa.
Si t'a pigghji 'i Cittannova
è megghju prima 'u fai la prova.
Si t'a pigghji 'i Cinqufrundi
fa dui facci e ti cunfundi.
Si t'a pigghji mammulisa
arrachi corpi tutti i misa!
Figghju meu, dassalu stari
'stu franeju 'i maritari.
Mamma mia, sentendu a ttia
nuja nc'è chi fa pe' mmia,
me la pigghju forestera
e finisce 'a tiritera!
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