Di mito in mito, dalle acque dei Bronzi a quelle dell'orrido mostro cantato da Omero...
Sonu di zampogna
...lu teni 'nta la testa.
E ce l'aveva in testa davvero da tanto tempo, Gabriele, l'idea di portare la zampogna sul palco dei TaranProject. Da tre anni almeno.
E' successo, in modo magicamente estemporaneo, a Pieve Emanuele: si trattava di decidere come iniziare il concerto, stante l'assenza dello hang e della fujara, strumenti un po' ingombranti e perciò rimasti a casa; niente introduzione con le suggestive sonorità esotiche cui siamo abituati, dunque, niente invocazione di Giovanna come preludio a Ciano.
A Pieve erano presenti alcuni valenti suonatori di musica tradizionale, primi tra tutti i conterranei di Alfredo, i favolosi Zampognari di Cardeto; e così per Gabriele non è stato difficile prendere a prestito una bella ciarameda. Con quella è zompato sulla scena e – vinti anche i capricci di un amplificatore che non la voleva smettere di ronzare e spernacchiare – ha intonato il mitico Sonu d'Aspromonte: un subitaneo incanto ipnotico ha avvolto una platea già caldissima, predisponendo gli animi ad un concerto memorabile.
Con i sette TP in gran forma, visibilmente lusingati dall'abbraccio di un pubblico diverso da quello usuale (eppure, anche a Milano, tutti conoscevano i versi delle canzoni a memoria! e tantissimi persino l'ordine di successione dei brani in scaletta...) e più che mai generosi di sé e della propria splendida arte.
E ce l'aveva in testa davvero da tanto tempo, Gabriele, l'idea di portare la zampogna sul palco dei TaranProject. Da tre anni almeno.
E' successo, in modo magicamente estemporaneo, a Pieve Emanuele: si trattava di decidere come iniziare il concerto, stante l'assenza dello hang e della fujara, strumenti un po' ingombranti e perciò rimasti a casa; niente introduzione con le suggestive sonorità esotiche cui siamo abituati, dunque, niente invocazione di Giovanna come preludio a Ciano.
A Pieve erano presenti alcuni valenti suonatori di musica tradizionale, primi tra tutti i conterranei di Alfredo, i favolosi Zampognari di Cardeto; e così per Gabriele non è stato difficile prendere a prestito una bella ciarameda. Con quella è zompato sulla scena e – vinti anche i capricci di un amplificatore che non la voleva smettere di ronzare e spernacchiare – ha intonato il mitico Sonu d'Aspromonte: un subitaneo incanto ipnotico ha avvolto una platea già caldissima, predisponendo gli animi ad un concerto memorabile.
Con i sette TP in gran forma, visibilmente lusingati dall'abbraccio di un pubblico diverso da quello usuale (eppure, anche a Milano, tutti conoscevano i versi delle canzoni a memoria! e tantissimi persino l'ordine di successione dei brani in scaletta...) e più che mai generosi di sé e della propria splendida arte.
Sabato 21 a Pieve Emanuele, Milano
L'estate sta finendo, cantavano i Righeira negli spensierati Anni Ottanta.
Ed anche il circuito di concerti Calariasona, nei quali i TaranProject sono stati la più incisiva e fulgida punta di diamante, approda alla sua tappa finale: dopo la fitta teoria di serate calabresi si chiude con un ardito slancio verso Nord, a Pieve Emanuele, periferia sud di Milano, dove già un anno fa i TP raccolsero grande successo.
Con un Cosimo in più nel motore, stavolta!
Ed anche il circuito di concerti Calariasona, nei quali i TaranProject sono stati la più incisiva e fulgida punta di diamante, approda alla sua tappa finale: dopo la fitta teoria di serate calabresi si chiude con un ardito slancio verso Nord, a Pieve Emanuele, periferia sud di Milano, dove già un anno fa i TP raccolsero grande successo.
Con un Cosimo in più nel motore, stavolta!
Petri 'ncastedati
Qui si narra di antiche vicende, che risalgono a cinque millenni or sono. Solo le pietre ormai ne conservano memoria.
Si racconta di un manipolo di naviganti stremati dal gran vagare per mare, fuggiti da un destino di combattimenti e violenze senza senso e senza fine, forse la guerra di Troia; vanno inseguendo un diverso ideale, di pace e prosperità; hanno ripudiato il loro paese di origine col suo cancro guerresco, sognano una terra dove gettare nuova e sana radice.
L'archeologo catanzarese Tolone, che per primo scoprì e raccolse le loro vestigia, li chiamò Pelasgi, popolo del mare. Ma forse si tratta dei Lestrigoni di cui anche Omero narrò, uomini giganti dalla forza smisurata.
Non portano con sé null'altro che le urne funerarie dei loro sovrani defunti, la più profonda traccia di un passato che si sono lasciati dietro le spalle, ma che è la loro storia e identità.
Sbarcano finalmente sulla costa ionica calabrese, nei pressi di Focà, alla foce della fiumara Allaro, vicino a Caulonia, e si volgono subito verso l'Aspromonte: via dalle coste infestate dai pirati, alla ricerca di una nuova patria.
Dev'esser costato uno sforzo immane, anche ai giganti, trascinare le grandi pietre dei loro monumenti funebri fin sopra l'altopiano di Ciano, nelle Serre.
Ma quando il condottiero, sedutu supr'a na petra, guarda lu mari di la muntagna, e la sua visione spazia tra le tonalità inesauribili di marroni di ocra di verdi di grigi, di azzurri e celesti, sente dentro di sé l'onnipotenza, ed è di nuovo Re.
Tutti gli enormi macigni sono stati portati lassopra, e incastellati, ricostruendo i monumenti; al calar delle tenebre l'insediamento è compiuto, e i Lestrigoni, ebbri di stanchezza, fieri e frementi, s'inventano una danza turbinante, nella quale ballano monti, pietre, madri, padri, figli, funghi, la notte, la luna, il sole, il re sul trono.
La prima tarantella calabrese, forse.
Il brano ci arriva, a sua volta, dalla protostoria dei TaranProject, dai tempi di Karakolo Fool. Viene riproposto nel nuovo cd Sonu, oltre a fungere da epica apertura del concerto 2013: la musica accompagna il racconto con un incipit dai toni lirici e uno svolgimento modellato sulla sinuosa onomatopea del serpente leopardino – sciamma gai sciamma gai – fino a sfociare nel finale dirompente e dionisiaco.
I megaliti incastellati dedicati ai Re del Mare si trovano nell'odierno territorio del comune di Nardodipace; tra i graffiti là rinvenuti, risalenti all'Età del Rame, nel simbolo della Luna è raffigurato un triangolo, che sembra puntare proprio in direzione di Ciano; l'antica popolazione osservava il culto del Dio serpente: il colubro leopardino è un rettile tipico della macchia mediterranea; la Collezione Tolone si trova presso il Museo di Girifalco, Catanzaro.
Ecco il testo, con traduzione in italiano nei commenti.
Ciano
Triangulu di Luna, triangulu di cima,
populu di mari 'nchjana lu Cianu.
Nu rre sedutu supr'a na petra
guarda lu mari, guarda lu mari,
guarda lu mari di la muntagna.
Genti chi 'nchjana carricata di guerra
'ntra li friscuri, 'ntra li friscuri,
'ntra li friscuri di Cianu.
Collezione Tolone, popolo del mare,
madri che portano i figghji da Focà allu munti.
Serpenti leopardini amici, amici di casa,
si rivigghjanu in primavera al profumo dei faggi.
Scia mmagai, scia mmagai, ti nda ven'e ti nda vai
Scia mmagai, scia mmagai, ti nda ven'e ti nda vai
Collezione Tolone, pirati di lu mari,
quanti misteri ancora sutt'a li petri.
Scia mmagai, scia mmagai, ti nda ven'e ti nda vai
Scia mmagai, scia mmagai, ti nda ven'e ti nda vai
Dalle alture, dalle alture si rimira lu mari.
Città del Sole, città di lu rame.
Scia mmagai, scia mmagai, ti nda ven'e ti nda vai
Scia mmagai, scia mmagai, ti nda ven'e ti nda vai
E poi a notte fonda, nel piano di Ciano,
Lestrigoni ballare!
Tarantella di lu suli, di la notti, di la luna, di lu rre 'ntronatu
- 'ncastedati - di li stidi, di li patri, di li funghi, di li figghji,
di li matri, di li patri, di li petri - 'ncastedati.
Abballati abballati, s'on viditi non criditi,
sunnu cos'e meravigghja chisti petri 'ncastedati!
Sabato 14 a Reggio Calabria
dove i TP ritornano per la quarta volta quest'anno.
Concerto sul lungomare più bello d'Italia, dove le palme secolari e i sontuosi Ficus Magnolioidi accoglieranno l'Omino dell'Albero dei TaranProject.
Concerto sul lungomare più bello d'Italia, dove le palme secolari e i sontuosi Ficus Magnolioidi accoglieranno l'Omino dell'Albero dei TaranProject.
Le divinità di Caulonia
Non si son registrati molti commenti - su facebook né altrove sul web - riguardo alla serata finale del Kaulonia... E sì che l'attesa, per l'incontro dei TP con Antonella Ruggiero, era grande. E la piazza gremita più che mai, sabato scorso.
Cosa pensare? Qualche aspettativa delusa? O forse l'evento, conficcato a fondo nel cuore della notte cauloniese, è stato così intenso da bruciare fino all'osso le energie di appassionati già esausti per la lunga attesa, lasciandoli appagati e senza parole?
Finalmente ci soccorrono le impressioni di La Catarinà, che quest'anno sta assumendo il ruolo di inviata speciale ai grandi eventi, e come sempre ha saputo cogliere riverberi e suggestioni che ci rivelano i colori e le rotondità delle emozioni. Perché una serata con i TaranProject non è mai soltanto un concerto.
31 agosto, minuscola falce di luna calante, ultima serata del Kaulonia Tarantella Festival.
Il concerto si apre con i travolgenti e poderosi Tamburi del Sud, ma la piazza ribolle nell’attesa di quello che accadrà dopo la mezzanotte.
Appare finalmente Giovanna nel suo prezioso abito verde muschio, con l’albero-simbolo dei TaranProject cesellato in argento sulle braccia: sembra sbucata per noi dalle umide frescure di un suo segreto “felicissimu boscu di alberi e frundi” - e invece ha lavorato sodo come presentatrice fino a pochi minuti fa. E non solo lei: tutti i sette appaiono in forma smagliante, pronti a fare faville. È il “miracolo del palco”, al quale ci siamo sempre più abituati man mano che l’estate avanzava: concerti lontanissimi uno dall’altro, ore e ore di viaggio tutti i santi giorni, qualcuno dei sette con gli occhi lucidi di febbre un minuto prima di entrare in scena, qualcun altro che piomba in un sonno invincibile un minuto dopo, eppure sul palco tutti perfetti, brillanti, affiatati e radiosi dall’inizio alla fine.
È così anche stasera, come sempre: la bellezza ormai familiare si rinnova, perfetta, acquistando sfumature nuove in ogni piazza.
La chiesa che fa da sfondo a piazza Mese regala ai giochi di luce uno spazio più compatto e disteso, facendone risaltare la grazia. Mi trovo a immaginare come sia crescere a Caulonia, dove le divinità sono così favorevoli. Questo, stasera percorso da occhi, bolle, tracce e frammenti luminosi, è un campanile molto diverso da quelli che, in altre parti del mondo, additano il cielo come un dito scarno dall’unghia appuntita. Questo sta sulla terra con noi; fa pensare piuttosto a una buona mamma sulla porta della cucina, a una brava fornaia sulla porta del panificio.
Anche i santi di Caulonia sono così: il sabato di Pasqua, democraticamente incolonnate – santi, Gesù, Madonna, senza inutili formalità gerarchiche – le statue percorrono a serpentina (a Caracolo…), senza saltarne una, ogni pietra della piazza gremita, guardandoci bene con gli occhioni aperti ben disegnati e ben dipinti, come premurosi padroni di casa o navigati maggiordomi in grado di cogliere con istinto sicuro ogni nostra necessità. Pronti a darci una mano come la Madonna a Cana: “figlio, hanno finito il vino: che dici, ci pensiamo noi?”.
Dev’essere bello crescere accompagnati da divinità così benevole. Magari è per questo che gli abitanti di Caulonia sanno fare belle anche le rivoluzioni: prendendo le armi quando era necessario, e oggi invece imbracciando la lira e la chitarra battente.
Fatto sta che ascoltare qui “Castrum Vetus” è un’altra cosa. “Rivoluzioni Rivoluzioni” non suona come un eroico tentativo del passato: sembra avvenire oggi, sembra finalmente possibile senza armi, nella generosa bellezza di una cultura che torna a vivere, nella ritrovata passione di stare tutti insieme e di affratellarci “sutt'a lu stessu cielu” con altri diseredati del mondo.
Tutti questi pensieri scorrono in sordina mentre si snoda la solita scaletta, più qualche felice ricomparsa, ma anche meno qualcosa: mancano all’appello pezzi-gigante come “Gira la testa mia”, “La virrinedda”, “Passa lu mari”… Tutti speriamo che siano stati tenuti in serbo per un prezioso carosello finale insieme alla grande Antonella Ruggiero: e così è.
Quando finalmente lei arriva - minuta, gentilissima, incantata dall’energia esplosiva della piazza traboccante – scopriamo che la sua voce, già fenomenale nelle celebri e storiche registrazioni con e poi senza Matia Bazar, dal vivo è, miracolosamente, ancora più ricca, colorita, duttile, davvero portentosa. Una delle pochissime, forse la sola voce italiana che può regalare qualcosa di unico a un gruppo che possiede già tre meravigliosi cantanti. La voce di Antonella trasvola sopra le strofe, gioca ad assottigliarsi e ad arricchirsi di timbri, piroetta, fa le capriole: una meraviglia.
E poi ancora, anche quest’anno, il finalone col botto. Antonella, i TaranProject e tutti i Tamburi del Sud in un tripudio di percussioni e voci che fa tremare la piazza. Caulonia festeggia e balla tutta intera fino all’ultimo filo di fiato. Rivoluzioni! Rivoluzioni! La facciamo così: nella gioia, nella creatività, nella costruzione di ponti culturali.
È praticamente l’alba quando ci congediamo da Caulonia e dalle sue premurose divinità.
Arrivederci all’agosto del 2014, per altre meraviglie!
Il video del gran finale di nottata:
Cosa pensare? Qualche aspettativa delusa? O forse l'evento, conficcato a fondo nel cuore della notte cauloniese, è stato così intenso da bruciare fino all'osso le energie di appassionati già esausti per la lunga attesa, lasciandoli appagati e senza parole?
Finalmente ci soccorrono le impressioni di La Catarinà, che quest'anno sta assumendo il ruolo di inviata speciale ai grandi eventi, e come sempre ha saputo cogliere riverberi e suggestioni che ci rivelano i colori e le rotondità delle emozioni. Perché una serata con i TaranProject non è mai soltanto un concerto.
31 agosto, minuscola falce di luna calante, ultima serata del Kaulonia Tarantella Festival.
Il concerto si apre con i travolgenti e poderosi Tamburi del Sud, ma la piazza ribolle nell’attesa di quello che accadrà dopo la mezzanotte.
Appare finalmente Giovanna nel suo prezioso abito verde muschio, con l’albero-simbolo dei TaranProject cesellato in argento sulle braccia: sembra sbucata per noi dalle umide frescure di un suo segreto “felicissimu boscu di alberi e frundi” - e invece ha lavorato sodo come presentatrice fino a pochi minuti fa. E non solo lei: tutti i sette appaiono in forma smagliante, pronti a fare faville. È il “miracolo del palco”, al quale ci siamo sempre più abituati man mano che l’estate avanzava: concerti lontanissimi uno dall’altro, ore e ore di viaggio tutti i santi giorni, qualcuno dei sette con gli occhi lucidi di febbre un minuto prima di entrare in scena, qualcun altro che piomba in un sonno invincibile un minuto dopo, eppure sul palco tutti perfetti, brillanti, affiatati e radiosi dall’inizio alla fine.
È così anche stasera, come sempre: la bellezza ormai familiare si rinnova, perfetta, acquistando sfumature nuove in ogni piazza.
La chiesa che fa da sfondo a piazza Mese regala ai giochi di luce uno spazio più compatto e disteso, facendone risaltare la grazia. Mi trovo a immaginare come sia crescere a Caulonia, dove le divinità sono così favorevoli. Questo, stasera percorso da occhi, bolle, tracce e frammenti luminosi, è un campanile molto diverso da quelli che, in altre parti del mondo, additano il cielo come un dito scarno dall’unghia appuntita. Questo sta sulla terra con noi; fa pensare piuttosto a una buona mamma sulla porta della cucina, a una brava fornaia sulla porta del panificio.
Anche i santi di Caulonia sono così: il sabato di Pasqua, democraticamente incolonnate – santi, Gesù, Madonna, senza inutili formalità gerarchiche – le statue percorrono a serpentina (a Caracolo…), senza saltarne una, ogni pietra della piazza gremita, guardandoci bene con gli occhioni aperti ben disegnati e ben dipinti, come premurosi padroni di casa o navigati maggiordomi in grado di cogliere con istinto sicuro ogni nostra necessità. Pronti a darci una mano come la Madonna a Cana: “figlio, hanno finito il vino: che dici, ci pensiamo noi?”.
Dev’essere bello crescere accompagnati da divinità così benevole. Magari è per questo che gli abitanti di Caulonia sanno fare belle anche le rivoluzioni: prendendo le armi quando era necessario, e oggi invece imbracciando la lira e la chitarra battente.
Fatto sta che ascoltare qui “Castrum Vetus” è un’altra cosa. “Rivoluzioni Rivoluzioni” non suona come un eroico tentativo del passato: sembra avvenire oggi, sembra finalmente possibile senza armi, nella generosa bellezza di una cultura che torna a vivere, nella ritrovata passione di stare tutti insieme e di affratellarci “sutt'a lu stessu cielu” con altri diseredati del mondo.
Tutti questi pensieri scorrono in sordina mentre si snoda la solita scaletta, più qualche felice ricomparsa, ma anche meno qualcosa: mancano all’appello pezzi-gigante come “Gira la testa mia”, “La virrinedda”, “Passa lu mari”… Tutti speriamo che siano stati tenuti in serbo per un prezioso carosello finale insieme alla grande Antonella Ruggiero: e così è.
Quando finalmente lei arriva - minuta, gentilissima, incantata dall’energia esplosiva della piazza traboccante – scopriamo che la sua voce, già fenomenale nelle celebri e storiche registrazioni con e poi senza Matia Bazar, dal vivo è, miracolosamente, ancora più ricca, colorita, duttile, davvero portentosa. Una delle pochissime, forse la sola voce italiana che può regalare qualcosa di unico a un gruppo che possiede già tre meravigliosi cantanti. La voce di Antonella trasvola sopra le strofe, gioca ad assottigliarsi e ad arricchirsi di timbri, piroetta, fa le capriole: una meraviglia.
E poi ancora, anche quest’anno, il finalone col botto. Antonella, i TaranProject e tutti i Tamburi del Sud in un tripudio di percussioni e voci che fa tremare la piazza. Caulonia festeggia e balla tutta intera fino all’ultimo filo di fiato. Rivoluzioni! Rivoluzioni! La facciamo così: nella gioia, nella creatività, nella costruzione di ponti culturali.
È praticamente l’alba quando ci congediamo da Caulonia e dalle sue premurose divinità.
Arrivederci all’agosto del 2014, per altre meraviglie!
Il video del gran finale di nottata:
Il ritorno della Lira
Lo sapete perché la Lira non andò in Paradiso? - è lo scherzo ricorrente di Cosimo durante i concerti: - Perché si scordau!
La delicatezza dell'accordatura è infatti tra le caratteristiche di questo arcaico strumento, al quale un posto nell'empireo della Musica spetta di sicuro, per quel suo suono celestiale.
Della lira esistono varie incarnazioni, disseminate in tutta l'area mediterranea, come ben dimostra questa cartina.
La lira calabrese, in particolare, è stata oggetto di miracolosa riscoperta negli ultimi vent'anni, letteralmente strappata all'oblio in cui era da tempo svanita; e proprio la zona di Siderno e Gioiosa è stata protagonista di questa sfolgorante rinascita.
C'è da stupirsi, allora, se per il Festival di Spilinga hanno pensato ai TaranProject e ad un maestro indiscusso come Cosimo Papandrea? Al suono inconfondibile e ammaliante della sua lira?
Stilla chjara forever!
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