Finalmente ritornano in concerto i TaranProject.
Apertura di stagione in grande stile,
nello scenario prestigioso del Teatro Cilea a Reggio Calabria.
Cosa aspettarsi? Qualche brano nuovo?
Comunque sia, meglio non perderseli!
“E' l'ora dell'amore”...
...cantavano i Camaleonti negli anni Sessanta, in un celeberrimo hit ripreso dai Procol Harum.
E' tornata la primavera, tornano i concerti dei TaranProject; e puntuali si odono i rintocchi del "Laroggiu d'amuri".
Tra le canzoni di Cosimo questa è senz'altro una delle più baldanzose e trascinanti, con quel ritornello invincibile che offre il petto al tempestar dei dardi di Cupido.
Nel testo ci sono alcune ambiguità, sulle quali da tempo ci stiamo interrogando: prima fra tutte il paragone un po' inquietante tra le “bellezze rare” dell'amata e le “amarezze singolari” dell'oleandro, arbusto dal verde splendente e dai fiori coloratissimi, ma velenosi; eppure sono proprio loro ad accendere il desiderio: è l'eterno dilemma tra passione dei sensi e avvedutezza dell'intelletto, tra attrazione erotica e affinità elettive. Tra ferro e lima.
La chiave del trattatello sul sentimento che qui si va dipanando sta probabilmente nella seconda strofa: non ci può essere vero amore se non c'è stima. Sarebbe come pretendere di traversar lo Stretto senza traghetto, come alzar muri senza calce.
Non lasciamoci quindi ingannare dal verso che dice di un combattimento tra lima e ferro, ché invece quel che qui si consuma è piuttosto l'incontro tra due materiali grezzi che, stridendo uno sull'altro, infine cantano assieme, trovano una nota comune, un'armonia che plasma le loro voci in un unisono sublime.
Lo splendido assolo di lira calabrese che segue è questo suono, onomatopeico quant'altro mai: l'archetto sulle corde, e sembra proprio di sentir vibrare l'acciaio della lima sul ferro surriscaldato, e scaturirne una melodia avvolgente e conquistatrice.
La conclusione parrebbe gettarci di nuovo in preda al dilemma, pronti a inebriarci nell'emozione del ballo che durerà per il tempo, eterno ed effimero, di una notte: non si tratta forse ancora di quell'innamoramento incosciente, fatuo, che si lascia incantare dalla seduzione del fiore d'oleandro?
No, non è così, e ce lo spiegano Giovanna e Gabriele, che a questo punto danzano come due angeli sul palco, in una perfetta allegoria: si è semplicemente compiuto il miracolo di un amore che sa essere intenso e sconvolgente, ma ha radici salde nell'equilibrio armonioso cui la lima d'azzaru forte ha lavorato con dedizione, smussando e lustrando, fino a farlo splendere nella sua piena totalità; stima e amore assieme, passione e consapevolezza, appagamento.
Ecco perché questa canzone fa così bene al cuore.
LAROGGIU D’AMURI
Vorria mu sacciu si si po’ passari
Senza traghettu di riggiu a messina
Vorria mu sacciu si si po’ mangiari
Frundi di cucuzza e gelatina
Vorria mu sacciu si si po’ murari
Senza la petra la carci e la rina
Vorria mu sacciu si si poti amari
Amari senza amuri e senza stima
Si laroggiu d’amuri e sempri batti
Supa lu pettu meu mini li botti
La lima cu lu ferru si cumbatti
Poti la lima ch'è d’azzaru forti
Virdi u leandru e belli havi li hjiuri
Però porta amarizzi singolari
Lu virdi è signu di spiranza e amuri
Li hjiuri su li toi bellizzi rari
Si laroggiu d’amuri e sempri batti
Supa lu pettu meu mini li botti
La lima cu lu ferru si cumbatti
Poti la lima ch'è d’azzaru forti
E balla finu a quandu non nesci u suli
Ca tutta a notti ti vogghju guardari
Si laroggiu d’amuri e sempri batti
Supa lu pettu meu mini li botti
La lima cu lu ferru si cumbatti
Poti la lima ch'è d’azzaru forti
(grazie a caronte2885, autore del video da youtube, e a Caterina e Giuseppina per aver condiviso le riflessioni sul testo; nei commenti c'è la traduzione in italiano)
E' tornata la primavera, tornano i concerti dei TaranProject; e puntuali si odono i rintocchi del "Laroggiu d'amuri".
Tra le canzoni di Cosimo questa è senz'altro una delle più baldanzose e trascinanti, con quel ritornello invincibile che offre il petto al tempestar dei dardi di Cupido.
Nel testo ci sono alcune ambiguità, sulle quali da tempo ci stiamo interrogando: prima fra tutte il paragone un po' inquietante tra le “bellezze rare” dell'amata e le “amarezze singolari” dell'oleandro, arbusto dal verde splendente e dai fiori coloratissimi, ma velenosi; eppure sono proprio loro ad accendere il desiderio: è l'eterno dilemma tra passione dei sensi e avvedutezza dell'intelletto, tra attrazione erotica e affinità elettive. Tra ferro e lima.
La chiave del trattatello sul sentimento che qui si va dipanando sta probabilmente nella seconda strofa: non ci può essere vero amore se non c'è stima. Sarebbe come pretendere di traversar lo Stretto senza traghetto, come alzar muri senza calce.
Non lasciamoci quindi ingannare dal verso che dice di un combattimento tra lima e ferro, ché invece quel che qui si consuma è piuttosto l'incontro tra due materiali grezzi che, stridendo uno sull'altro, infine cantano assieme, trovano una nota comune, un'armonia che plasma le loro voci in un unisono sublime.
Lo splendido assolo di lira calabrese che segue è questo suono, onomatopeico quant'altro mai: l'archetto sulle corde, e sembra proprio di sentir vibrare l'acciaio della lima sul ferro surriscaldato, e scaturirne una melodia avvolgente e conquistatrice.
La conclusione parrebbe gettarci di nuovo in preda al dilemma, pronti a inebriarci nell'emozione del ballo che durerà per il tempo, eterno ed effimero, di una notte: non si tratta forse ancora di quell'innamoramento incosciente, fatuo, che si lascia incantare dalla seduzione del fiore d'oleandro?
No, non è così, e ce lo spiegano Giovanna e Gabriele, che a questo punto danzano come due angeli sul palco, in una perfetta allegoria: si è semplicemente compiuto il miracolo di un amore che sa essere intenso e sconvolgente, ma ha radici salde nell'equilibrio armonioso cui la lima d'azzaru forte ha lavorato con dedizione, smussando e lustrando, fino a farlo splendere nella sua piena totalità; stima e amore assieme, passione e consapevolezza, appagamento.
Ecco perché questa canzone fa così bene al cuore.
LAROGGIU D’AMURI
Vorria mu sacciu si si po’ passari
Senza traghettu di riggiu a messina
Vorria mu sacciu si si po’ mangiari
Frundi di cucuzza e gelatina
Vorria mu sacciu si si po’ murari
Senza la petra la carci e la rina
Vorria mu sacciu si si poti amari
Amari senza amuri e senza stima
Si laroggiu d’amuri e sempri batti
Supa lu pettu meu mini li botti
La lima cu lu ferru si cumbatti
Poti la lima ch'è d’azzaru forti
Virdi u leandru e belli havi li hjiuri
Però porta amarizzi singolari
Lu virdi è signu di spiranza e amuri
Li hjiuri su li toi bellizzi rari
Si laroggiu d’amuri e sempri batti
Supa lu pettu meu mini li botti
La lima cu lu ferru si cumbatti
Poti la lima ch'è d’azzaru forti
E balla finu a quandu non nesci u suli
Ca tutta a notti ti vogghju guardari
Si laroggiu d’amuri e sempri batti
Supa lu pettu meu mini li botti
La lima cu lu ferru si cumbatti
Poti la lima ch'è d’azzaru forti
(grazie a caronte2885, autore del video da youtube, e a Caterina e Giuseppina per aver condiviso le riflessioni sul testo; nei commenti c'è la traduzione in italiano)
Blow Up scopre i TaranProject!
Che sorpresa! sfogliare, come ogni mese, le pagine di “Blow Up”, e veder fare capolino, a pagina 13, una immagine familiare, quella dei TaranProject sul litorale locrideo.
Blow Up, per chi non la conoscesse, è la più autorevole e competente tra le riviste che in Italia si occupano di rock e dintorni, con uno sguardo spregiudicato che spazia verso le espressioni musicali più innovative, con analisi critiche approfondite e dal taglio spesso originale.
Un tuffo al cuore, dicevamo, e subito si va alla scoperta di un articolo inatteso, che sta all'interno della rubrica “Caravan”, dedicata alle musiche etniche di tutta l'area mediterranea. I TaranProject ne sono i protagonisti - accanto ad un altro gruppo italiano, i Cantodiscanto - e vengono proposti come gli alfieri che mancavano per condurre anche il grande pubblico alla scoperta una tradizione musicale, quella di Calabria, ancora tutta da valorizzare.
Inevitabili, ma comunque appropriati, i riferimenti al contesto culturale e sociale entro cui il fenomeno TaranProject si è affermato, e a quanto loro siano capaci di incidere, riqualificandoli, sui modi di aggregazione e di identificazione delle persone nelle piazze calabresi; quasi obbligato, sul piano musicale, il paragone con i TarantaPower di Eugenio Bennato, e qui l'autore dell'articolo, Dario De Marco, prende nettamente posizione: “non si offenda Bennato, ma per me TaranProject è addirittura più solido e compatto”.
Più avanti, nella descrizione del cd: “sono musiche solo apparentemente semplici, sono pezzi invece continuamente cangianti, con cambi di tempo e ritmo e armonia, e idee melodiche una dopo l'altra”; e ancora: “si aggiunga il magico suono di strumenti come la lira, la battente, la pipita, e le voci dei due leader, quelle sì ancestrali: controtempi come dio comanda, e slittamenti dell'intonazione che sono di per sé un trip”.
Fino a concludere così: “Bello, e bello ancora dopo più ascolti.”
Noi sottoscriviamo tutto, naturalmente!
Blow Up, per chi non la conoscesse, è la più autorevole e competente tra le riviste che in Italia si occupano di rock e dintorni, con uno sguardo spregiudicato che spazia verso le espressioni musicali più innovative, con analisi critiche approfondite e dal taglio spesso originale.
Un tuffo al cuore, dicevamo, e subito si va alla scoperta di un articolo inatteso, che sta all'interno della rubrica “Caravan”, dedicata alle musiche etniche di tutta l'area mediterranea. I TaranProject ne sono i protagonisti - accanto ad un altro gruppo italiano, i Cantodiscanto - e vengono proposti come gli alfieri che mancavano per condurre anche il grande pubblico alla scoperta una tradizione musicale, quella di Calabria, ancora tutta da valorizzare.
Inevitabili, ma comunque appropriati, i riferimenti al contesto culturale e sociale entro cui il fenomeno TaranProject si è affermato, e a quanto loro siano capaci di incidere, riqualificandoli, sui modi di aggregazione e di identificazione delle persone nelle piazze calabresi; quasi obbligato, sul piano musicale, il paragone con i TarantaPower di Eugenio Bennato, e qui l'autore dell'articolo, Dario De Marco, prende nettamente posizione: “non si offenda Bennato, ma per me TaranProject è addirittura più solido e compatto”.
Più avanti, nella descrizione del cd: “sono musiche solo apparentemente semplici, sono pezzi invece continuamente cangianti, con cambi di tempo e ritmo e armonia, e idee melodiche una dopo l'altra”; e ancora: “si aggiunga il magico suono di strumenti come la lira, la battente, la pipita, e le voci dei due leader, quelle sì ancestrali: controtempi come dio comanda, e slittamenti dell'intonazione che sono di per sé un trip”.
Fino a concludere così: “Bello, e bello ancora dopo più ascolti.”
Noi sottoscriviamo tutto, naturalmente!
Alla festa di San Rocco
Quando brillano i primi accordi con cui inizia Santu Roccu un fremito percorre la piazza: tutti sanno che arriva il momento della celebrazione di un gioioso rituale, che culminerà nella processione dei musicisti tra il pubblico, in un'estasi di percussioni. Il momento per tributar loro il più caloroso degli abbracci, e per sentirli davvero in mezzo a noi.
L'ultima domenica di agosto, a Gioiosa Ionica, ricorre la tradizionale festa del patrono, San Rocco, famosa per le musiche e le danze popolari che la caratterizzano, retaggio di antiche tradizioni rurali, forse pagane.
La processione scende per le vie strette e roventi del suggestivo borgo vecchio, dove sull'angusto impianto medievale si innestano i fastosi orpelli barocchi dei bei palazzi signorili.
La gente affolla fin dal mattino stradine e piazzette, sfidando il caldo torrido e un sole che impietosamente sale a picco; nell'attesa si formano qua e là improvvise rote di tamburinari, alcune organizzate, altre spontanee, come gorghi nel magma, come fuochi d'autocombustione; si levano vortici di tarantelle; il fracasso è assordante, furioso, come se le task force del ritmo volessero percuotere la terra, farla tremare con la stessa violenza con cui essa tante volte ha scosso queste regioni, esorcizzarne la paura mostrandosi capaci di altrettanto terribile frastuono.
Un misto di straniamento e possessione accompagna il ritmo rimbombante che pervade ogni cosa.
Poi appare caracollando la statua del Santo, portata a spalla dai fedeli, e nel suo incedere solenne raduna le persone davanti a sé, sospingendole verso il centro della città: una singolare processione a rovescio, con la folla davanti e la statua a chiudere, fino a sfociare nelle piazze e strade ampie della città nuova; da lì si prosegue per tutto il giorno, tra suoni e balli stordenti, in un parossismo ipnotico che mescola spiritualità, devozione e impeto dionisiaco.
Il racconto più vivido di cosa tutto ciò significhi per i gioiosani l'abbiamo sentito da Francesco Loccisano, che ricorda come, da bambino, rientrasse a casa la sera stravolto e felice, con le mani e le spalle sanguinanti per il troppo aver pestato sul suo tamburo.
Il testo del brano - scritto da Mimmo Cavallaro a partire dai versi offertigli da un'appassionata, Daniela Rullo - ha la dimensione cinematografica di molti dei brani di Mimmo: la struggente ultima sera d'amore, in primo piano, si staglia su una visione corale della festa, con i cento tamburi, i bambini che ballano, le invocazioni popolari al santo; l'esaltazione della danza collettiva si intreccia allo sgomento dell'imminente separazione, e si riassume in una esortazione assoluta, forse impossibile, “Fujitilla cu'mmia!”.
No, l'ultima festa chiuderà l'estate, e anche la finestra dei desideri.
Ma c'è ancora un momento di eternità: far l'amore sotto il cielo corvino e scintillante di fine agosto.
Il potere di coinvolgimento del Santu Roccu dei TaranProject non conosce confini territoriali, e lo dimostra questo filmato: anche a Zurigo, mille e cinquecento chilometri più a nord, si balla, si suda e ci si emoziona come a Gioiosa.
(video di nico66ch)
SANTU ROCCU
Nesciu na stida ‘nto cielu stasira
Esti la stessa di mill’anni fa.
Luccica luccica a luna ‘nto mari
Luccica u cielu 'i tutti li spari.
E' l’urtima sira, affacciata ‘o barcuni
Ti cantu e ti sono e ti vogghjiu cu mmia.
E' l’urtima sira chi ti pozzu guardari,
Chjiù bella d’u suli e non ti pozzu toccari,
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
E cantamu e cantamu a Santu Roccu chi passa,
E pregamu lu signuri mu ‘ndi faci la grazia.
Mu ‘ndi libera sta terra, mu ‘ndi lapri li vrazza,
Mu sana lu mali, ne mu caccia velenu,
Mu ‘ndi manda la paci, mu ‘ndi duna lavuru,
Mu ‘ndi linchi lu cori chinu d’amuri,
Mu ‘ndi batti lu cori chinu d’amuri.
E pistanu pistanu li sonaturi,
E abbattinu li mani a li criaturi
Chi abbasanu lu santu di chist’urtima festa,
Finiu l’estati e finiu la festa.
C’abbasanu lu santu di chist’urtima festa,
Finiu l’estati e finiu la festa.
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
E cantamu e cantamu a Santu Roccu chi passa,
E pregamu lu signuri mu ‘ndi faci la grazia.
Mu ‘ndi libera sta terra, mu ‘ndi lapri li vrazza,
Mu sana lu mali, ne mu caccia velenu,
Mu ‘ndi manda la paci, mu ‘ndi duna lavuru,
Mu ‘ndi linchi lu cori chinu d’amuri,
Mu ‘ndi batti lu cori chinu d’amuri.
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza
E sutt'a su cielu facimu l’amuri.
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza
E sutt'a su cielu facimu l’amuri.
(La traduzuione è nei commenti)
L'ultima domenica di agosto, a Gioiosa Ionica, ricorre la tradizionale festa del patrono, San Rocco, famosa per le musiche e le danze popolari che la caratterizzano, retaggio di antiche tradizioni rurali, forse pagane.
La processione scende per le vie strette e roventi del suggestivo borgo vecchio, dove sull'angusto impianto medievale si innestano i fastosi orpelli barocchi dei bei palazzi signorili.
La gente affolla fin dal mattino stradine e piazzette, sfidando il caldo torrido e un sole che impietosamente sale a picco; nell'attesa si formano qua e là improvvise rote di tamburinari, alcune organizzate, altre spontanee, come gorghi nel magma, come fuochi d'autocombustione; si levano vortici di tarantelle; il fracasso è assordante, furioso, come se le task force del ritmo volessero percuotere la terra, farla tremare con la stessa violenza con cui essa tante volte ha scosso queste regioni, esorcizzarne la paura mostrandosi capaci di altrettanto terribile frastuono.
Un misto di straniamento e possessione accompagna il ritmo rimbombante che pervade ogni cosa.
Poi appare caracollando la statua del Santo, portata a spalla dai fedeli, e nel suo incedere solenne raduna le persone davanti a sé, sospingendole verso il centro della città: una singolare processione a rovescio, con la folla davanti e la statua a chiudere, fino a sfociare nelle piazze e strade ampie della città nuova; da lì si prosegue per tutto il giorno, tra suoni e balli stordenti, in un parossismo ipnotico che mescola spiritualità, devozione e impeto dionisiaco.
Il racconto più vivido di cosa tutto ciò significhi per i gioiosani l'abbiamo sentito da Francesco Loccisano, che ricorda come, da bambino, rientrasse a casa la sera stravolto e felice, con le mani e le spalle sanguinanti per il troppo aver pestato sul suo tamburo.
Il testo del brano - scritto da Mimmo Cavallaro a partire dai versi offertigli da un'appassionata, Daniela Rullo - ha la dimensione cinematografica di molti dei brani di Mimmo: la struggente ultima sera d'amore, in primo piano, si staglia su una visione corale della festa, con i cento tamburi, i bambini che ballano, le invocazioni popolari al santo; l'esaltazione della danza collettiva si intreccia allo sgomento dell'imminente separazione, e si riassume in una esortazione assoluta, forse impossibile, “Fujitilla cu'mmia!”.
No, l'ultima festa chiuderà l'estate, e anche la finestra dei desideri.
Ma c'è ancora un momento di eternità: far l'amore sotto il cielo corvino e scintillante di fine agosto.
Il potere di coinvolgimento del Santu Roccu dei TaranProject non conosce confini territoriali, e lo dimostra questo filmato: anche a Zurigo, mille e cinquecento chilometri più a nord, si balla, si suda e ci si emoziona come a Gioiosa.
(video di nico66ch)
SANTU ROCCU
Nesciu na stida ‘nto cielu stasira
Esti la stessa di mill’anni fa.
Luccica luccica a luna ‘nto mari
Luccica u cielu 'i tutti li spari.
E' l’urtima sira, affacciata ‘o barcuni
Ti cantu e ti sono e ti vogghjiu cu mmia.
E' l’urtima sira chi ti pozzu guardari,
Chjiù bella d’u suli e non ti pozzu toccari,
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
E cantamu e cantamu a Santu Roccu chi passa,
E pregamu lu signuri mu ‘ndi faci la grazia.
Mu ‘ndi libera sta terra, mu ‘ndi lapri li vrazza,
Mu sana lu mali, ne mu caccia velenu,
Mu ‘ndi manda la paci, mu ‘ndi duna lavuru,
Mu ‘ndi linchi lu cori chinu d’amuri,
Mu ‘ndi batti lu cori chinu d’amuri.
E pistanu pistanu li sonaturi,
E abbattinu li mani a li criaturi
Chi abbasanu lu santu di chist’urtima festa,
Finiu l’estati e finiu la festa.
C’abbasanu lu santu di chist’urtima festa,
Finiu l’estati e finiu la festa.
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Ma si mi voi fujitilla cu mia!
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
E cantamu e cantamu a Santu Roccu chi passa,
E pregamu lu signuri mu ‘ndi faci la grazia.
Mu ‘ndi libera sta terra, mu ‘ndi lapri li vrazza,
Mu sana lu mali, ne mu caccia velenu,
Mu ‘ndi manda la paci, mu ‘ndi duna lavuru,
Mu ‘ndi linchi lu cori chinu d’amuri,
Mu ‘ndi batti lu cori chinu d’amuri.
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza
E sutt'a su cielu facimu l’amuri.
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza,
E sonamu e sonamu sti centu tamburi,
Abballamu abballamu scarzi ‘nta sa chjiazza
E sutt'a su cielu facimu l’amuri.
(La traduzuione è nei commenti)
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