In tanti mi hanno chiesto, recentemente, di pubblicare il testo di questo brano, che apre il concerto 2011. Esitavo, arrovellandomi ancora in qualche incertezza nella decifrazione e nell'interpretazione di alcuni versi.
Senonché, nel giro di ventiquattr'ore, è dapprima apparsa - nei commenti ad un post precedente - la trascrizione di Giuseppe Cricrì, e poi - su Facebook - un'altra della solita preziosa Giuseppina. Un caso, dite? E allora come la mettiamo col fatto che a trascrivere Peppinella siano stati un Peppe e una Peppina?
Ringrazio tutti e due, per il generoso contributo e per avermi permesso di chiarire definitivamente i miei dubbi.
Sulla canzone non c'è molto da aggiungere, se non che è da anni nel repertorio di Mimmo - fin dal tempo dei TaranKhan - è che è un ideale starter per il concerto, con la sua cadenza coinvolgente e festaiola.
La protagonista - dice bene Giuseppe nel suo commento - è una Bocca di Rosa cauloniese. E dico cauloniese in quanto le località citate nel testo identificano un territorio molto circoscritto, che sembra avere come centro proprio il paese di Caulonia.
Sarà esistita davvero, questa ragazza capace di dispensare amore e gioia al mondo, di rapire il cuore del giovane che, pur nel rimproverarla per i suoi troppo facili costumi, la implora: comu ti pozzu amà?
E' come se il desiderio cercasse un modo per aggirare i moralismi, rendere possibile questo amore, apparentemente sconveniente, eppure irresistibile nella sua vitale spontaneità. Il ritornello è ardente e spensierato, anche la musica sembra dire: al diavolo i se e i ma, Peppinella, ti voglio amare!
E così, la festa del concerto abbia inizio...
Peppinella
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ti nde jsti vinedi vinedi e t’abbasasti ch'i carbineri,
ti nde jsti di ccà e di jà e ti facisti chiamari mammà.
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ti nde jsti a Pampiniti e ti parìa ca ti mariti,
ti nde jsti a la Zija e ti parìa ca ndavi a mia.
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ti nde jsti a Catanzaru e ti mentisti la vesta ‘nsanu,
ti nde jsti a la Marina e ti chiamaru signurina;
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ti nde jsti a la Rucceja e ti chiamaru bedareda,
ti nde jsti a la Giajusa e ti chiamaru carinusa.
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Trapinarella e trapinatura,
fici 'na cofana 'e crjatura.
Trapinarella e trapinatura
fici 'na cofana 'e crjatura.
Sutt'o ponti d’a ferrovia
cu ‘nchjanava e cu scindja...
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
Ohi Peppinella, e comu ti pozzu amà?
(Traduzione e note nei commenti)
Partìu lu TaranProject...
...e jiu alla fera!
Il più delle volte è proprio così, giacché buona parte dei concerti del gruppo di Mimmo e Cosimo si tiene in occasione di feste di paese, con ricco contorno di bancarelle e chioschi: e chissà quanti gobbetti, e vecchierelli, e pelirossi!
Sarà per questo che lo Jimbusedu non può mai mancare:
un brano popolarissimo e amato dal pubblico, che da tre anni sta nel bis finale, e da lì non si schioda;
ora è intarsiato nella “Tarantella guappa” di cui abbiamo appena discusso, e al cui filmato vi rimando, poiché nel bel mezzo c'è appunto “U jimbusedu”.
Anche per questa canzone il testo è a canovaccio variabile, con strofe non necessariamente collegate fra loro, se non dalla meta che accomuna i vari personaggi diretti alla fiera.
In testa al gruppo rimane l'indimenticabile gobbetto, che va a comprarsi una chitarra nuova con cui saprà incantare gli astanti, facendo felice e orgogliosa la moglie.
Il finale delinea una morale: per brama della “ficarella milingiana”, che ci ingolosisce al chiaro di luna, si finisce col rimetterci non solo pomi e peri, di cui in fondo poco ci cale, ma pure il ramo più bello dell'albero!
La versione dello scorso anno la si può trovare in quest'altro post, con una strofa in più cantata da Cosimo; nei commenti, Giuseppina riportò il testo. Lo ripropongo qui, per maggior facilità di consultazione.
La traduzione in italiano è nei commenti qui sotto.
U jimbusedu
Partiu lu jimbusedu e jiu alla fera
pe'mu s'accatta na chitarra nova,
e la mugghjeri tutta preju preju:
guardate u jimbu meu comu la sona.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Partiu lu vecchiaredu e jiu alla fera
pe'mu s'accatta padeja e pignata,
nu carru di patati chinu chinu
pe'mu c'abbasta pe' tutta l'annata.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Partiu lu pilirussi e jiu alla fera,
pe'mu si vindi pipi e pumadora,
ma la vilanza non volìa 'nchianari
e a pilirussi lu facia 'ncazzari.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Gianmariana mia, Gianmariana
to maritu non c'è chi jiu a la fera
pe'mu t'accatta 'na pisa di lana,
mu ti la fili a lustru di lumera.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Arzira cu lu lustru di la luna
vitti na ficareda milingiana,
lu cori mi dicia pigghiati una,
e l'attru mi dicia lu 'nchiana 'nchiana.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
A la 'nchianata la fici sicura,
a la scinduta si schiancau la rama,
non ciangiu no li pira e no li puma,
ciangiu ca si schiancau la megghju rama.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Il più delle volte è proprio così, giacché buona parte dei concerti del gruppo di Mimmo e Cosimo si tiene in occasione di feste di paese, con ricco contorno di bancarelle e chioschi: e chissà quanti gobbetti, e vecchierelli, e pelirossi!
Sarà per questo che lo Jimbusedu non può mai mancare:
un brano popolarissimo e amato dal pubblico, che da tre anni sta nel bis finale, e da lì non si schioda;
ora è intarsiato nella “Tarantella guappa” di cui abbiamo appena discusso, e al cui filmato vi rimando, poiché nel bel mezzo c'è appunto “U jimbusedu”.
Anche per questa canzone il testo è a canovaccio variabile, con strofe non necessariamente collegate fra loro, se non dalla meta che accomuna i vari personaggi diretti alla fiera.
In testa al gruppo rimane l'indimenticabile gobbetto, che va a comprarsi una chitarra nuova con cui saprà incantare gli astanti, facendo felice e orgogliosa la moglie.
Il finale delinea una morale: per brama della “ficarella milingiana”, che ci ingolosisce al chiaro di luna, si finisce col rimetterci non solo pomi e peri, di cui in fondo poco ci cale, ma pure il ramo più bello dell'albero!
La versione dello scorso anno la si può trovare in quest'altro post, con una strofa in più cantata da Cosimo; nei commenti, Giuseppina riportò il testo. Lo ripropongo qui, per maggior facilità di consultazione.
La traduzione in italiano è nei commenti qui sotto.
U jimbusedu
Partiu lu jimbusedu e jiu alla fera
pe'mu s'accatta na chitarra nova,
e la mugghjeri tutta preju preju:
guardate u jimbu meu comu la sona.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Partiu lu vecchiaredu e jiu alla fera
pe'mu s'accatta padeja e pignata,
nu carru di patati chinu chinu
pe'mu c'abbasta pe' tutta l'annata.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Partiu lu pilirussi e jiu alla fera,
pe'mu si vindi pipi e pumadora,
ma la vilanza non volìa 'nchianari
e a pilirussi lu facia 'ncazzari.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Gianmariana mia, Gianmariana
to maritu non c'è chi jiu a la fera
pe'mu t'accatta 'na pisa di lana,
mu ti la fili a lustru di lumera.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Arzira cu lu lustru di la luna
vitti na ficareda milingiana,
lu cori mi dicia pigghiati una,
e l'attru mi dicia lu 'nchiana 'nchiana.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
A la 'nchianata la fici sicura,
a la scinduta si schiancau la rama,
non ciangiu no li pira e no li puma,
ciangiu ca si schiancau la megghju rama.
E tiritinghi-tichititì, tiritinghi-tichitità,
ritinghi-tichititì e ritinghi-tichitità.
Tarantella Guappa!
L'apoteosi del concerto 2011 scocca quando, ad apertura del sontuoso finale in cui s'intrecciano vari temi popolari, Mimmo lancia la sua invocazione: “Comu ballanu belli...”, a beneficio di tutti noi “figghjoli”, che gremiamo la piazza; e intercede per noi: “che la Madonna li pozz'aiutari!”, rivolgendosi pure a Sant'Antoni, oppure – secondo le località e le ricorrenze – a Santu Roccu, o San Nicola, o altri numi ancora.
E' un momento di grande emozione e comunanza, sottolineato da un ritmo vivace e beatificante, che raduna tutto il pubblico sotto un manto di spiritualità allegra, che presto si tramuterà nello scatenato ballo conclusivo.
Ma la festosa giaculatoria nasconde un'anima tutt'altro che pia!
Di questa canzone è nota la versione dell'ottimo Daniele Sepe; forse non tutti sanno che, prima ancora, la eseguiva un tal Fred Scotti, protagonista di una vicenda artistica ed umana decisamente insolita.
Il suo nome era Francesco Scarpelli, era originario del cosentino, e cantava le cosiddette “canzoni di malavita”, col nome d'arte, appunto, di Fred Scotti. Alcune sue registrazioni appaiono in quella serie di controversi cd dedicati alla “Musica della 'ndrangheta”, che ebbero un incredibile successo, anche all'estero, qualche anno fa: un fenomeno davvero singolare, dagli inquietanti risvolti sociali, come documentato approfonditamente da Ettore Castagna nel suo interessantissimo libro “Sangue e onore in digitale”.
Questo brano, col titolo di “Tarantella Guappa”, è sul primo di quei cd: dunque non propriamente di una preghiera si tratta, quanto piuttosto di un canovaccio di velate minacce e ambigui sottintesi, suggeriti qua e là nel testo.
La carriera di Fred Scotti, cantante tutt'altro che disprezzabile, ebbe un epilogo fatale e beffardo: fu assassinato per strada, nel 1971, scontando la colpa di essersi invaghito della moglie di un Guappo, un piccolo boss di paese, contravvenendo così alle regole ferree dell'onorata società che le sue canzoni celebravano.
Ma ecco qui la sua versione:
Ed eccone un'altra, in anni più recenti, dell'Arlesiana Chorus:
Un filmato (da vedere su youtube) davvero notevole, non solo per la qualità artistica di questo ensemble che mescola classico e popolare in modo originalissimo, ma per la presenza di volti a noi familiari; da sinistra si riconoscono: Carlo Frascà, leader del gruppo nonché maestro e padre nobile di tutti i musicisti della Locride; Daniela Bonvento, che fu dei TaranKhan, alla lira calabrese; Francesco Loccisano alla chitarra, col capello insolitamente acconciato; Manuela Cricelli, splendida voce dei Karakolo Fool; Raffaele Pizzonia, attuale batterista negli Scialaruga di Fabio Macagnino.
Un'autentica All Star Band!
E' la volta del gran finale del concerto dei TaranProject, con Mimmo e Cosimo che si alternano alla voce, con la Tarantella Guappa che diventa Jimbusedu, e poi Tarantella Brada, fino all'immancabile “Narannannèru...” che tutti cantano in coro.
Non proprio un'angolatura di ripresa professionale, in questo video (di Cefipe, a Cittanova), e tuttavia uno spaccato ben rappresentativo dei cuori tarantati di tutte le età che ogni sera danzano in felice consonanza.
E' appena il caso di precisare che i TaranProject nulla hanno da spartire con l'oscuro contesto socioculturale in cui questa canzone nacque, trattandosi qui della semplice ripresa giocosa di un brano divenuto da tempo patrimonio popolare.
Il testo di Tarantella Guappa consta di varie strofe, intercambiabili secondo il gusto occasionale dell'interprete.
Qui di seguito ne riporto una buona parte: con l'avvertenza che il calabrese non è la mia lingua, e dunque ci saranno sicuramente errori ed omissioni, mentre di qualche espressione gergale mi sfugge il senso; siano naturalmente benvenute le opportune correzioni!
Un tentativo di traduzione in italiano è nei commenti.
Tarantella guappa
Comu ballanu belli ssi figghjoli!
Chi la Madonna li, chi la Madonna là,
chi la Madonna li pozz'aiutari!
Minatevi ssi corpi chianu chianu,
'ca sugnu distinati a ben muriri,
'ca sugnu distinati, bella, a ben muriri.
Si lu curteddu miu s'avìa lu tagghju,
carogna io ti sfreggiu e t'anzaccagnu,
carogna io ti sfreggiu e t'anzaccagnu.
E pe' piscà stu cefalu
ci misi 'na simana,
ca lu piscai di sulu
e stu cefalu capitù,
ca lu piscai di sira
e stu cefalu chi mi tira.
Tiritinguli e tiritunguli,
cucuzze e cucuzzuni,
lu spassu di li fimmini
su' l'omini 'ncudinuli!
Comu ballanu belli ssi figghjoli!
Chi Sant'Antoni li, chi Sant'Antoni là,
chi Sant'Antoni li pozz'aiutari!
Scinni Maredda mia, cunza lu lettu,
avìa li carni sua com'a lu lattu,
avìa li carni sua, bella, com'a lu lattu.
Abballati, abballati,
fimmini schjetti e maritati,
e si nun ballati bonu
nun vi cantu e nun vi sonu,
e si nun ballati pulitu
nci lu dico a lu vostru zitu.
Sciù sciù sciù,
quanti fimmini ca ci su'!
Sciù sciù sciù,
quanti fimmini ca ci su'!
Vorrìa mu moru, vorrìa mu moru,
cu' zuccaro e cafè mu m'imbalenu,
cu' zuccaro e cafè, bella, mu m'imbalenu.
E lu previti 'i Roccaforti
s'a fujiu c'a parmisana,
malanova ca jivanu forti
comu lu ventu di tramuntana,
malanova ca jivanu forti
comu lu ventu di tramuntana.
E lu punti di Petraci
fu la ruvina mia,
manijandu petra e caci
si nda jiu la vita mia,
manijandu petra e caci
si nda jiu la vita mia.
Faciti rota, faciti rota,
stamu morendu di la purvarata,
stamu morendu, bella, di la purvarata!
Vurria mu mi maritu a 'Ntonimina,
mu mi la levu 'n'antoniminara,
e nun m'importa no ch'è piccirina
basta che 'ndavi la dota di lana.
Segue "U Jimbusedu".
Ripresa, canta Cosimo:
Ohi chi bella la cutrisa,
la vidi caminari
cu lu zocculu allu pedi
di lu ballu tricchi-trà.
Vurria mu mi maritu a Petra Cupa,
aundi fannu lu pani di pizzata,
e non m'importa no ca 'undavi dota,
abbasta mu mi faci, bella, la pizzata.
Zipingula zipangula,
simenta di meluni,
lo spassu di li fimmini
su' l'omini sciampagnuni!
Rosa, Teresa, Catarinella mia,
'na guccia di to sangu
sanarìa la vita mia!
E' un momento di grande emozione e comunanza, sottolineato da un ritmo vivace e beatificante, che raduna tutto il pubblico sotto un manto di spiritualità allegra, che presto si tramuterà nello scatenato ballo conclusivo.
Ma la festosa giaculatoria nasconde un'anima tutt'altro che pia!
Di questa canzone è nota la versione dell'ottimo Daniele Sepe; forse non tutti sanno che, prima ancora, la eseguiva un tal Fred Scotti, protagonista di una vicenda artistica ed umana decisamente insolita.
Il suo nome era Francesco Scarpelli, era originario del cosentino, e cantava le cosiddette “canzoni di malavita”, col nome d'arte, appunto, di Fred Scotti. Alcune sue registrazioni appaiono in quella serie di controversi cd dedicati alla “Musica della 'ndrangheta”, che ebbero un incredibile successo, anche all'estero, qualche anno fa: un fenomeno davvero singolare, dagli inquietanti risvolti sociali, come documentato approfonditamente da Ettore Castagna nel suo interessantissimo libro “Sangue e onore in digitale”.
Questo brano, col titolo di “Tarantella Guappa”, è sul primo di quei cd: dunque non propriamente di una preghiera si tratta, quanto piuttosto di un canovaccio di velate minacce e ambigui sottintesi, suggeriti qua e là nel testo.
La carriera di Fred Scotti, cantante tutt'altro che disprezzabile, ebbe un epilogo fatale e beffardo: fu assassinato per strada, nel 1971, scontando la colpa di essersi invaghito della moglie di un Guappo, un piccolo boss di paese, contravvenendo così alle regole ferree dell'onorata società che le sue canzoni celebravano.
Ma ecco qui la sua versione:
Ed eccone un'altra, in anni più recenti, dell'Arlesiana Chorus:
Un filmato (da vedere su youtube) davvero notevole, non solo per la qualità artistica di questo ensemble che mescola classico e popolare in modo originalissimo, ma per la presenza di volti a noi familiari; da sinistra si riconoscono: Carlo Frascà, leader del gruppo nonché maestro e padre nobile di tutti i musicisti della Locride; Daniela Bonvento, che fu dei TaranKhan, alla lira calabrese; Francesco Loccisano alla chitarra, col capello insolitamente acconciato; Manuela Cricelli, splendida voce dei Karakolo Fool; Raffaele Pizzonia, attuale batterista negli Scialaruga di Fabio Macagnino.
Un'autentica All Star Band!
E' la volta del gran finale del concerto dei TaranProject, con Mimmo e Cosimo che si alternano alla voce, con la Tarantella Guappa che diventa Jimbusedu, e poi Tarantella Brada, fino all'immancabile “Narannannèru...” che tutti cantano in coro.
Non proprio un'angolatura di ripresa professionale, in questo video (di Cefipe, a Cittanova), e tuttavia uno spaccato ben rappresentativo dei cuori tarantati di tutte le età che ogni sera danzano in felice consonanza.
E' appena il caso di precisare che i TaranProject nulla hanno da spartire con l'oscuro contesto socioculturale in cui questa canzone nacque, trattandosi qui della semplice ripresa giocosa di un brano divenuto da tempo patrimonio popolare.
Il testo di Tarantella Guappa consta di varie strofe, intercambiabili secondo il gusto occasionale dell'interprete.
Qui di seguito ne riporto una buona parte: con l'avvertenza che il calabrese non è la mia lingua, e dunque ci saranno sicuramente errori ed omissioni, mentre di qualche espressione gergale mi sfugge il senso; siano naturalmente benvenute le opportune correzioni!
Un tentativo di traduzione in italiano è nei commenti.
Tarantella guappa
Comu ballanu belli ssi figghjoli!
Chi la Madonna li, chi la Madonna là,
chi la Madonna li pozz'aiutari!
Minatevi ssi corpi chianu chianu,
'ca sugnu distinati a ben muriri,
'ca sugnu distinati, bella, a ben muriri.
Si lu curteddu miu s'avìa lu tagghju,
carogna io ti sfreggiu e t'anzaccagnu,
carogna io ti sfreggiu e t'anzaccagnu.
E pe' piscà stu cefalu
ci misi 'na simana,
ca lu piscai di sulu
e stu cefalu capitù,
ca lu piscai di sira
e stu cefalu chi mi tira.
Tiritinguli e tiritunguli,
cucuzze e cucuzzuni,
lu spassu di li fimmini
su' l'omini 'ncudinuli!
Comu ballanu belli ssi figghjoli!
Chi Sant'Antoni li, chi Sant'Antoni là,
chi Sant'Antoni li pozz'aiutari!
Scinni Maredda mia, cunza lu lettu,
avìa li carni sua com'a lu lattu,
avìa li carni sua, bella, com'a lu lattu.
Abballati, abballati,
fimmini schjetti e maritati,
e si nun ballati bonu
nun vi cantu e nun vi sonu,
e si nun ballati pulitu
nci lu dico a lu vostru zitu.
Sciù sciù sciù,
quanti fimmini ca ci su'!
Sciù sciù sciù,
quanti fimmini ca ci su'!
Vorrìa mu moru, vorrìa mu moru,
cu' zuccaro e cafè mu m'imbalenu,
cu' zuccaro e cafè, bella, mu m'imbalenu.
E lu previti 'i Roccaforti
s'a fujiu c'a parmisana,
malanova ca jivanu forti
comu lu ventu di tramuntana,
malanova ca jivanu forti
comu lu ventu di tramuntana.
E lu punti di Petraci
fu la ruvina mia,
manijandu petra e caci
si nda jiu la vita mia,
manijandu petra e caci
si nda jiu la vita mia.
Faciti rota, faciti rota,
stamu morendu di la purvarata,
stamu morendu, bella, di la purvarata!
Vurria mu mi maritu a 'Ntonimina,
mu mi la levu 'n'antoniminara,
e nun m'importa no ch'è piccirina
basta che 'ndavi la dota di lana.
Segue "U Jimbusedu".
Ripresa, canta Cosimo:
Ohi chi bella la cutrisa,
la vidi caminari
cu lu zocculu allu pedi
di lu ballu tricchi-trà.
Vurria mu mi maritu a Petra Cupa,
aundi fannu lu pani di pizzata,
e non m'importa no ca 'undavi dota,
abbasta mu mi faci, bella, la pizzata.
Zipingula zipangula,
simenta di meluni,
lo spassu di li fimmini
su' l'omini sciampagnuni!
Rosa, Teresa, Catarinella mia,
'na guccia di to sangu
sanarìa la vita mia!
Una danza ionia ad Epizefiri
Non lontano da Locri, in contrada Pirettina, c'è un luogo di favola, che sta in uno spaziotempo sospeso, tra cielo e mare, tra passato e presente, tra natura e creazione artistica; stranamente discosto dagli itinerari turistici più invadenti, conserva perciò intatta la sua arcana suggestione. La si assapora semplicemente sedendosi su uno dei gradoni in alto, a contemplare la striscia color carta da zucchero stesa lungo l'orizzonte, gli ulivi secolari, il modo in cui gli antichi manufatti si compenetrano con la terra, le erbe, i fiori, i profumi intensi della Locride. Magari nell'ora che segue il crepuscolo, quando il verdegrigio e l'ocra si animano di quella incredibile screziatura rosa: succederà di sentirsi - come canta Mimmo - “nu re, sedutu supa 'na petra”.
Proprio a quell'ora, alle 19.30 di sabato 17, nella cavea del Teatro Greco di Locri risuonerà come per incanto una Danza Ionia.
Inizierà con questo brano lo straordinario concerto di Francesco Loccisano: in trio con Mico Corapi e Vincenzo Oppedisano eseguirà per intero il suo album "Battente Italiana", profittando di un'acustica naturale d'eccezione.
Sarà la prima assoluta, per l'antico Teatro: la prima volta dopo millenni che si offrirà ad un concerto musicale. E va alla Direzione del sito archeologico di Locri Epizefiri il merito di aver scelto, per questa storica riappropriazione, un esponente di spicco di quel piccolo grande Rinascimento musicale che su queste pagine andiamo documentando, in continuità con il concerto dei TaranProject presso il Tempio Marasà dello scorso anno.
Non poteva esserci scelta di maggior prestigio: Francesco Loccisano - disse bene Eugenio Bennato, presentandolo, la sera finale del Festival - è il massimo virtuoso al mondo della chitarra battente.
L'ingresso è gratuito, ma – attenzione! - i posti sono limitati.
L'indomani, domenica 18, c'è un altro concerto da non perdere: a Siderno, alla Festa del Volontariato, si esibirà Stefano Simonetta, alias Mujura; non è così frequente, l'opportunità di vederlo suonare dal vivo, ma ne vale assolutamente la pena: per godersi il suo bellissimo album solista in versione ancor più rockettara, sulfurea e umorale, un'occasione per liberare le emozioni e la mente.
Non se ne avranno a male, i TaranProject, se per questo weekend suggerisco appuntamenti alternativi ai loro concerti: in settembre loro gravitano per lo più sulla provincia di Vibo, nuovo ennesimo focolaio di passione che si sta accendendo per loro.
Ed ecco una bella foto (by Rosalba) del Loccisano Trio a Epizefiri.
Proprio a quell'ora, alle 19.30 di sabato 17, nella cavea del Teatro Greco di Locri risuonerà come per incanto una Danza Ionia.
Inizierà con questo brano lo straordinario concerto di Francesco Loccisano: in trio con Mico Corapi e Vincenzo Oppedisano eseguirà per intero il suo album "Battente Italiana", profittando di un'acustica naturale d'eccezione.
Sarà la prima assoluta, per l'antico Teatro: la prima volta dopo millenni che si offrirà ad un concerto musicale. E va alla Direzione del sito archeologico di Locri Epizefiri il merito di aver scelto, per questa storica riappropriazione, un esponente di spicco di quel piccolo grande Rinascimento musicale che su queste pagine andiamo documentando, in continuità con il concerto dei TaranProject presso il Tempio Marasà dello scorso anno.
Non poteva esserci scelta di maggior prestigio: Francesco Loccisano - disse bene Eugenio Bennato, presentandolo, la sera finale del Festival - è il massimo virtuoso al mondo della chitarra battente.
L'ingresso è gratuito, ma – attenzione! - i posti sono limitati.
L'indomani, domenica 18, c'è un altro concerto da non perdere: a Siderno, alla Festa del Volontariato, si esibirà Stefano Simonetta, alias Mujura; non è così frequente, l'opportunità di vederlo suonare dal vivo, ma ne vale assolutamente la pena: per godersi il suo bellissimo album solista in versione ancor più rockettara, sulfurea e umorale, un'occasione per liberare le emozioni e la mente.
Non se ne avranno a male, i TaranProject, se per questo weekend suggerisco appuntamenti alternativi ai loro concerti: in settembre loro gravitano per lo più sulla provincia di Vibo, nuovo ennesimo focolaio di passione che si sta accendendo per loro.
Ed ecco una bella foto (by Rosalba) del Loccisano Trio a Epizefiri.
Sona ssu tamburu
A completare la panoramica dei brani inediti di quest'anno mancava solo la nuova canzone di Giovanna, con la quale si celebra un amore festoso, colorato e floreale, che palpita al suono di un travolgente tamburo.
Musica e testo sono stati scritti da Giovanna Scarfò, che si dimostra una volta di più ragazza dalle mille virtù, versatile e in ogni sua incarnazione bravissima: anche in questo pezzo unisce spontaneità, ardore e professionalità nel modo naturale che è proprio degli artisti di calibro assoluto.
I precisi riferimenti del testo – Crochi è una località nei dintorni di Caulonia – lasciano intuire uno spunto autobiografico; ma la potenza e incisività dei versi (c'è il contribuito di un terzo fratello Scarfò! Si tratta di Francesco, autore e chitarrista di razza negli Scarma), lo spettacolare respiro pop della costruzione melodica, l'interpretazione trascinante che Giovanna ogni sera ne dà, lo rendono un canto d'amore universale, che allarga il cuore e lo colma di entusiasmo.
(Video da Youtube di Vargassetto)
Sona ssu tamburu
Si' a stida chjù splendenti di lu cielu,
ca a presenza di lu cielu rende onuri,
tutti li stidi ti stannu a guardari,
ed eu ammenzu ad igli m'ammagu d'amuri.
Li hjuri di lu pratu
si linchinu 'i culuri,
ma quandu passi tu fa primavera,
lu profumu sa di munti e di hjumara,
e quandu soni faci u cori arrivotari.
Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri che mi resta.
L'occhj toi si linchinu di hjuri,
comu li prati a Crochi a primavera,
lu cori mi si stringi senza u pozzu respirari
e cantanu li melodi d'amuri.
E non m'importa nenti
di chi dinnu li perzuni,
e la hjumara si poti levari...
Mi faci mali, non haju chiù rigettu
se non ti pozzu aviri a lu me pettu.
Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu,
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri chi mi resta.
Pe' centu anni ancora ti vurria guardari,
pe' centu anni ancora ti vurria basari,
pe' centu voti venaria mu cantu 'ccà cu'ttia
sta canzuni, pecchì si' a vita mia.
E ssu tamburu sona
e mu mi ricorda sempi
la vita senza tia non esti nenti,
e cantu sta canzuni a tutti i venti
mu passa nta lu cori di la genti.
E quandu penzi a mia penza a li hjuri,
mu ti ricordi tutti li culuri
chi ndi ficiru restari senza hjatu
quandu ndi canuscimmu nta lu pratu.
Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu,
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri chi mi resta.
(Nei commenti la traduzione in italiano)
Musica e testo sono stati scritti da Giovanna Scarfò, che si dimostra una volta di più ragazza dalle mille virtù, versatile e in ogni sua incarnazione bravissima: anche in questo pezzo unisce spontaneità, ardore e professionalità nel modo naturale che è proprio degli artisti di calibro assoluto.
I precisi riferimenti del testo – Crochi è una località nei dintorni di Caulonia – lasciano intuire uno spunto autobiografico; ma la potenza e incisività dei versi (c'è il contribuito di un terzo fratello Scarfò! Si tratta di Francesco, autore e chitarrista di razza negli Scarma), lo spettacolare respiro pop della costruzione melodica, l'interpretazione trascinante che Giovanna ogni sera ne dà, lo rendono un canto d'amore universale, che allarga il cuore e lo colma di entusiasmo.
(Video da Youtube di Vargassetto)
Sona ssu tamburu
Si' a stida chjù splendenti di lu cielu,
ca a presenza di lu cielu rende onuri,
tutti li stidi ti stannu a guardari,
ed eu ammenzu ad igli m'ammagu d'amuri.
Li hjuri di lu pratu
si linchinu 'i culuri,
ma quandu passi tu fa primavera,
lu profumu sa di munti e di hjumara,
e quandu soni faci u cori arrivotari.
Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri che mi resta.
L'occhj toi si linchinu di hjuri,
comu li prati a Crochi a primavera,
lu cori mi si stringi senza u pozzu respirari
e cantanu li melodi d'amuri.
E non m'importa nenti
di chi dinnu li perzuni,
e la hjumara si poti levari...
Mi faci mali, non haju chiù rigettu
se non ti pozzu aviri a lu me pettu.
Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu,
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri chi mi resta.
Pe' centu anni ancora ti vurria guardari,
pe' centu anni ancora ti vurria basari,
pe' centu voti venaria mu cantu 'ccà cu'ttia
sta canzuni, pecchì si' a vita mia.
E ssu tamburu sona
e mu mi ricorda sempi
la vita senza tia non esti nenti,
e cantu sta canzuni a tutti i venti
mu passa nta lu cori di la genti.
E quandu penzi a mia penza a li hjuri,
mu ti ricordi tutti li culuri
chi ndi ficiru restari senza hjatu
quandu ndi canuscimmu nta lu pratu.
Sona, pista, mina, fa'mu sona ssu tamburu,
lu sonu di sti botti mu rivigghja tutt'u mundu,
al tempu di me' cori comu 'na campan'a festa
al tempu di l'amuri chi mi resta.
(Nei commenti la traduzione in italiano)
Sabato 10 i TaranProject a Pisa
E con questo sono quarantotto! I concerti, in 52 giorni.
E le quattro date libere sono state dedicate: una alla serata finale del Kaulonia Tarantella Festival, alla quale Mimmo e altri del gruppo erano presenti; due alle trasvolate atlantiche di andata e ritorno dal Canada; e una presumibilmente a cercar di riassettare il fuso orario, messo sottosopra per due volte in pochi giorni.
Reggeranno, i nostri intrepidi, a quest'ultimo impegno?
Staranno vacillando, sul punto di crollare?
Proprio al cospetto della Torre pendente, che da secoli sta così eppure è sempre capace di dare splendida immagine di sé, i TaranProject non saranno da meno. E prenderanno anche possesso del Campo dei Miracoli, dopo averne compiuti tanti in questi due anni...
Scherzi a parte, eccoli per la prima volta in Toscana: la località, nei dintorni di Pisa, si chiama San Giuliano.
E le quattro date libere sono state dedicate: una alla serata finale del Kaulonia Tarantella Festival, alla quale Mimmo e altri del gruppo erano presenti; due alle trasvolate atlantiche di andata e ritorno dal Canada; e una presumibilmente a cercar di riassettare il fuso orario, messo sottosopra per due volte in pochi giorni.
Reggeranno, i nostri intrepidi, a quest'ultimo impegno?
Staranno vacillando, sul punto di crollare?
Proprio al cospetto della Torre pendente, che da secoli sta così eppure è sempre capace di dare splendida immagine di sé, i TaranProject non saranno da meno. E prenderanno anche possesso del Campo dei Miracoli, dopo averne compiuti tanti in questi due anni...
Scherzi a parte, eccoli per la prima volta in Toscana: la località, nei dintorni di Pisa, si chiama San Giuliano.
visions of Toronto
L'arrivo in Canada dei TaranProject, a cavallo delle loro biciclette volanti!
Ed ecco le immagini del concerto al Toronto Taranta Festival:
un successone, naturalmente.
Nei commenti le impressioni a caldo di un nostro connazionale presente all'evento.
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