In un lembo remoto d'Italia, la costa jonica calabrese attorno a Locri, è esploso nel 2009 un fenomeno musicale e culturale straordinario. Mimmo Cavallaro con i TaranProject ha tenuto in sei mesi oltre settanta concerti, conoscendo un successo via via sempre più travolgente, fino a suscitare un'autentica passione collettiva.
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Un menù da ghiottoni

In attesa di più competenti commenti da chi c'era, questa è la scaletta - (grazie, Rosalba) - dei brani eseguiti all'Uliveto Principessa, serata d'apertura del Tour 2013.
Ben trentaquattro brani, una sontuosa cornucopia, per tre ore filate di concerto!
E' verosimile che non sarà questa la dimensione definitiva dello spettacolo quando andrà a regime, e che la inevitabile scrematura tagli alcuni titoli. Ma per ora salutiamo con entusiasmo i due brani (quasi) inediti, Gira la testa mia ed E' festa, che ci dicono strepitosi; e i graditi ritorni: quelli prestigiosi di Ciano e Castrum vetus, la struggente Primavera spampanata, e poi Pe'ttia, Occhji di mari, U salutu...

1. Ciano
2. Pe'ttia
3. Carvunaru
4. Ela elamu konda
5. Cioparella
6. Citula d'argentu
7. Gira la testa mia
8. Sona ssu tamburu
9. Castrum vetus
10. E' festa
11. Occhji di mari
12. Comu si gira
13. Japri ssu barcuni
14. Primavera spampanata
15. Hjuri di hjumari
16. Lu stessu celu
17. Mulinarella
18. Lu patruni meu
19. Passeggera
20. Virrinedda
21. Passa lu mari

In acustico
- U salutu
- Corvu nigru
- Peppinella
- Malarazza
- Massaru

22. Santu Roccu
23. Spagna
24. Sona battenti
25. Vurria
26. Stafanazzu
27. Stilla chjara
28. Jimbusedu
29. Tarantella guappa

1 commento:

  1. La bella grandezza

    Come non rubare il titolo al film di cui tutti parlano in queste settimane? quello di Sorrentino, per forza - e chiedendogliene scusa, per lo meno io che non l’ho ancora visto e che ne pappagallo il titolo senza sapere con esattezza di cosa sto parlando.
    “La grande bellezza”, in senso letterale, è intorno a noi da ogni lato la sera del 7 giugno all’Uliveto Principessa, a cominciare dal profumo umido e potente del timo di collina e dal passeggiare tra l’erba in attesa della prima nota mentre lo specchio dell’acqua diventa gradualmente più chiaro del cielo.
    Poi il concerto comincia e ci regala un’emozionante sorpresa dopo l’altra, fino a che la formula comincia a capovolgersi nella mia mente. Sto assistendo, oltre che ad una grande bellezza, a qualcosa di più raro: ad una piena, antica, imponente, temibile grandezza, che però miracolosamente non causa né imbarazzo né sgomento perché è perfettamente bella.

    Succede fin dalla scelta come pezzo di apertura della meravigliosa “Ciano”, nota finora solo a pochi fortunati. Qualcosa si riallaccia con gioia a qualche anno fa, quando il concerto si apriva con il “Cantu di lu marinaro” e con la sua immensa domanda: chi ha dato forma al mondo?
    Questa volta la domanda è: chi siamo noi?
    Siamo re, avendo ricevuto dal cielo il privilegio di guardare il mare stando seduti su una montagna (questa è l’immagine esatta del popolo calabrese, mi diceva Fildiferro anni fa). Balliamo e siamo Lestrigoni: ciclopi, fratelli di Polifemo. Non siamo piccole persone banali e poco impegnative, ballerini leggeri senza un passato. Siamo comunque grandi, nel bene e nel male: immersi in una natura solenne e maestosa, minacciati da formidabili eventi sismici o climatici, aperti alle forze misteriose del sacro, a contatto con le tracce mozzafiato del formarsi della nostra civiltà ma anche gomito a gomito con la criminalità organizzata più pericolosa del mondo, esposti a gioie abbaglianti e a tragici dolori. Così andiamo per il mondo come Ciclopi tra gli umani, sempre un po’ fuori misura, con un solo occhio per guardare e per piangere. Spesso la grandezza eccessiva che nel bene e nel male ci ritroviamo ci mette in imbarazzo, al punto che fuori da questa terra ci capita di dissimularla. A meno che non diventi perfezione indiscutibile, compiuta bellezza, liberandoci da ogni finzione e restituendoci a chi siamo davvero: ecco il più alto regalo che possiamo ricevere dai nostri artisti.

    Quest’anno – me ne accorgo pezzo dopo pezzo – i TaranProject tornano pienamente a casa e prendono su di sé questo compito, chiamandolo con ottime ragioni semplicemente “Sonu”.
    Nessun colore manca alla loro tavolozza mentre rendono perfetto il loro-nostro ritratto: ci sono i paesaggi e le lingue, c’è il lavoro duro del carbonaro e dello zappatore, ci sono l’ingiustizia, la ribellione, l’amore appassionato o delicato, la felicità o la separazione, la potenza o l’astuzia femminile, il cibo e la fame, l’accoglienza verso le genti del mondo. Perfettamente parte di tutto questo, ci sono anche la festa, la processione e il ballo: non evasione spensierata, non divertimento senza peso ma arte del riconoscimento, arte del restituire noi a noi stessi e del rendere immagine compiuta il Lestrigone che è in ciascuno di noi.
    Faranno questo per noi, tutta l’estate. Senza contare la strepitosa bellezza dei due pezzi inediti, il tango poderoso, travolgente di Cosimo e la festa luminosa di Mimmo dai mille milioni di colori. E non dovremmo essere commossi, grati, in adorazione?

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