Inauguriamo con questo post una serie di mini interviste con i componenti dei TaranProject. Sette domande per uno, per conoscere un po' meglio i nostri eroi, svelare qualche piccolo segreto, gettare uno sguardo dietro la quinte, nel laboratorio dove nasce la musica del gruppo.
E inizieremo con Gabriele, il pifferaio magico.
Giusto per i due o tre che non lo avessero presente, ricordiamo che Gabriele Albanese suona il sax, la pipita, l'ocarina e ogni altra sorta di strumenti a fiato; è artefice determinante della coloritura dei brani, cui conferisce di volta in volta atmosfere, spazialità, divagazioni, dando prova di grande versatilità e padronanza stilistica; è inoltre strepitoso ballerino, con Giovanna inscena duetti vorticosi ed elegantissimi. Una presenza che, in tono col suo angelico nome, richiama celestiali armonie e caleidoscopiche luminescenze.
Gabriele è originario di Cittanova, dove tra l'altro organizza e dirige ad agosto il festival Tradizionandu, ed è del segno del Toro. E' stato membro di Gozzansamble, Bassa Marea e Karakolo Fool, e tuttavia è l'ultimo arrivato nei TaranProject, di cui fa parte stabilmente solo da un anno.
Gabriele, come ti sei avvicinato alla musica? C'era qualche musicista nella tua famiglia?
Mi sono avvicinato alla musica grazie a mio padre, che, suonando il trombone in una banda di paese, ha una certa predisposizione per la musica; e - come per tutti i genitori che suonano - il suo sogno era di veder suonare i suoi figli. Mia madre invece è pittrice.
Ho iniziato studiando il pianoforte, che i miei genitori avevano comprato per mio fratello, cosa che è stata molto utile per la mia formazione. Poi all'età di 17 anni ho intrapreso lo studio del sassofono, e dopo varie peripezie al Conservatorio, che non ho mai concluso, ho continuato a studiare con un privato. I maestri dai quali ho appreso di più sono Orazio Maugeri a Messina e Dave Schnitter, col quale ho studiato per tre mesi a New York.
Che genere di musica ascolti?
Ascolto molto jazz, ma a dir la verità sono un amante un po' di tutti i generi, essendo cresciuto, grazie a mio fratello, con la musica rock degli anni 70. Il mio gruppo italiano preferito sono gli Area, e vorrei citare anche Napoli Centrale e il Balletto di Bronzo.
Quando e come è avvenuto il tuo incontro con Mimmo Cavallaro?
Lo ricordo come fosse oggi: erano i primi mesi del 2007, io avevo appena finito di suonare col mio gruppo, gli Invece, che fanno etno-reggae, e andai in un locale, il Melmoth a Siderno, dove suonavano i Gozzansamble. Avevo il sax con me, e chiesi a Mimmo di suonare con loro; lui, come puoi immaginare, mi disse subito di sì.
Da quel giorno iniziai a partecipare ai vari progetti di Mimmo, e ad introdurre via via gli strumenti tradizionali.
Oltre che come ottimo musicista, ti vediamo sul palco perfetto ballerino: è una dote innata, o frutto di studio ed esercizio?
Sono sempre stato portato sin da piccolo per il ballo, non ho mai studiato tarantella ma sono sempre stato estremamente curioso e attento nell'osservare le persone che ballano in modo molto tradizionale… uno spettacolo!
Gli strumenti della tradizione, il sax che viene dal jazz, strumenti di altre culture... con che criterio scegli quale utilizzare nei vari brani?
Questo è tutto stile TaranProject! Si definisce un brano e poi si riflette attentamente sull'arrangiamento, che ha bisogno di molta cura. Quando parlo di stile TaranProject mi riferisco ad un sound particolare, anche riguardo all'esecuzione: se dovessi descrivere il nostro genere direi che è World Music con un profumo di tarantella - la tarantella calabrese!
La scelta degli strumenti è fatta con molta attenzione, devono dare il colore appropriato al brano; strumenti come duduk, flauto armonico, o zumpettara, ocarina, pipite e marranzani hanno tutti un suono ammaliante, almeno per me, e fanno sì che la musica diventi un tutt'uno con il ballo... Proprio questo è TaranProject, musica, ballo e voglia di vivere!
Quali nuovi strumenti stai studiando? Pensi di inserirli nel concerto?
Sì, sto studiando un altro strumento che presto introdurrò , ma ancora non lo sveleremo… sarà una sorpresa!
A quale canzone dei TP sei particolarmente legato e perché?
Del nuovo cd la canzone alla quale sono particolarmente legato è proprio “Hjuri di Hjumari”: mi sono innamorato di questo brano perché la parte della pipita mi fa pensare ad un treno che sfreccia ad alta velocità in mezzo ad una foresta… Un pensiero un po' strano, no?
E' un brano che ancora non eseguiamo nei concerti, ma è una bomba di canzone! Farà parte del nuovo spettacolo, nei prossimi mesi.
Grazie, Gabriele!
--- per chi ama la musica di Mimmo e pensa che tutto il mondo debba conoscerla --- per chi ha voglia di scoprire un artista eccezionale - the next Big Thing!
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La Chanson de Mimmó
Una nuova pagina di Storia: la prima esibizione all'estero dei TaranProject è avvenuta sabato 19 febbraio 2011, nei pressi di Lione, in Francia.
Il luogo è la Salle de la Charpenterie, a St.Bonnet de Mure: 250 posti a sedere, tutti occupati, da un pubblico formato in buona parte da italiani residenti in Francia - non solo calabresi - ma anche da numerosi francesi doc.
Anche a Saint Bonnet, come in ogni paese di Calabria, c'è un sindaco che sale sul palco per dare il benvenuto ai musicisti.
21.30. Il magnetico tamburellare di Alfredo dà il via al concerto: l'atmosfera è calorosa, c'è già chi batte le mani a tempo...
Mimmo sul palco – Vurria sapiri cu... - e l'incantamento è immediato.
Oilì...Voilà! La nostra Giovanna d'Arco!
Siete pronti per ascoltare la tarantella? - dice Mimmo.
Tarantella della Seduzione, ecco i primi a capire che non solo di “ascoltare” si tratta!
Bella figghjola... - Spagna! - Giovanna con il drappo Rosso.
Danza cu lu ventu... - Stilla Chjara! - Giovanna con il drappo Bianco.
...e al Verde ci pensa Cosimo, in versione Incredibile Hulk della Taranta.
E' festa tricolore!
Tarantella nova, Mulinarella...un classico dopo l'altro, secondo la collaudata scaletta: una performance impeccabile, e c'è spazio anche per Jocu di la Palumbella, Malarazza, Corvu Nigru!
Partiu lu Jimbusedu... - è la presentazione finale: applausi scroscianti, le inconfondibili ondate di affetto scorrono tra i TaranProject e il pubblico, come ogni volta, come dappertutto.
Giovanna e Gabriele scendono tra il pubblico, la Rota si forma, accoglie e accomuna tutti. Cosimo accelera la cadenza, fino allo scintillìo del momento magico, che libera la felicità...
Dopo il concerto, foto ricordo con i paesani di Mammola!
Vengono dal paese gemellato di St. Clair du Rhone, non lontano da qui.
I cd vanno a ruba, richieste di autografi per i sette.
Si parla già di una replica, forse a giugno, magari in piazza.
E l'indomani anche la stampa francese - il quotidiano Le Progrès - riferisce dell'evento.
E' stato un successo? Sì, certo, ma molto più che un successo è stata una gioia protratta per tutta la sera, un'emozione intensa che resterà a lungo nel cuore, per tutti i presenti.
Il luogo è la Salle de la Charpenterie, a St.Bonnet de Mure: 250 posti a sedere, tutti occupati, da un pubblico formato in buona parte da italiani residenti in Francia - non solo calabresi - ma anche da numerosi francesi doc.
Anche a Saint Bonnet, come in ogni paese di Calabria, c'è un sindaco che sale sul palco per dare il benvenuto ai musicisti.
21.30. Il magnetico tamburellare di Alfredo dà il via al concerto: l'atmosfera è calorosa, c'è già chi batte le mani a tempo...
Mimmo sul palco – Vurria sapiri cu... - e l'incantamento è immediato.
Oilì...Voilà! La nostra Giovanna d'Arco!
Siete pronti per ascoltare la tarantella? - dice Mimmo.
Tarantella della Seduzione, ecco i primi a capire che non solo di “ascoltare” si tratta!
Bella figghjola... - Spagna! - Giovanna con il drappo Rosso.
Danza cu lu ventu... - Stilla Chjara! - Giovanna con il drappo Bianco.
...e al Verde ci pensa Cosimo, in versione Incredibile Hulk della Taranta.
E' festa tricolore!
Tarantella nova, Mulinarella...un classico dopo l'altro, secondo la collaudata scaletta: una performance impeccabile, e c'è spazio anche per Jocu di la Palumbella, Malarazza, Corvu Nigru!
Partiu lu Jimbusedu... - è la presentazione finale: applausi scroscianti, le inconfondibili ondate di affetto scorrono tra i TaranProject e il pubblico, come ogni volta, come dappertutto.
Giovanna e Gabriele scendono tra il pubblico, la Rota si forma, accoglie e accomuna tutti. Cosimo accelera la cadenza, fino allo scintillìo del momento magico, che libera la felicità...
Dopo il concerto, foto ricordo con i paesani di Mammola!
Vengono dal paese gemellato di St. Clair du Rhone, non lontano da qui.
I cd vanno a ruba, richieste di autografi per i sette.
Si parla già di una replica, forse a giugno, magari in piazza.
E l'indomani anche la stampa francese - il quotidiano Le Progrès - riferisce dell'evento.
E' stato un successo? Sì, certo, ma molto più che un successo è stata una gioia protratta per tutta la sera, un'emozione intensa che resterà a lungo nel cuore, per tutti i presenti.
Ma di chi è questa canzone?
Molti brani dei TaranProject, lo sappiamo, vengono dalla tradizione: un'affermazione apparentemente ovvia. Ma fino a che punto è davvero così?
Quanto conta l'intervento di adattamento, riscrittura, arrangiamento, svolto da un musicista che recupera una vecchia canzone? Si tratta cioè ancora di un patrimonio musicale comune a un intero popolo, lungo gli anni o i secoli? o è più appropriato parlare di opera individuale del singolo artista?
Sul tema la discussione è annosa e inesauribile, le convinzioni varie, e in dialettica talvolta anche aspra tra loro. Senza voler qui prender posizione sul tema generale, ci chiediamo: fino a che punto le canzoni di Mimmo e Cosimo appartengono alla memoria popolare, e in che misura loro le hanno elaborate, reinventate, a volte semplicemente rinfrescandone le sonorità, altre lavorando di taglio e cucito con frammenti di testi di varia provenienza, in qualche caso suturando le lacune con interventi originali, o inventando linee melodiche inedite?
Non che la documentazione ufficiale ci aiuti granché: mi riferisco all'informazione più semplice ed accessibile, quella relativa a chi ha composto dei brani, reperibile di solito sui libretti dei cd.
In Karakolo Fool e Sona Battenti risultano solo due canzoni definite tout court tradizionali: Cioparella e Rosabella; ma basta pensare a come è evoluta in questi due anni la prima, e a quante differenti versioni della seconda ci è capitato di ascoltare - una persino intrisa di suoni elettronici, ai tempi di TaranKhan! - per comprendere come anche questa affermazione sia di fatto opinabile. Alcune canzoni sono tradizionali solo nel testo: Spagna, Japri ssu Barcuni, Corvu Nigru; alcune totalmente autoriali: Tarantella Nova, Rosa Russa e Ciano di Mimmo, Mulinarella di Cosimo, altre anche di Mico Corapi e Stefano Simonetta; altre ancora sono definite elaborazioni, sia nel testo che nella musica, quasi tutte quelle di Sona Battenti, peraltro arrangiate da Francesco Loccisano.
Nel più recente Hjuri di Hjumari, addirittura, non sono nemmeno citati gli autori dei brani! - una dimenticanza cui certamente si sopperirà in occasione della prossima riedizione per il mercato nazionale, ma che in ogni caso la dice lunga su come, in quest'ambito, la questione della paternità non sia poi così sentita. Che sia un indice, anche questo, della generosa nobiltà d'animo della gente della Locride, che non si cura di copyright ma è propensa a regalare il proprio contributo a quel che viene vissuto come un patrimonio musicale condiviso? Forse è proprio così.
I musicisti stessi, in varie circostanze, con dichiarazioni pubbliche o in conversazioni occasionali, hanno fornito ulteriori spunti di… confusione.
Di recente Cosimo, parlando dei tre brani che canta in Hjuri di Hjumari, raccontava che solo uno è stato scritto da lui; ci è voluto un po' a capirlo, nel corso della chiacchierata, ma lui si riferiva esclusivamente al testo! In effetti le melodie sono tutte sue, mentre suo è solo uno dei testi (Quale? Provate a indovinare... Se non vi sarà facile è perché, appunto, un autore come Cosimo è a tal punto immerso nel grande fiume della tradizione da esprimersi artisticamente in modo del tutto consonante con essa); un'altra volta Giovanna, ai complimenti per la sua straordinaria Vorria, si schermì dicendoci che il testo l'avevano trovato, lei e Alfredo, in un vecchio volume, e che lei l'ha soltanto “musicata”. E vi sembra poco? Quella musica turbinosa, con cui Giovanna ci ghermisce e conduce con sé, nel regno meraviglioso dei desideri...
Si direbbe dunque che i nostri diano decisamente più peso alla scrittura del testo che alla melodia. Questo modo di veder le cose è tutto sommato coerente con un fatto ben noto a chi studi l'evoluzione delle canzoni popolari: è ampiamente documentato che quel che si mantiene pressoché inalterato, anche per secoli, è appunto il testo, mentre la musica cambia in modo anche radicale, a seconda delle epoche e della sensibilità dell'esecutore di turno. Forse pure in questo caso, e per gli stilemi musicali ancora di più, vale quanto detto in precedenza: questi artisti si sentono così pienamente immersi nella cultura della loro terra da riuscire senza grande sforzo a ideare nuove melodie pienamente nel solco della tradizione, senza quasi esser consapevoli della qualità straordinaria della loro creazione!
Ci sono poi canzoni che a qualunque orecchio suonano palesemente antiche, giunte alla loro forma perfetta attraverso anni di esecuzioni, da parte di innumerevoli musicisti: il pensiero corre ad esempio a U Jimbusedu, la formidabile filastrocca fatta apposta per il bis finale, per una tarantella sfrenata, fino al completo appagamento comunitario della piazza danzante.
Eccone una versione dell'estate scorsa (il video è di u2lucky77)
E invece, ancora una volta, abbiamo sentito di recente Mimmo raccontare, in un'intervista televisiva, che sì, il testo lo trovò in un consunto libello, scovato all'osteria da Micu i Cola, a Marina di Gioiosa. Ma la musica la compose lui, pochi anni fa!
E se questo brano è già diventato un classico, che ogni gruppo della zona esegue, che il pubblico sempre reclama per ballare su un tema noto a tutti e da tutti amato, è perché anche Mimmo Cavallaro è a sua volta un Classico, un maestro che possiede il talento e l'autorevolezza per innovare il canone della musica tradizionale, confermandone al tempo stesso la vitalità che dura nel tempo.
Come si confà ad una musica che, per esser popolare, non può certo pretendersi cristallizzata in stilemi arcaici e ormai desueti, ma deve continuare a camminare con la gente a cui si rivolge, di cui convoglia e sublima sentimenti, emozioni, allegrie.
Cosimo Papandrea, s'intende, non è da meno di Mimmo: c'è anzi una sua canzone che più di ogni altra ha una storia paradigmatica di quanto si è discusso in questo post, ed è presentata nel prossimo qui di seguito.
Quanto conta l'intervento di adattamento, riscrittura, arrangiamento, svolto da un musicista che recupera una vecchia canzone? Si tratta cioè ancora di un patrimonio musicale comune a un intero popolo, lungo gli anni o i secoli? o è più appropriato parlare di opera individuale del singolo artista?
Sul tema la discussione è annosa e inesauribile, le convinzioni varie, e in dialettica talvolta anche aspra tra loro. Senza voler qui prender posizione sul tema generale, ci chiediamo: fino a che punto le canzoni di Mimmo e Cosimo appartengono alla memoria popolare, e in che misura loro le hanno elaborate, reinventate, a volte semplicemente rinfrescandone le sonorità, altre lavorando di taglio e cucito con frammenti di testi di varia provenienza, in qualche caso suturando le lacune con interventi originali, o inventando linee melodiche inedite?
Non che la documentazione ufficiale ci aiuti granché: mi riferisco all'informazione più semplice ed accessibile, quella relativa a chi ha composto dei brani, reperibile di solito sui libretti dei cd.
In Karakolo Fool e Sona Battenti risultano solo due canzoni definite tout court tradizionali: Cioparella e Rosabella; ma basta pensare a come è evoluta in questi due anni la prima, e a quante differenti versioni della seconda ci è capitato di ascoltare - una persino intrisa di suoni elettronici, ai tempi di TaranKhan! - per comprendere come anche questa affermazione sia di fatto opinabile. Alcune canzoni sono tradizionali solo nel testo: Spagna, Japri ssu Barcuni, Corvu Nigru; alcune totalmente autoriali: Tarantella Nova, Rosa Russa e Ciano di Mimmo, Mulinarella di Cosimo, altre anche di Mico Corapi e Stefano Simonetta; altre ancora sono definite elaborazioni, sia nel testo che nella musica, quasi tutte quelle di Sona Battenti, peraltro arrangiate da Francesco Loccisano.
Nel più recente Hjuri di Hjumari, addirittura, non sono nemmeno citati gli autori dei brani! - una dimenticanza cui certamente si sopperirà in occasione della prossima riedizione per il mercato nazionale, ma che in ogni caso la dice lunga su come, in quest'ambito, la questione della paternità non sia poi così sentita. Che sia un indice, anche questo, della generosa nobiltà d'animo della gente della Locride, che non si cura di copyright ma è propensa a regalare il proprio contributo a quel che viene vissuto come un patrimonio musicale condiviso? Forse è proprio così.
I musicisti stessi, in varie circostanze, con dichiarazioni pubbliche o in conversazioni occasionali, hanno fornito ulteriori spunti di… confusione.
Di recente Cosimo, parlando dei tre brani che canta in Hjuri di Hjumari, raccontava che solo uno è stato scritto da lui; ci è voluto un po' a capirlo, nel corso della chiacchierata, ma lui si riferiva esclusivamente al testo! In effetti le melodie sono tutte sue, mentre suo è solo uno dei testi (Quale? Provate a indovinare... Se non vi sarà facile è perché, appunto, un autore come Cosimo è a tal punto immerso nel grande fiume della tradizione da esprimersi artisticamente in modo del tutto consonante con essa); un'altra volta Giovanna, ai complimenti per la sua straordinaria Vorria, si schermì dicendoci che il testo l'avevano trovato, lei e Alfredo, in un vecchio volume, e che lei l'ha soltanto “musicata”. E vi sembra poco? Quella musica turbinosa, con cui Giovanna ci ghermisce e conduce con sé, nel regno meraviglioso dei desideri...
Si direbbe dunque che i nostri diano decisamente più peso alla scrittura del testo che alla melodia. Questo modo di veder le cose è tutto sommato coerente con un fatto ben noto a chi studi l'evoluzione delle canzoni popolari: è ampiamente documentato che quel che si mantiene pressoché inalterato, anche per secoli, è appunto il testo, mentre la musica cambia in modo anche radicale, a seconda delle epoche e della sensibilità dell'esecutore di turno. Forse pure in questo caso, e per gli stilemi musicali ancora di più, vale quanto detto in precedenza: questi artisti si sentono così pienamente immersi nella cultura della loro terra da riuscire senza grande sforzo a ideare nuove melodie pienamente nel solco della tradizione, senza quasi esser consapevoli della qualità straordinaria della loro creazione!
Ci sono poi canzoni che a qualunque orecchio suonano palesemente antiche, giunte alla loro forma perfetta attraverso anni di esecuzioni, da parte di innumerevoli musicisti: il pensiero corre ad esempio a U Jimbusedu, la formidabile filastrocca fatta apposta per il bis finale, per una tarantella sfrenata, fino al completo appagamento comunitario della piazza danzante.
Eccone una versione dell'estate scorsa (il video è di u2lucky77)
E invece, ancora una volta, abbiamo sentito di recente Mimmo raccontare, in un'intervista televisiva, che sì, il testo lo trovò in un consunto libello, scovato all'osteria da Micu i Cola, a Marina di Gioiosa. Ma la musica la compose lui, pochi anni fa!
E se questo brano è già diventato un classico, che ogni gruppo della zona esegue, che il pubblico sempre reclama per ballare su un tema noto a tutti e da tutti amato, è perché anche Mimmo Cavallaro è a sua volta un Classico, un maestro che possiede il talento e l'autorevolezza per innovare il canone della musica tradizionale, confermandone al tempo stesso la vitalità che dura nel tempo.
Come si confà ad una musica che, per esser popolare, non può certo pretendersi cristallizzata in stilemi arcaici e ormai desueti, ma deve continuare a camminare con la gente a cui si rivolge, di cui convoglia e sublima sentimenti, emozioni, allegrie.
Cosimo Papandrea, s'intende, non è da meno di Mimmo: c'è anzi una sua canzone che più di ogni altra ha una storia paradigmatica di quanto si è discusso in questo post, ed è presentata nel prossimo qui di seguito.
Spagna
Cosa dire ancora su questa canzone che ormai è divenuta a furor di popolo l'inno della gente calabra, riconosciuta e amata sotto ogni latitudine, eseguita da pressoché ogni gruppo che calchi le piazze della regione, canticchiata per strada da garzoni e professionisti, o sparata a tutto volume dalle autoradio?
Forse che si tratta di un brano meraviglioso, di presa immediata e irresistibile per chiunque?
Che è di quella lega cui appartengono O Sole Mio, Volare e poche altre nella storia della canzone italiana?
Detto questo senza tema di smentita, non c'è da aggiungere altro. Solo da attendere che i canali mediatici istituzionali se ne accorgano e ne decretino il successo planetario che merita; o - detta in altri termini – augurarsi che miliardi di nostri simili che ne sono ancora ignari possano presto conoscere e vivere anche loro questa gioia assoluta dell'udito.
Ma come è nato questo pezzo incredibile?
In questo caso, più che mai, c'è da distinguere tra testo e musica.
Il testo è senza dubbio tradizionale, ed è stato già inciso negli anni passati almeno due volte: la prima da Otello Profazio, come siamo venuti a sapere negli scorsi mesi, da quando Mimmo, nell'introdurlo durante i concerti, fa cenno alla circostanza che il grande Otello cantò un brano, dal titolo Stornelli d'Amuri, il cui testo era proprio quello di Spagna. Profazio fu cantastorie in grande auge negli anni Sessanta e Settanta, pioniere e divulgatore della riscoperta del patrimonio musicale popolare calabrese, assurto al rango perfino di controversa icona pop, amato o vituperato secondo le ideologie di quei decenni passionali, eppure sempre lucidamente consapevole del proprio percorso artistico e culturale. Chi è stato presente al Kaulonia Tarantella Festival di quest'anno ha avuto modo di incontrarlo, e constatare come ancor oggi, alla sua bella età, Profazio sappia tenere avvinta la platea con instancabile vivacità affabulatoria e con una vocalità dal timbro intenso e rotondo.
Stornelli d'Amuri fu poi ripresa da un altro interprete, Rocco Severino da Gioiosa, altrimenti noto come Rocco del Sud, che la incise a sua volta, e che forse la cantava nei concerti ancor prima di Profazio; questo Rocco, omino di bassa statura ma di voce squillante e dal gran ciuffo corvino, stabilitosi in Canada, riscosse notevole successo soprattutto tra gli emigranti in Nordamerica; su Youtube si possono trovare numerosi suoi video, che all'occhio contemporaneo risultano decisamente datati, fanno sorridere per via di abbigliamenti e scenografie sgargianti, e atteggiamenti enfatici: insomma un trionfo del kitsch, che tuttavia non sminuisce l'ottima qualità della prestazione vocale del nostro.
Non è stato facile reperirla, ma ecco l'esecuzione di Rocco del Sud.
Cosimo Papandrea, venuto a conoscenza del brano, si innamorò del testo, e pensò di utilizzarlo, rilanciandolo con una nuova linea melodica, più incisiva e dinamica. E quel giorno dovette essere illuminato dalla grazia divina o chissà che altro, e il suo organetto animato da spiritelli dionisiaci, se ciò che scaturì fu la melodia perfetta che conosciamo.
All'opera dette un contributo decisivo anche un altro autore, tal Corapi. Come? Dite di averlo già sentito, questo nome?
Ma certo, è proprio lui! Quel Mico Corapi che oggi fa parte del Trio di Francesco Loccisano, di cui abbiamo parlato di recente, a sua volta interprete sommo della tradizione canora e ritmica della Locride, sorta di incarnazione vivente di un patrimonio di emozioni, rabbie e delicatezze espressive che ne fanno un personaggio unico.
Cosimo cominciò a proporre il pezzo in concerto con i SonuDivinu, e naturalmente esso divenne subito il biglietto da visita del gruppo e suo personale. Venne poi del tutto naturale trasferirlo nel repertorio di Karakolo Fool, e quindi dei TaranProject.
Le versioni di Spagna disponibili su Youtube o in vari cd bootleg sono innumerevoli – anche se l'unica ufficialmente incisa da Cosimo è sul cd Karakolo Fool, ormai introvabile - e la canzone è evoluta parecchio in questi anni, divenendo ancor più serrata nella fase ritmica, fino a includere uno scatenato assolo alle percussioni di Alfredo, ma senza perdere un'oncia della potenza evocativa del refrain, che inneggia alla Bella Figghjola (molti pensano che sia questo il titolo..), né dell'ardore orgoglioso di quell'Eu iniziale, che partì di tantu luntanu, nè del volo lirico che proietta l'ammirazione per la donna desiderata verso i cieli di Sardegna e Spagna, luoghi favolosi dell'immaginazione amorosa; il tutto mirabilmente interpretato, o direi meglio impersonato, da un Cosimo che dentro questa canzone sembra esserci nato e sempre vissuto.
Nel filmato qui sotto (di Cicciubattenti) vediamo l'esecuzione a Satriano lo scorso agosto, con il fatidico drappo rosso di Giovanna in cui si raccoglie e volteggia l'ondata di passione che investe tutti i presenti.
Come d'uso, propongo il testo originale, e nei commenti la traduzione in Italiano.
Ma vorrei prima porre ai lettori una semplice domanda:
ascoltata la versione di Rocco del Sud, senz'altro interessante e pregevole, ve la mettereste sull'ipod per riascoltarla dieci volte al giorno, come sicuramente avete fatto con quella di Cosimo quando l'avete sentita la prima volta?
E allora, contano di più le parole di un poeticissimo testo tradizionale, ormai dimenticato da tutti, o la musica straordinaria che Cosimo e Mico hanno inventato per farcelo conoscere?
Spagna
Eu mi partia di tantu luntanu
pe' veniri di tia tantu vicinu.
Tutti mi dinnu ca lu mari è fundu
ma pe' l'amuri tua lu passu e vegnu
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
O facci di n'ammendula mundata
fu Diu chi ti crijau tanta pulita,
quandu ti vitti ti vitt'affacciata
tu sula mi trasisti 'nta me vita
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
Chista figghjola è fatta cu la pinna
e misurata cu la menzacanna,
la menzacanna veni di la Sardegna,
lu calamaru d'oru veni di la Spagna
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
Stanotti mi 'nzonnai nu malu sonnu
ch'era malata la figghjola mia.
Oh medicu chi sani li malati
tu sanamilla a Maruzzella mia
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
Forse che si tratta di un brano meraviglioso, di presa immediata e irresistibile per chiunque?
Che è di quella lega cui appartengono O Sole Mio, Volare e poche altre nella storia della canzone italiana?
Detto questo senza tema di smentita, non c'è da aggiungere altro. Solo da attendere che i canali mediatici istituzionali se ne accorgano e ne decretino il successo planetario che merita; o - detta in altri termini – augurarsi che miliardi di nostri simili che ne sono ancora ignari possano presto conoscere e vivere anche loro questa gioia assoluta dell'udito.
Ma come è nato questo pezzo incredibile?
In questo caso, più che mai, c'è da distinguere tra testo e musica.
Il testo è senza dubbio tradizionale, ed è stato già inciso negli anni passati almeno due volte: la prima da Otello Profazio, come siamo venuti a sapere negli scorsi mesi, da quando Mimmo, nell'introdurlo durante i concerti, fa cenno alla circostanza che il grande Otello cantò un brano, dal titolo Stornelli d'Amuri, il cui testo era proprio quello di Spagna. Profazio fu cantastorie in grande auge negli anni Sessanta e Settanta, pioniere e divulgatore della riscoperta del patrimonio musicale popolare calabrese, assurto al rango perfino di controversa icona pop, amato o vituperato secondo le ideologie di quei decenni passionali, eppure sempre lucidamente consapevole del proprio percorso artistico e culturale. Chi è stato presente al Kaulonia Tarantella Festival di quest'anno ha avuto modo di incontrarlo, e constatare come ancor oggi, alla sua bella età, Profazio sappia tenere avvinta la platea con instancabile vivacità affabulatoria e con una vocalità dal timbro intenso e rotondo.
Stornelli d'Amuri fu poi ripresa da un altro interprete, Rocco Severino da Gioiosa, altrimenti noto come Rocco del Sud, che la incise a sua volta, e che forse la cantava nei concerti ancor prima di Profazio; questo Rocco, omino di bassa statura ma di voce squillante e dal gran ciuffo corvino, stabilitosi in Canada, riscosse notevole successo soprattutto tra gli emigranti in Nordamerica; su Youtube si possono trovare numerosi suoi video, che all'occhio contemporaneo risultano decisamente datati, fanno sorridere per via di abbigliamenti e scenografie sgargianti, e atteggiamenti enfatici: insomma un trionfo del kitsch, che tuttavia non sminuisce l'ottima qualità della prestazione vocale del nostro.
Non è stato facile reperirla, ma ecco l'esecuzione di Rocco del Sud.
Cosimo Papandrea, venuto a conoscenza del brano, si innamorò del testo, e pensò di utilizzarlo, rilanciandolo con una nuova linea melodica, più incisiva e dinamica. E quel giorno dovette essere illuminato dalla grazia divina o chissà che altro, e il suo organetto animato da spiritelli dionisiaci, se ciò che scaturì fu la melodia perfetta che conosciamo.
All'opera dette un contributo decisivo anche un altro autore, tal Corapi. Come? Dite di averlo già sentito, questo nome?
Ma certo, è proprio lui! Quel Mico Corapi che oggi fa parte del Trio di Francesco Loccisano, di cui abbiamo parlato di recente, a sua volta interprete sommo della tradizione canora e ritmica della Locride, sorta di incarnazione vivente di un patrimonio di emozioni, rabbie e delicatezze espressive che ne fanno un personaggio unico.
Cosimo cominciò a proporre il pezzo in concerto con i SonuDivinu, e naturalmente esso divenne subito il biglietto da visita del gruppo e suo personale. Venne poi del tutto naturale trasferirlo nel repertorio di Karakolo Fool, e quindi dei TaranProject.
Le versioni di Spagna disponibili su Youtube o in vari cd bootleg sono innumerevoli – anche se l'unica ufficialmente incisa da Cosimo è sul cd Karakolo Fool, ormai introvabile - e la canzone è evoluta parecchio in questi anni, divenendo ancor più serrata nella fase ritmica, fino a includere uno scatenato assolo alle percussioni di Alfredo, ma senza perdere un'oncia della potenza evocativa del refrain, che inneggia alla Bella Figghjola (molti pensano che sia questo il titolo..), né dell'ardore orgoglioso di quell'Eu iniziale, che partì di tantu luntanu, nè del volo lirico che proietta l'ammirazione per la donna desiderata verso i cieli di Sardegna e Spagna, luoghi favolosi dell'immaginazione amorosa; il tutto mirabilmente interpretato, o direi meglio impersonato, da un Cosimo che dentro questa canzone sembra esserci nato e sempre vissuto.
Nel filmato qui sotto (di Cicciubattenti) vediamo l'esecuzione a Satriano lo scorso agosto, con il fatidico drappo rosso di Giovanna in cui si raccoglie e volteggia l'ondata di passione che investe tutti i presenti.
Come d'uso, propongo il testo originale, e nei commenti la traduzione in Italiano.
Ma vorrei prima porre ai lettori una semplice domanda:
ascoltata la versione di Rocco del Sud, senz'altro interessante e pregevole, ve la mettereste sull'ipod per riascoltarla dieci volte al giorno, come sicuramente avete fatto con quella di Cosimo quando l'avete sentita la prima volta?
E allora, contano di più le parole di un poeticissimo testo tradizionale, ormai dimenticato da tutti, o la musica straordinaria che Cosimo e Mico hanno inventato per farcelo conoscere?
Spagna
Eu mi partia di tantu luntanu
pe' veniri di tia tantu vicinu.
Tutti mi dinnu ca lu mari è fundu
ma pe' l'amuri tua lu passu e vegnu
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
O facci di n'ammendula mundata
fu Diu chi ti crijau tanta pulita,
quandu ti vitti ti vitt'affacciata
tu sula mi trasisti 'nta me vita
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
Chista figghjola è fatta cu la pinna
e misurata cu la menzacanna,
la menzacanna veni di la Sardegna,
lu calamaru d'oru veni di la Spagna
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
Stanotti mi 'nzonnai nu malu sonnu
ch'era malata la figghjola mia.
Oh medicu chi sani li malati
tu sanamilla a Maruzzella mia
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola
eh ah ah jah
eh ah bella figghjola