Come Mimmo Cavallaro non manca di ricordare nelle interviste, il successo clamoroso di questi mesi è il frutto maturato durante anni di ricerca e sperimentazione musicale con i materiali della tradizione, da lui fatti oggetto di recupero, ripensamento, attualizzazione; trattati con la cura dell'archeologo alle prese con preziosi reperti del passato, rinvenuti quand'erano sul sul punto di svanire.
Nella ormai quindecennale vicenda artistica di Mimmo, tra i numerosi progetti che l'hanno visto protagonista, c'è un nome che evoca ancora un fascino particolare presso gli appassionati, e tanto più nei ricordi di chi li sentì suonare dal vivo. TaranKhan: è la loro avventura che vorrei qui provare a raccontare.
Come tutte le saghe che si rispettino, anche questa inizia nella terra dei Nibelunghi, in Germania, da dove, oltre vent'anni orsono, un giovane ardimentoso partì per far ritorno al paese degli avi materni, in Calabria, a Caulonia. Si chiamava Fabio Macagnino. Come tutti i ragazzi amava la musica, ascoltava AC/DC e Police, strimpellava vari strumenti, in particolare la batteria. A Caulonia si trovò ben presto a suonare in un gruppo che faceva cover di artisti famosi, e iniziò a frequentare il giro dei musicisti.
Un giorno agli Alfa Time, altro gruppo simile al suo, mancava il batterista: per qualche serata ingaggiarono Fabio, che così si trovò a far sezione ritmica con un bassista, il cui nome era Mimmo Cavallaro! Questo fu il loro primo incontro.
Poi Fabio entrò a far parte degli Omertha, che sperimentavano un rock cantato in calabrese, ed ebbero in quegli anni una certa notorietà (il leader era Domenico Panetta, nome ancora oggi di spicco sulla scena musicale locridea).
Di Mimmo l'aneddotica riporta che da giovane iniziò a cantare nel coro parrocchiale, e poi fu membro di vari complessi pop, tra questi appunto gli Alfa Time. Lui, da bambino, nella sua casa di contrada in campagna, alla sera si addormentava al canto meraviglioso di "Figghju figghju", intonata dalla mamma; ed aveva un nonno che girava i paesi d'Aspromonte, con la sua zampogna, per suonare nelle feste di piazza: fu da queste ascendenze familiari che gli derivò l'interesse per la musica popolare, che dapprima si esprimeva soprattutto in una instancabile curiosità, e nell'abitudine che sviluppò a raccogliere, annotare, registrare melodie e testi: un tesoretto destinato a dar rendite copiose.
Qualche anno dopo, nel 1995, Mimmo chiamò Fabio per formare i Folìa (in calabrese “nido”: ideale luogo d'incubazione di una splendida creatura musicale a venire); ne fecero parte Bruno Giurato e i fratelli Mangiola, e questa fu la formazione del primo storico concerto in cui si proposero brani della tradizione in chiave moderna, dentro il deposito dell'Agrumaria di Caulonia. I Folìa parteciparono ad Arezzo Wave 1997, con due brani tradizionali ed uno nuovo; ma il gruppo presto si smembrò.
Decisivo fu in seguito l'incontro con Eugenio Bennato, che trovandosi a Caulonia per il nascente Festival ascoltò casualmente Mimmo e Fabio suonare in un'osteria, e ne intuì subito il talento; li incoraggiò ad abbandonare definitivamente la strada improbabile del pop per imbracciare chitarra battente e tamburello, e intraprendere un cammino a ritroso dentro la cultura musicale della Locride, lungo il quale ritrovare un patrimonio dimenticato, e con esso la propria identità di uomini ed artisti.
Ancor più decisiva, forse, fu una straordinaria serata a Gerace, attorno al 2000: in quella nobile cittadella medievale si svolge la festa del Borgo Incantato - gastronomia casereccia e artisti di strada - ed in una piazza si esibiscono Mimmo e Fabio, assieme a Mastru Vicenzu da Gioiusa, autentica autorità del canto tradizionale nella Locride. E' un successo strepitoso: i nostri sono costretti a suonare ininterrottamente fino a notte fonda, ripetendo più volte un repertorio per forza di cose ancora limitato, tra l'entusiasmo degli astanti, che si scatenano in una tarantella generale: vi prendono parte giovani e adulti, anziane signore e bambinetti, è lo sprigionarsi liberatorio di un'energia popolare che era rimasta sopita da chissà quanto tempo. Fabio e Mimmo intuiscono l'enorme potenziale emotivo e di identificazione collettiva di cui la loro musica è portatrice, che ancor oggi è la carta vincente del TaranProject. E decidono di farsene alfieri.
Mettono su un gruppo, con Domenico Daniero alla chitarra: inizialmente si chiameranno Kaulon Tarantella Social Club (sul modello dei Buena Vista, forse con un pizzico di autoironia, eppure con la messa a fuoco precisa di un'identità culturale autoctona). Primi successi al Blue Dhalia, il locale di Gioiosa che è da sempre punto di riferimento essenziale per tutti i gruppi dell' Unda Jonica. Qualche mese dopo vengono chiamati per un concerto in piazza a Caulonia; serve un bassista: Fabio chiama Stefano Simonetta, che fino al giorno prima aveva suonato la chitarra e tutt'altro genere musicale. Nasce un'alchimia speciale, nascono i TaranKhan. In seguito si aggiungono Francesco Loccisano, maestro della chitarra battente in uscita dai Quartaumentata, e Daniela Bonvento, virtuosa della lira calabrese.
Da qui in avanti i concerti nelle piazze sono numerosi, e sempre premiati dall'entusiasmo e dall'affetto del pubblico.
Seguono fortunate esibizioni in Belgio, in Germania, in Francia, in particolare a Toulon nel 2003: è da quel concerto che dovrebbe esser tratto un cd live. Ma il gruppo non è del tutto convinto, qualcuno preferirebbe tornare con il materiale in studio, per un'opera più meditata. Non se ne fa nulla. L'ultimo, memorabile concerto dei TaranKhan è al Kaulonia Festival 2004. Poi ciascuno va per la sua strada.
Ma c'è un sequel: Taran-Khan – Il Ritorno.
Nel 2005 Fabio riforma il gruppo, senza più Mimmo - che sta raccogliendo un suo ensemble sotto il nome TaranProject - ma ancora con Loccisano e Stefano Simonetta, e con l'apporto decisamente eterogeneo della cantante inglese Anna Helena McLean. La scelta stilistica è di proporre musica di nuova composizione, memore della tradizione ma protesa verso una maggiore apertura degli orizzonti artistici. In pochi mesi di febbrile attività un cd è pronto, sul punto di uscire, s'intitola "Albjonica". Ma anche stavolta non uscì.
Però lo si può trovare ora sul sito di Stefano Simonetta, che scrisse musica e testi: andate ad ascoltarlo, ne vale davvero la pena!
Assaggiate almeno tre canzoni fantastiche: “Canto d'amore” “Acqua di hjumara” ed “Ex Tradition”, le prime due vi conquisteranno con la loro dolce suggestione, la terza vi colpirà per la materia incandescente di cui è composta, dapprima trattenuta e poi dispiegata in uno stile nuovo e trascinante; dopo andrete alla scoperta del resto del disco.
La parabola dei Taran-Khan è ormai conclusa. Ma la qualità della semina è garanzia della bontà del futuro raccolto.
Fabio incontrerà Cosimo Papandrea, formerà con lui i SonuDivinu, cooptandovi Carmelo Scarfò e Andrea Simonetta; Mimmo Cavallaro sarà spesso ospite ai loro concerti, gettando così le basi di un'altra meravigliosa avventura: Karakolo Fool.
Oggi di Mimmo sappiamo tutto; Fabio e Francesco continuano come Scialaruga, già autori di un pregevole cd, colonna sonora del film “Liberarsi”, cui hanno partecipato anche gli Scarma dei fratelli Scarfò; Stefano Simonetta collabora spesso con loro, e nel contempo porta avanti un progetto solista come Mujura.
Nuovi cd sono in uscita per tutti: Scialaruga, Mujura, Francesco Loccisano da solo con “Battente italiana”.
E naturalmente anche per i TaranProject: il cd live che tutti attendiamo con impazienza sarà presto realtà.
(anche questa volta devo un grazie, davvero di cuore, a Fabio: dalle sue appassionate e avvincenti narrazioni deriva la gran parte di quel che precede)
Link a Il Tesoro di TaranKhan, con ulteriori approfondimenti.
Link a L'Erdedità dei TaranKhan.
Link a Echi di TaranKhan: i filmati di tre brani dal vivo nel 2003!
Non ci posso credere! Ma Fildiferro, hai messo insieme una vera cattedrale di informazioni e collegamenti, hai sbrogliato il mistero, ci hai dato tracce su tracce da seguire: non ti ringrazieremo mai abbastanza. Sei un mito!! Sara
RispondiEliminae poi - scusa se sono indiscreta, non rispondermi se non vuoi - sapevamo che andavi a reggio Emilia al concerto degli Scialaruga, e guarda caso sulla Riviera di domenica è uscito un articolo zeppo di informazioni precisissime e firmato da un nome non troppo lontano da fildiferro: ma sei tu??? sono sempre sara, bocca-aperta-per-la-scoperta
RispondiEliminaCiao Sara, grazie per l'entusiasmo con cui ci segui, e...sì, hai indovinato, l'articolo su La Riviera è mio. Anzi, gli articoli sull'evento di Reggio Emilia sono due, e l'altro è de La Catarinà, co-autrice di questo blog!
RispondiElimina(li ho linkati al relativo post)
Quello che voi chiamate mastru Vicenzu d'a Giousa, il grande cantante popolare Vincenzo Calabrese di Camocelli,va dicendo in giro che Cavallaro non sa cantare. E infatti incommensurabile è la distanza tra la musica leggera di questi bennati mimmi e fabi e la bellezza raffinata degli stili, delle tecniche e delle scale musicali tradizionali. E quindi finitela con tutta questa menata: se vi piacciono queste cose siete liberissimi di ascoltarle, ma se volete conoscere e godere la musica di tradizione orale calabrese dovete cambiare aria.
RispondiEliminaGrazie, Elena, per l'informazione sull'identità di Mastru Vicenzu.
RispondiEliminaQuanto al resto, sono d'accordo con te che ciascuno è libero di ascoltare ciò che gli piace.
Non credo invece che sia necessario, nè utile, denigrare quel che piace agli altri per affermare ciò che piace a noi:
da parte mia sono sicuramente interessato ad ampliare le mie conoscenze sulla musica calabrese di tradizione orale, per cui se vorrai indicarci nomi, registrazioni, riferimenti, farci conoscere e apprezzare la musica che ami, te ne saremo grati. Gli steccati preferiamo smontarli, piuttosto che alzarne di nuovi.