L'aspettavamo, un commento competente da chi ha assistito alla prima del Tour 2013, e quel che è arrivato è molto di più: una chiave di lettura, un'esegesi dello spettacolo, una guida all'emozione.
(L'autrice si firma La Catarinà, graditissimo ritorno per chi ricorda gli albori di questo blog, a cui regalò contributi preziosi)
Come non rubare il titolo al film di cui tutti parlano in queste settimane? quello di Sorrentino, per forza - e chiedendogliene scusa, per lo meno io che non l’ho ancora visto e che ne pappagallo il titolo senza sapere con esattezza di cosa sto parlando.
“La grande bellezza”, in senso letterale, è intorno a noi da ogni lato la sera del 7 giugno all’Uliveto Principessa, a cominciare dal profumo umido e potente del timo di collina e dal passeggiare tra l’erba in attesa della prima nota mentre lo specchio dell’acqua diventa gradualmente più chiaro del cielo.
Poi il concerto comincia e ci regala un’emozionante sorpresa dopo l’altra, fino a che la formula comincia a capovolgersi nella mia mente. Sto assistendo, oltre che ad una grande bellezza, a qualcosa di più raro: ad una piena, antica, imponente, temibile grandezza, che però miracolosamente non causa né imbarazzo né sgomento perché è perfettamente bella.
Succede fin dalla scelta come pezzo di apertura della meravigliosa “Ciano”, nota finora solo a pochi fortunati. Qualcosa si riallaccia con gioia a qualche anno fa, quando il concerto si apriva con il “Cantu di lu marinaru” e con la sua immensa domanda: chi ha dato forma al mondo?
Questa volta la domanda è: chi siamo noi?
Siamo re, avendo ricevuto dal cielo il privilegio di guardare il mare stando seduti su una montagna (questa è l’immagine esatta del popolo calabrese, mi diceva Fildiferro anni fa). Balliamo e siamo Lestrigoni: ciclopi, fratelli di Polifemo. Non siamo piccole persone banali e poco impegnative, ballerini leggeri senza un passato. Siamo comunque grandi, nel bene e nel male: immersi in una natura solenne e maestosa, minacciati da formidabili eventi sismici o climatici, aperti alle forze misteriose del sacro, a contatto con le tracce mozzafiato del formarsi della nostra civiltà ma anche gomito a gomito con la criminalità organizzata più pericolosa del mondo, esposti a gioie abbaglianti e a tragici dolori. Così andiamo per il mondo come Ciclopi tra gli umani, sempre un po’ fuori misura, con un solo occhio per guardare e per piangere. Spesso la grandezza eccessiva che nel bene e nel male ci ritroviamo ci mette in imbarazzo, al punto che fuori da questa terra ci capita di dissimularla. A meno che non diventi perfezione indiscutibile, compiuta bellezza, liberandoci da ogni finzione e restituendoci a chi siamo davvero: ecco il più alto regalo che possiamo ricevere dai nostri artisti.
Quest’anno – me ne accorgo pezzo dopo pezzo – i TaranProject tornano pienamente a casa e prendono su di sé questo compito, chiamandolo con ottime ragioni semplicemente “Sonu”.
Nessun colore manca alla loro tavolozza mentre rendono perfetto il loro-nostro ritratto: ci sono i paesaggi e le lingue, c’è il lavoro duro del carbonaro e dello zappatore, ci sono l’ingiustizia, la ribellione, l’amore appassionato o delicato, la felicità o la separazione, la potenza o l’astuzia femminile, il cibo e la fame, l’accoglienza verso le genti del mondo. Perfettamente parte di tutto questo, ci sono anche la festa, la processione e il ballo: non evasione spensierata, non divertimento senza peso ma arte del riconoscimento, arte del restituire noi a noi stessi e del rendere immagine compiuta il Lestrigone che è in ciascuno di noi.
Faranno questo per noi, tutta l’estate. Senza contare la strepitosa bellezza dei due pezzi inediti, il tango poderoso, travolgente di Cosimo e la festa luminosa di Mimmo dai mille milioni di colori.
E non dovremmo essere commossi, grati, in adorazione?
Bravissima Catarinà, grande conoscitrice di quella profonda, drammatica bellezza ( o bellissima drammaticità ? continuiamo il gioco di Fildiferro nel titolo…) che risiede nella costituzione stratificata di questo popolo in modo analogo a certe sue conserve alimentari : uno strato di dramma e uno di bellezza e conoscenza essenziale strettamente pressati insieme … come districarli ?... e come districarsi ?... Diventando così giganti e trasparenti, una contraddizione che diviene genetica e ci accompagna in giro per il mondo con quella “grandezza eccessiva che nel bene e nel male ci ritroviamo” e che “ci mette in imbarazzo, al punto che fuori da questa terra ci capita di dissimularla” …
RispondiEliminaI Taranproject sono meravigliosi interpreti di tutto questo.
Mentre leggevo questo testo mi sono commossa...poi ho letto l'ultima frase e non ho potuto fare a meno di sorridere mentre le lacrime stavano ancora scendendo sul mio viso....
RispondiEliminaGrazie a chi stamattina mi ha fatto provare queste emozioni!
L.F.