Ecco dunque il mio personale “perché”.
Ogni altro gruppo musicale, amato apprezzato o anche solo ricordato, riposa nell’archivio della memoria insieme al “colore” della sua voce solista o del suo impasto di voci. Ha magari cento altre caratteristiche, ma la voce lo contraddistingue indissolubilmente.
Invece la voce dei TaranProject non si lascia catalogare così facilmente.
Quando è Giovanna a cantare, la melodia si ritrova avvolta da un bianchissimo smalto. È come se le note si fossero addormentate in una notte fredda e buia in alta montagna, tutte nere, aggrovigliate e spinose come i ramoscelli di un roveto, e si svegliassero la mattina dopo nitidamente ricamate, avvolte di candida brina sotto un sole radioso. Quello che un tempo poteva essere stato spinoso e oscuro, una volta passato attraverso la voce di Giovanna splende di bianco, d’oro e d’argento.
Quando è Cosimo a cantare, ogni nota diventa rossa. C’è il fuoco della passione, della fierezza, dell’amore. C’è il sangue dello sdegno, dell’orgoglio, della derisione. Eppure fuoco e sangue non sono adatti a descrivere il rosso della voce di Cosimo, che non è né drammatica né arroventata: è anzi sorprendentemente giovane, fresca, limpida. Un rosso vivo, che brilla allegramente sotto il sole: quello dei peperoncini piccanti di Calabria.
E poi c’è la miracolosa voce di Mimmo, per la quale non è facile trovare le parole. Quando una melodia - o anche una semplice frase della vita quotidiana, a volte - passa attraverso la voce di Mimmo è come se entrasse lineare e compatta come una treccia contegnosa e ne uscisse sciolta in mille milioni di capelli con mille milioni di sfumature di colore ciascuna diversa dall’altra per un’infinitesimale variazione.
(“Venìa la bella mia con la codata ‘n testa /
vulìa mu nci li sciogghjiu chidi trizza”)
Smalto bianco, oro, argento, rosso sangue, rosso fuoco, rosso peperoncino, più tutte insieme le sfumature di colore del mondo: ecco l’inclassificabile voce dei TaranProject, niente che la memoria possa archiviare in un singolo file.
È una voce così ricca che non possiamo ascoltarla come “una voce”: l’ascoltiamo come se prestassimo orecchio all’intero universo. E quindi non possiamo ascoltarla “da fuori”: chi mai sta fuori dall’universo intero? L’ascoltiamo da dentro, ne siamo avvolti, ne siamo parte, esistiamo in essa.
Quanto al miracolo che ha reso possibile tutto questo, e poiché un post non può essere troppo lungo, ne riparliamo nel prossimo che vorrei intitolare “Sette soli”.
...bellissimo!
RispondiEliminabrava Cat! attendiamo la terza parte...